Riflessioni personali, fatti e notizie, idee, pensieri, sogni, chiacchiere e opinioni. In un' Italia, purtroppo, sempre più alla deriva.
lunedì 11 ottobre 2010
Applausi fuori luogo
Ancora una volta abbiamo visto trionfare la pessima abitudine, sempre più dilagante in Italia, di applaudire ai funerali di qualche morte eccellente. Proprio l'altro giorno abbiamo visto la folla applaudire la piccola Sarah Scazzi, domani vedremo sicuramente la stessa scena per i militari morti in Afghanistan. Ma che succede a noi italiani per travisare il senso di un gesto come l'applauso fino a rompere la sacralità e la ritualità di un funerale? Cosa diavolo c'è da applaudire davanti alla salma di chi non è più tra noi e -soprattutto- davanti al dolore dei familiari? L'applauso di per sè è un segno di giubilo, un compiacimento per delle doti altrui degne -appunto- di plauso e di riconoscimento. Può la morte di qualcuno suscitare tali sentimenti? Certamente no. E allora come può essere possibile utilizzare l'applauso per l'estremo addio ad una persona cara? La risposta, ahimè, ancora una volta va ricercata nella sempre più evidente e dilagante invadenza dei riti televisivi che dagli studi e dai teatri di posa vengono trapiantati tout court nella realtà quotidiana. Fateci caso, basta seguire con attenzione un qualunque programma tv. I ritmi sono cadenzati dagli applausi per qualunque cosa, per qualunque scansione del copione. Applausi, sempre applausi, tanti applausi. A raffica, a comando, raramente spontanei. Talmente tanti che sono finiti anche nei funerali, perchè comunque un sentimento di tristezza e di disperazione per eccellenza intimo e interiore deve essere esternato in maniera plateale e chiassosa. Altrimenti potrebbe sembrare ai più che sotto un dignitoso silenzio possa non esserci niente.
giovedì 7 ottobre 2010
Lo scempio di Sarah
La piccola Sarah è morta, uccisa dallo zio che l'ha strangolata mosso da un laido istinto sessuale. Non credo al raptus improvviso. Molto più facile ipotizzare che l'avesse presa di mira da tempo e che magari ci avesse provato già altre volte. Per approfittare di lei l'ha dovuta prima strangolare sorprendendola alle spalle, probabilmente perchè non avrebbe avuto coraggio di farlo guardandola in faccia. Un maledetto vigliacco che poi l'ha violentata quando era già cadavere. Poi, per quasi un mese e mezzo ha retto il gioco del parente affranto dalla scomparsa della nipotina quattordicenne, con tanto di lacrime in tv. Fior di sceneggiate fatte di pianti e appelli ai presunti rapitori. Ma in realtà il corpo della povera Sarah si stava già decomponendo in fondo ad una cisterna di campagna. Non è mancato neppure il tentativo di depistare maldestramente le indagini con il ritrovamento del cellulare, quasi a far pensare ad un atto orchestrato ad arte. Roba vista in qualche telefim poliziesco. Ma alla fine la terribile verità è venuta alla luce.
Della giovane Sarah è stato fatto scempio due volte. Una prima volta per opera del suo assassino, la seconda con lo sciacallaggio mediatico da parte dei cosiddetti esperti che già impazzano sulle varie tv. Tutti a pontificare, giudicare, sentenziare, interpretare, spiegare al vulgo le verità da rivelare a piene mani. Tutta una pletora di sciacalli sta già addentando la preda. Psicologi, criminolgi, giornalisti, psichiatri, intrattenitori da talk show, tutto il baraccone mediatico è già all'opera. Già quest'oggi pomeriggio si è sentito di tutto. C'è chi ha parlato di delitto maturato in una società arcaico-medievale, di un territorio dimenticato, di famiglia che si è dissolta, di famiglia moderna che vive di sopraffazione e di violenza al suo interno. Tutti con la verità in tasca. pronta all'uso, preconfezionata e adatta ad ogni circostanza. E più le sparano grosse i cosiddetti esperti, tanto più sembrano credibili le loro analisi. Le BarbareDurso e i BruniVespa di turno hanno già sfoderato tutte le loro facce di circostanza, contrite e accigliate, buone per tutte le stagioni. Dopo pochi minuti di zapping televisivo avevo già la nausea.
Il secondo scempio che dovrà subire Sarah passa dunque da chi ci dirà che il suo omicidio è frutto della abbietta società meridionale, della cultura arcaica, dell'arretratezza del meridione d'Italia e via blaterado. Come se queste cose non succedessero dappertutto, in tutta Italia, in tutto il mondo, Puglia o non Puglia. Perchè in tutto il mondo ad ogni latitudine c'è sempre un orco che vuole sfogare i propri istinti sessuali su una ragazzina, bella, dolce e seducente come solo i quattordici anni possono renderla agli occhi dell'orco in agguato. Ragazzine e ragazzini, non fa differenza, quei vigliacchi non fanno sconti a nessuno. Perchè di vigliacchi assassini è pieno il mondo e ogni tempo. Non c'entra niente la Puglia, la famiglia moderna che vive su equilibri instabili e precari, che scatena istanze violente e distruttive. Balle, solo balle. Buone per riempire i talk show e le pagine dei giornali. La verità è molto più tragicamente semplice ed è che l'uomo è un animale troppo spesso perverso che si fa guidare dagli istinti più bestiali collegati al sesso. Ovunque e da sempre.
lunedì 4 ottobre 2010
Film visti. Chi va al Sud piange due volte...
Regia di Luca Miniero; con Claudio Bisio, Alessandro Siani, Angela Finocchiaro, Valentina Lodovini.
[Voto: 2,5 su 5]
"Il forestiero che viene al sud piange due volte: quando arriva e quando se ne va". L'affermazione viene pronunciata due volte nel film, all'inizio della vicenda che vede il direttore di ufficio postale della nebbiosa Lombardia trasferito per punizione in Campania e poi quando lo stesso se ne va, al termine del periodo di espiazione. Il film fa di tutto per convincere lo spettatore della veridicità dell'assunto e infine, sia pure a modo suo, ci riesce in pieno. Il sud che emerge nel film è un luogo meraviglioso dove la vita scorre con semplicità e spensieratezza, tutti sono più o meno felici, ma comunque non sembrano avere problemi in grado di angustiare più di tanto le proprie vite. Insomma è un film comico, non un dramma o un film verità, quindi va bene così. Tanto più che è stato lo stesso protagonista Claudio Bisio ad ammettere che durante le riprese del film sembrava a tutta la troupe di vivere in un'isola felice, salvo poi tuffarsi nella cruda realtà soltanto pochi giorni dopo, quando a pochi km di distanza dalla location di Castellabbate, il sindaco di Pollica Angelo Vassallo è stato assassinato con 9 colpi di pistola nella notte mentre rientrava a casa.
Tornando al film, bisogna innanzitutto dire che si tratta del fedele remake del francese "Giù al nord" che ha avuto un enorme successo l'anno scorso. Il dipanarsi della vicenda è assolutamente identico come è giusto che sia un remake, fatta eccezione per l'ambientazione che in luogo della piovosa Bretagna è la soleggiata e ridente Campania. Piacevole il film transalpino, altrettanto piacevole l'italiano. Per i cugini francesi la regione dove espiare l'esilio punitivo è l'estremo nord con abitudini, tradizioni e dialetto incomprensibili per il forestiero; per noi invece la punizione si sconta in meridione tra i terroni napoletani (fieri di esserlo, almeno quanto i bretoni). Da qui una serie di esilaranti gags che strappano un sacco di risate facendo leva sui più triti luoghi comuni. Ma il gioco sta proprio in questo: giocare apertamente sui luoghi comuni senza alcun pregiudizio per nessuno. Il film risulta simpatico, semplice nella costruzione, divertente, leggero. In una parola lo definirei "domenicale" in quanto adattissimo per trascorrere un pomeriggio leggero quel che basta, pur senza essere banale (e volgare). Bravo e gigione come al solito Bisio, circondato da altrettanto consumati caratteristi. Un cenno a parte merita Valentina Lodovini, brava e bella giovane attrice emergente, dagli splendidi occhi che sorridono. Una vera ventata di fragrante bellezza.
Unico neo (forse) del film, è il personaggio dell'impiegato postale "indigeno" interpretato da Alessandro Siani, che fa un po' troppo spudoratamente il verso a Massimo Troisi, arrivando a citarne un famoso sketch di oltre vent'anni fa (quello della lingua napoletana che con pochi monosillabi, uniti alla tipica mimica partenopea, riesce ad essere espressiva come e più di tanti discorsi). Ma preferisco pensare ad un omaggio al grande attore prematuramente scomparso.
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venerdì 1 ottobre 2010
Bestemmie presidenziali
Vedere per credere:
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/il-cavaliere-e-la-bestemmia/2135516
http://www.youtube.com/watch?v=h02QOCNw_98
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/il-cavaliere-e-la-bestemmia/2135516
http://www.youtube.com/watch?v=h02QOCNw_98
Non si tratta di fare i moralisti bacchettoni. Tra amici, per strada, al bar, in tv, ovunque si sente ben di peggio. La bestemmia e il turpiloquio sono entrati nel linguaggio comune a tutti i livelli e in tutti i ceti sociali. Non condivido, ma è così. Perchè la bestemmia è prima di tutto un'offesa dei valori di chi crede nella divinità, dunque una profonda mancanza di rispetto verso gli altri. Non credo che Dio si offenda se viene bestemmiato, è un tantino superiore a queste bassezze umane. Non è questo il punto. Il punto è che il bestemmiatore in questione è il Presidente del Consiglio, la seconda carica dello stato italiano. Un uomo pubblico che ha dei doveri e dei comportamenti da tenere nel rispetto del ruolo che ricopre. Il quale Presidente del Consiglio fra le sue mura domestiche può fare e dire ciò che vuole, ma nella sua veste istituzionale non può permettersi certi atteggiamenti umilianti per lo stato e i cittadini che rappresenta. Di qualunque partito o credenza essi siano.
mercoledì 29 settembre 2010
E allora la impicchiamo...
Sakineh Mohammadi Ashtani, la donna accusata di adulterio e di complicità nell’omicidio del marito sarà impiccata e non più lapidata. Per Sakineh, la cui sentenza di lapidazione era stata sospesa da alcune settimane per un riesame del caso, la grande mobilitazione nel mondo occidentale, Italia compresa, aveva puntato il dito contro la barbarie della lapidazione, una condanna secondo la legge islamica che prevede che la donna colpevole di adulterio venga sepolta fino al torace e che la parte che sporge dal terreno sia ripetutamente colpita da lanci di pietre, fino alla morte. Ecco la risposta del regime iraniano alle pressioni internazionali che volevano strappare alla morte la giovane donna: impiccagione.
Se non ci fosse in ballo la vita o la morte di un essere umano la vicenda avrebbe risvolti addirittura grootteschi. Il mondo intero si indigna per la lapidazione e allora il regime che fa? La impicca cambiando la motivazione. Non più adulterio, ma complicità in omicidio e dunque non più lapidazione, ma impiccagione. Perversamente geniale. E' chiaro il percorso logico degli iraniani: vediamo se qualcuno osa lamentarsi ancora, visto che la pena di morte per impiccagione o altre forme di morte considerate più "civili" sono normalmente praticate in molta parte delle nazioni in tutto il mondo. Come attaccare sul piano dei diritti civili l'Iran dal momento che tantissime altre nazioni fanno la stessa cosa? Donne comprese; è di un paio di giorni fa la notizia dell'esecuzione capitale in USA di una condannata, per di più afflitta da minorazione mentale.
Insomma, chi è senza peccato scagli la prima pietra....
Se non ci fosse in ballo la vita o la morte di un essere umano la vicenda avrebbe risvolti addirittura grootteschi. Il mondo intero si indigna per la lapidazione e allora il regime che fa? La impicca cambiando la motivazione. Non più adulterio, ma complicità in omicidio e dunque non più lapidazione, ma impiccagione. Perversamente geniale. E' chiaro il percorso logico degli iraniani: vediamo se qualcuno osa lamentarsi ancora, visto che la pena di morte per impiccagione o altre forme di morte considerate più "civili" sono normalmente praticate in molta parte delle nazioni in tutto il mondo. Come attaccare sul piano dei diritti civili l'Iran dal momento che tantissime altre nazioni fanno la stessa cosa? Donne comprese; è di un paio di giorni fa la notizia dell'esecuzione capitale in USA di una condannata, per di più afflitta da minorazione mentale.
Insomma, chi è senza peccato scagli la prima pietra....
lunedì 27 settembre 2010
Film visti. La Passione
LA PASSIONE
Regia di Carlo Mazzacurati, con Silvio Orlando, Giuseppe Battiston, Corrado Guzzanti, Kasia Smutniak.
[Voto: 2,5 su 5]
E' sempre difficile per me esprimermi serenamente e con distacco sui film di Mazzacurati. Perchè padovano e dunque mio conterraneo, ma anche perchè mio ex compagno di scuola al liceo (nella mitica quinta B, maturata nell'anno di grazia 1975). E' facile essere troppo severi per non scadere in indulgenti giudizi di parte e al tempo stesso è altrettanto facile l'esatto contrario. Tant'è.
Purtroppo ci troviamo di fronte all'ennesimo film di Mazzacurati del "vorrei, ma non posso", ovvero dell'opera che potrebbe fare il salto di qualità, ma le manca un soldino per farcela. Cominciamo dai pregi. La Passione riesce a far ridere senza mai scadere nel volgare, cosa rara nel panorama del cinema italiano, dove la commedia scollacciata e greve è genere dominante. Per contro, La Passione riesce ad essere lieve e divertente con eleganza, arguzia e semplicità. Tuttavia non è un film riduttivamente leggero, perchè è al tempo stesso intensamente drammatico, immerso com'è nella crisi personale ed artistica del protagonista, regista in crisi di creatività, Gianni Dubois. Silvio Orlando da corpo al personaggio con il suo solito repertorio ben collaudato. E questo è già un primo limite. Infatti risulta per nulla nuova ed originale proprio la figura del regista in crisi che lo stesso Orlando ha già interpretato -se non sbaglio- in un film di Nanni Moretti (Il caimano). Un clichè, quello dell'insicuro in crisi di identità, che calza sì a pennello su Orlando, ma troppo ripetitivo e dunque già visto che non aggiunge e non inventa nulla. Va molto meglio con i personaggi di contorno, primi fra tutti Corrado Guzzanti, spassoso nel ruolo dell'attore-cane che si crede un grande artista e Giuseppe Battiston, povero diavolo che cerca nella recitazione da strada una via di redenzione personale.
La vicenda è semplicissima e prende spunto da un episodio realmente occorso a Mazzacurati. Al regista viene proposto di curare la rappresentazione della Passione del Venerdi Santo in cambio di sorvolare sui danni ad un prezioso affresco del Cinquecento causati dalla perdita di un tubo idraulico rotto. Con varie vicissitudini grottesche e qualche dramma si arriva al momento della verità con tutti i tasselli che vanno -quasi- al loro posto...
Qui sta il punto di svolta del racconto. Battiston-Gesù spezza il pane nell'Ultima cena, ma cade malamente scatenando l'ilarità impietosa e irrispettosa del pubblico. La rappresentazione va avanti con fatica tra mille difficoltà e l'imperversare delle intemperie meteo. Facile vedere in questo una rappresentazione dell'Italia di oggi dove troppo spesso si sta alla finestra a guardare con indifferenza e con disperezzo le disavventure e le difficoltà altrui, forti della propria posizione di forza (esemplare l'arroganza del produttore cinematografico che copre di angherie il povero Dubois).
Ma dopo la Passione del venerdi, arriva sempre la Pasqua della Resurrezione... Speriamo.
Regia di Carlo Mazzacurati, con Silvio Orlando, Giuseppe Battiston, Corrado Guzzanti, Kasia Smutniak.
[Voto: 2,5 su 5]
E' sempre difficile per me esprimermi serenamente e con distacco sui film di Mazzacurati. Perchè padovano e dunque mio conterraneo, ma anche perchè mio ex compagno di scuola al liceo (nella mitica quinta B, maturata nell'anno di grazia 1975). E' facile essere troppo severi per non scadere in indulgenti giudizi di parte e al tempo stesso è altrettanto facile l'esatto contrario. Tant'è.
Purtroppo ci troviamo di fronte all'ennesimo film di Mazzacurati del "vorrei, ma non posso", ovvero dell'opera che potrebbe fare il salto di qualità, ma le manca un soldino per farcela. Cominciamo dai pregi. La Passione riesce a far ridere senza mai scadere nel volgare, cosa rara nel panorama del cinema italiano, dove la commedia scollacciata e greve è genere dominante. Per contro, La Passione riesce ad essere lieve e divertente con eleganza, arguzia e semplicità. Tuttavia non è un film riduttivamente leggero, perchè è al tempo stesso intensamente drammatico, immerso com'è nella crisi personale ed artistica del protagonista, regista in crisi di creatività, Gianni Dubois. Silvio Orlando da corpo al personaggio con il suo solito repertorio ben collaudato. E questo è già un primo limite. Infatti risulta per nulla nuova ed originale proprio la figura del regista in crisi che lo stesso Orlando ha già interpretato -se non sbaglio- in un film di Nanni Moretti (Il caimano). Un clichè, quello dell'insicuro in crisi di identità, che calza sì a pennello su Orlando, ma troppo ripetitivo e dunque già visto che non aggiunge e non inventa nulla. Va molto meglio con i personaggi di contorno, primi fra tutti Corrado Guzzanti, spassoso nel ruolo dell'attore-cane che si crede un grande artista e Giuseppe Battiston, povero diavolo che cerca nella recitazione da strada una via di redenzione personale.
La vicenda è semplicissima e prende spunto da un episodio realmente occorso a Mazzacurati. Al regista viene proposto di curare la rappresentazione della Passione del Venerdi Santo in cambio di sorvolare sui danni ad un prezioso affresco del Cinquecento causati dalla perdita di un tubo idraulico rotto. Con varie vicissitudini grottesche e qualche dramma si arriva al momento della verità con tutti i tasselli che vanno -quasi- al loro posto...
Qui sta il punto di svolta del racconto. Battiston-Gesù spezza il pane nell'Ultima cena, ma cade malamente scatenando l'ilarità impietosa e irrispettosa del pubblico. La rappresentazione va avanti con fatica tra mille difficoltà e l'imperversare delle intemperie meteo. Facile vedere in questo una rappresentazione dell'Italia di oggi dove troppo spesso si sta alla finestra a guardare con indifferenza e con disperezzo le disavventure e le difficoltà altrui, forti della propria posizione di forza (esemplare l'arroganza del produttore cinematografico che copre di angherie il povero Dubois).
Ma dopo la Passione del venerdi, arriva sempre la Pasqua della Resurrezione... Speriamo.
domenica 26 settembre 2010
Film visti. La vita è un sogno...
INCEPTION
Regia di Christopher Nolan. Con Leonardo Di Caprio, Marion Cotillard, Ellen Page.
[Voto: 3.5 su 5]
Di Caprio è un futuristico ladro sui generis. Riesce ad insinuarsi nei sogni altrui per carpirne i segreti più reconditi, solitamente a fini di spionaggio industriale. Questa volta gli viene proposto di fare il contrario: insinuare un'idea nella mente della vittima inducendolo a ritenere che sia una sua idea e comportarsi di conseguenza secondo i voleri di chi in realtà ne ha disposto l'innesto. Insomma una specie di telecomando mentale senza fili. E' bene partire da queste informazioni preliminari perchè infatti il film è complicatissimo e il rischio è di non capirci un bel niente o quasi. Almeno io non ci ho capito niente per almeno la prima ora. Infatti nelle due ore e mezzo di durata del film, la prima parte se ne va in pseudo spiegazioni e preparazione dell'evolversi successivo. Difficile da decifrare tra concetti non propriamente all'ordine del giorno. Troppo verboso, troppo contorto e soprattutto dando per scontato che si sappia cosa diavolo sia il procedimento di inception; da qui, appunto, ecco servita l'introduzione lunghissima e incompresibilissima. Non so neppure se l'inception (= innesto) sia una pratica mentale di pura fantasia degli sceneggiatori del film o se esista davvero un procedimento artificiale per inserirsi nella mente altrui tramite i sogni. In qualche laboratorio sperimentale potrebbe succedere questo e altro... Ma le vie della psicanalisi sono infinite e spesso fantasiose. Spero comunque di no e che la mente possa essere territorio inviolabile, anche se mi viene il dubbio che certe forme di ipnosi siano in realtà proprio uno strumento per scandagliare a fondo i pensieri degli altri senza che i soggetti se ne rendano effettivamente conto. Roba da strizzacervelli.
Tornando al nostro film bisogna dire che la realizzazione dell'idea guida è senz'altro affascinante e le immagini sono altrettanto spettacolari, anzi direi superlative. Superata la fase introduttiva del film, il tutto diventa più comprensibile (quasi rassicurante) sotto forma di action-movie con scontri, inseguimenti e sparatorie riportando tutti ad una realtà più "normale" cinematograficamente parlando, a suon di scazzottature e smitragliate. Ma comunque rimane a fare da filo conduttore una sovrapposizione molto appassionante tra realtà e finzione, del sogno nel sogno, tra vero e non vero che coinvolge tutto e tutti. Affascinantissima (si può dire?) la mescolanza tra vita e morte che si verifica attraverso i diversi piani narrativi in cui si dipana il racconto: si può essere feriti o ammazzati in un certo livello di sogno, ma al tempo stesso rimanere illesi in un altro, si può saltare da un sogno all'altro ma anche restarvi intrappolati per sempre. Per non parlare dello scorrere del tempo. Questo è un aspetto del sogno che a ciascuno di noi sarà capitato di notare. Il tempo nel sogno scorre decisamente in maniera diversa che nella realtà. Succede spesso di addormentarsi solo per pochi minuti, magari per un pisolino, sognare a lungo e in maniera complessa ed articolata, essere convinti di aver sognato per ore e ore per poi invece svegliarsi e rendersi conto che invece sono trascorsi solo pochi minuti. Ebbene su questa particolarità reale e individualmente appurabile del sogno si basa gran parte del film che è un meccanismo perfetto di tempi che scorrono diversamente l'uno dagli altri. Sotto questo aspetto il film è un vero gioiello. Non manca neppure l'aspetto sentimentale e intimistico con venature melodrammatiche che emerge dal passato del protagonista Di Caprio, che da qualche parte ha una moglie (morta suicida a causa delle manipolazioni esasperate con i sogni effettuati in coppia) e due figli che non può vedere a causa della proibizione di fare ritorno negli Stati Uniti proprio in seguito alla morte della moglie (l'affascinante Marion Cotillard).Alla fine del film si rimane con un po' di amaro in bocca perchè quel sadico del regista Christopher Nolan (già apprezzato autore di Insomnia con Al Pacino e Robin Wiliams e di un paio di Batman) lascia in sospeso l'immagine finale senza farci sapere quale sia l'epilogo. Non posso dire di più per non levare l'effetto sorpresa, ma c'è veramente del perversamente sadico nel taglio delle ultime sequenze. Andate a vedere il film e mi darete ragione (occhio alla trottolina...!).
Un'ultima annotazione, anzi due. La prima: pensate ad una forma alternativa di vacanza in cui ci si addormenta e si sogna ciò che si vuole rimanendo pienamente coscienti e consapevoli anche al risveglio, come se si fosse trattato di una vacanza vera. Da soli o insieme con gli amici, con la persona amata, con quella che si vorrebbe amare (consenziente o no, non fa differenza)..., per esempio, chessò, una vacanza ai Caraibi lunga, interminabile, appagante, avventurosa, erotica e molto altro ancora a seconda dei propri gusti.... Certo è solo un sogno, ma se fosse un sogno iperrealistico quanto quelli che sono descritti nel film vi assicuro che sarebbe fantastico.
Seconda annotazione. Ad uscirne largamente riabilitato dopo questo Inception è il lungamente vituperato Gigi Marzullo che aveva già capito tutto ben prima che questo film fosse pensato e scritto: "la vita è un sogno e i sogni aiutano a vivere meglio". Meditate gente, meditate.
domenica 19 settembre 2010
Film visti. The American
The American
Regia di Anton Corbijn con George Clooney e Violante Placido.
Voto: 1,5 su 5
Definire imbarazzante questo film è dir poco. Il regista Corbijn (proviene dal mondo dei video musicali e lì ce lo rimanderei al volo...) ci offre un film sciatto, prevedibile e presuntuoso che si regge unicamente sulla bravura di Clooney e sulla bellezza dei luoghi dove la vicenda è ambientata, l'Abruzzo. Vorrei aggiungere che il film punta molto anche sulle tette di Violante Placido, generosamente messe in mostra in mancanza di talento d'attrice, ma non vorrei passare per volgare... Per il resto si sfiora il ridicolo con un finale da antologia tanto è banalmente prevedibile e rozzo; nelle intenzioni la melodrammatica conclusione vorrebbe essere addirittura strappalacrime, ma finisce solo per essere irritante per la stupidità delle ultime scene. Di storie di redenzione finale da parte di criminali incalliti per opera di una bella fatalona sono pieni gli annali di cinema, con esercizi di stile di grandi maestri e di grandi attori, ma questo The American francamente scivolerà nel dimenticatoio in poco tempo, non appena il film farà il solito giro in DVD e in tv sfruttando al massimo il faccione imbronciato di Clooney e le belle tette di Violante, dopodichè buonanotte a tutti.
Il tenebroso George Clooney ce la mette tutta per dare interesse ad un personaggio immusonito e privo di spessore e bisogna dire che il suo onesto mestiere lo fa piuttosto benino, ma decisamente non basta a sostenere il peso dell'intero film, contornato com'è da personaggi maldestramente abbozzati. Una chicca la partecipazione di un più che mai ruvido Filippo Timi nel ruolo di "dottore delle macchine" (meccanico), che si stacca nettamente dalla media recitativa del resto del cast. Della prostituta Clara, alias Violante Placido, che redime il killer ho già detto tutto quello che c'è da dire (cioè nulla) e aggiungerei che il personaggio è così approssimativamente costruito che non risulterebbe credibile in niente, nè come prostituta, nè come strumento di redenzione, nè come lavandaia; il prete di campagna Paolo Bonacelli è a metà strada tra il filosofo "de noantri" e il saccente ambiguo e ficcanaso, e in più probabilmente anche fedifrago segreto padre di famiglia. Il tutto nello stesso personaggio. Oltretutto ogni personaggio italiano che nella storia viene a contatto con il protagonista -che è un americano rifugiatosi in Italia per sfuggire a chi lo vuole ammazzare- si intende benissimo con lui e tutti si capiscono perfettamente. Forse che nei paesini sperduti sulle montagne abruzzesi tutti conoscono l'inglese e lo parlano come seconda lingua dimostrando grande senso di ospitalità per gli eventuali killer americani che si trovano colà di passaggio...? Ma dai. A voler rigirare il coltello nella piaga cercando tra le ridicolaggini del film, ci sarebbe di che sbizzarrirsi. Ma mi auto-limito per eccesso di buonismo. Tuttavia mi piacerebbe chiedere agli sceneggiatori che ci faccia un bordello con quattro-cinque prostitute (tra cui Clara-Violante) in un paesetto di montagna abruzzese dove in tutto il film si vedono si e no una decina di abitanti a farla grande, forse meno. Farà affari d'oro a palate.....
Regia di Anton Corbijn con George Clooney e Violante Placido.
Voto: 1,5 su 5
Definire imbarazzante questo film è dir poco. Il regista Corbijn (proviene dal mondo dei video musicali e lì ce lo rimanderei al volo...) ci offre un film sciatto, prevedibile e presuntuoso che si regge unicamente sulla bravura di Clooney e sulla bellezza dei luoghi dove la vicenda è ambientata, l'Abruzzo. Vorrei aggiungere che il film punta molto anche sulle tette di Violante Placido, generosamente messe in mostra in mancanza di talento d'attrice, ma non vorrei passare per volgare... Per il resto si sfiora il ridicolo con un finale da antologia tanto è banalmente prevedibile e rozzo; nelle intenzioni la melodrammatica conclusione vorrebbe essere addirittura strappalacrime, ma finisce solo per essere irritante per la stupidità delle ultime scene. Di storie di redenzione finale da parte di criminali incalliti per opera di una bella fatalona sono pieni gli annali di cinema, con esercizi di stile di grandi maestri e di grandi attori, ma questo The American francamente scivolerà nel dimenticatoio in poco tempo, non appena il film farà il solito giro in DVD e in tv sfruttando al massimo il faccione imbronciato di Clooney e le belle tette di Violante, dopodichè buonanotte a tutti.
Il tenebroso George Clooney ce la mette tutta per dare interesse ad un personaggio immusonito e privo di spessore e bisogna dire che il suo onesto mestiere lo fa piuttosto benino, ma decisamente non basta a sostenere il peso dell'intero film, contornato com'è da personaggi maldestramente abbozzati. Una chicca la partecipazione di un più che mai ruvido Filippo Timi nel ruolo di "dottore delle macchine" (meccanico), che si stacca nettamente dalla media recitativa del resto del cast. Della prostituta Clara, alias Violante Placido, che redime il killer ho già detto tutto quello che c'è da dire (cioè nulla) e aggiungerei che il personaggio è così approssimativamente costruito che non risulterebbe credibile in niente, nè come prostituta, nè come strumento di redenzione, nè come lavandaia; il prete di campagna Paolo Bonacelli è a metà strada tra il filosofo "de noantri" e il saccente ambiguo e ficcanaso, e in più probabilmente anche fedifrago segreto padre di famiglia. Il tutto nello stesso personaggio. Oltretutto ogni personaggio italiano che nella storia viene a contatto con il protagonista -che è un americano rifugiatosi in Italia per sfuggire a chi lo vuole ammazzare- si intende benissimo con lui e tutti si capiscono perfettamente. Forse che nei paesini sperduti sulle montagne abruzzesi tutti conoscono l'inglese e lo parlano come seconda lingua dimostrando grande senso di ospitalità per gli eventuali killer americani che si trovano colà di passaggio...? Ma dai. A voler rigirare il coltello nella piaga cercando tra le ridicolaggini del film, ci sarebbe di che sbizzarrirsi. Ma mi auto-limito per eccesso di buonismo. Tuttavia mi piacerebbe chiedere agli sceneggiatori che ci faccia un bordello con quattro-cinque prostitute (tra cui Clara-Violante) in un paesetto di montagna abruzzese dove in tutto il film si vedono si e no una decina di abitanti a farla grande, forse meno. Farà affari d'oro a palate.....
mercoledì 15 settembre 2010
Italia, un paese in pieno delirio
Ok, vabbè che al peggio e alla stupidità non c'è mai limite, ma insomma.... sarebbe ora di porre un freno alla tracotanza arrogante e supponente di qualcuno. L'episodio da delirio civile è quella riportato dalla stampa odierna e si riferisce ad un fattaccio avvenuto domenica scorsa a Venezia, nel corso della Festa della Padania organizzata dalla Lega che si svolge annualmente nel capoluogo veneto. Per internderci quella con l'ampollina di acqua del Po raccolta amorevolmente alle sorgenti e versata in pompa magna nelle acque della laguna di Venezia. Quest'anno la manifestazione si è fregiata nientepopodimenoche della presenza a fianco di Bossi del "Trota", ovvero il figlio del senatur, ovvero il "delfino" dinastico della Lega. Insomma un'apoteosi padana in un trionfo di bandiere verdi.
Ma ecco il fattaccio come lo riporta la Repubblica:
"Portavamo il tricolore a Venezia, insultati dai leghisti, identificati dalla polizia.
"Denuncia di un consigliere comunale della Lista 5 stelle: "In una decina avevamo 2 bandiere italiane durante la festa della Lega e per questo siamo stati fermati mentre i militanti del Carroccio inveivano"
ROMA - "Fermati ed identificati dalla polizia per avere con noi il tricolore. Insultati e derisi da decine di leghisti esaltati ed urlanti - rischiando il linciaggio da parte di questi ultimi e una denuncia (per manifestazione non autorizzata e per aver provocato disordini) da parte della polizia". Questo, secondo la denuncia di un consigliere comunale di Venezia Marco Gavagnin della lista Cinque stelle e del Blogger Paolo Papillo di Informazione dal basso che domenica scorsa, durante la Festa dei popoli padani hanno voluto provare a vedere cosa sarebbe successo a passeggiare per il capoluogo veneto con indosso una bandiera italiana. Il risultato per quanto sorprendente è descritto da loro stessi: "Siamo stati identificati noi, non quelli che ci insultavano; e ci avrebbero senz'altro aggrediti, se non ci fosse stato il cordone di polizia a proteggerci. Ci hanno cacciato, accompagnati distanti dal luogo della manifestazione leghista e fatti disperdere. Esporre il tricolore durante la festa della Lega - festa che vedeva presenti numerosi esponenti politici del partito e lo stesso Ministro degli Interni - è diventata una provocazione politica".
"Eravamo in una decina - raccontano - ci eravamo incamminati lungo il ponte dopo il quale iniziava a svolgersi la manifestazione leghista, ci è stato impedito da agenti in tenuta antisommossa e da uomini della Digos di proseguire verso Riva dei Sette Martiri e Via Garibaldi: luoghi paradossalmente scelti quali teatro della manifestazione di questa forza di governo che non si riconosce nei simboli della nostra Repubblica e ne disconosce la storia scritta nel sangue di tanti patrioti. Sì, perché i sette martiri veneziani a cui è intitolata la riva sono partigiani morti durante Resistenza al grido di "viva l'Italia".
"Subito dopo - continua il racconto - decine di leghisti (uomini e donne, vecchi e giovani) ci hanno spintonato e strattonato, cercando anche di sottrarci le telecamere; ci hanno insultato anche pesantemente, con vari improperi che andavano da "pirla" a "cretini", da "pagliacci" a "omossessuali" e "culattoni". Naturalmente ci hanno accusati di essere "comunisti", dei "rompicoglioni", o più semplicemente dei "lazzaroni": "andate a lavorare!" ci dicevano, "andate a casa!""Questi però - si lamentano - non sono stati identificati. No. Eravamo noi - quelli col tricolore - l'anomalia, quelli fuori posto, i sobillatori. Mentre loro - quelli che inneggiavano alla secessione, i fautori della "padania che non c'è", con le magliette e gli striscioni con la scritta "padania libera" - erano quelli normali... un completo ribaltamento di senso!".
(15 settembre 2010) http://www.repubblica.it/politica/2010/09/15/news/cacciati_bandiera-7098896/?ref=HRER2-1
Ma, mi chiedo, la polizia ha agito correttamente nel fermare e identificare quelli che avevano il tricolore e ignorare chi li insultava? La nostra bandiera, il tricolore, non vale proprio più niente?
Credo che sia inutile qualsiasi altro commento.
lunedì 13 settembre 2010
Contesto ergo sum
Noi italiani abbiamo un vizio trasversale che ci accomuna tutti indistintamente, a prescindere da tutto: contestare l'operato di chi è chiamato a giudicare. Non parlo di libera critica o libere opinioni, ma di rifiuto di sottostare e quindi accettare il giudizio altrui, qualunque esso sia e da chiunque provenga. A cosa mi riferisco in particolare? Alla Mostra del Cinema di Venezia che si è conclusa sabato scorso con un verdetto a sorpresa. La giuria presieduta da Quentin Tarantino ha assegnato il Leone d'oro al film di Sofia Coppola "Somewhere", di cui avevo giustappunto scritto qualche giorno fa (http://volpe56.blogspot.com/2010/09/da-qualche-parte.html). Le reazioni alla scelta della giuria (che decide collegialmente, non individualmente) sono state quasi furibonde da parte di una buona fetta dei critici che non hanno gradito affatto il film della Coppola. A me è piaciuto, gli ho dato un buon voto, anche se credo che non sia un film da Leone d'oro. Ma ciò non toglie che il giudizio della giuria vada rispettato. Dicono i signori critici, con un po' di puzzetta sotto il naso: in sala stampa il verdetto è stato accolto con bordate di fischi...., alla proiezione ufficiale il film è stato accolto tiepidamente... Dunque, se un film non piace a lor signori, non è accettabile e ammissibile che possa vincere perchè invece la giuria lo ha vaputato meritevole. E per sostenere i fischi sono state tirate fuori giustificazioni fantasiose in un delirio di dietrologia. Del tipo: Tarantino è un ex della Coppola e dunque lui ha voluto premiarla forse per tentare un riavvicinamento sentimentale. Roba da gossip puro e duro. Dei peggiori. Sono fioccate un sacco di frecciatine sulla scarsa avvenenza della Coppola, sul vestito poco glaour, sul sorriso stiracchiato per l'emozione al momento della premiazione... I signori critici non sono stati neppure sfiorati dall'idea che possa esservi un giudizio diverso dal loro. Apriti cielo poi sul fatto che nessuno dei film italiani in gara sia stato premiato. Sembra quasi che un premio debba essere riconosciuto per diritto di ospitalità. Salvo poi sciacquarsi la bocca quando a Cannes vince un film francese, accusando le giurie di giudizi di parte a favore del cinema di casa.
Ma in fin dei conti è quello che succede normalmente nello sport specie con gli arbitri del calcio che, si sa, è lo specchio fedele dei vizi di noi italiani. Contestare sempre, accettare mai. E se del caso, passare anche alle vie di fatto, tanto l'arbitro è cornuto per definizione ed ha sempre torto. Ma è natao prima l'uovo o la gallina? Ovvero è il calcio che copia dal sociale o è vero il contrario? In tema di sport mi corre l'obbligo e il piacere di citare ancora una volta il mio amato rugby, dove non vedrete mai un giocatore contestare una decisione arbitrale o rivolgersi a lui in modi poco civili. Casi difformi dalla regola si sono verificati nel corso degli anni, ma sono così pochi che si potrebbero contare sulle dita di una mano. E sono anche troppi.
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mercoledì 8 settembre 2010
Libri. Depressione in salsa scandinava
Scarpe italiane
di Henning Mankell
Questo non è il primo libro di Mankell che leggo (Il cinese). E prima ancora era stato il commissario Kurt Wallander ad appassionarmi, con un paio delle sue avventure poliziesche.
L'ambientazione di Scarpe italiane è quella tipicamente svedese/scandinava con le sue lande ghiacciate, i silenzi, la gente un po' strana e non facile da capire per noi latini, il tempo segnato dall'alternarsi di giorni e notti anomali per chi abita a latitudini meno estreme. Ma è anche una Svezia "normale", caratterizzata da piccole e grandi città non molto diverse da tante altre nel mondo, dove accadono fatti del tutto simili a tanti altri, per i quali le persone soffrono, gioiscono, nascono e muoiono come chiunque e ovunque. In questo "Scarpe italiane" predominano i tipici paesaggi nordici, il ghiaccio, il mare del Nord congelato per gran parte dell'anno, le grandi e silenziose foreste. Buona parte della vicenda si svolge su un'isola abitata da un'unica persona, il protagonista, e alcuni personaggi di contorno, così pochi da poter essere elencati sulle dita di una mano e di avanzarne ancora.
Fredrik è quasi settantenne, medico chirurgo in pensione, vive da solo su un'isola al largo della costa scandinava, con un cane, un gatto e un formicaio in una delle stanze di casa. Si è ritirato a vita solitaria da circa dodici anni in seguito ad un evento grave della sua vita, che lo ha segnato profondamente. Uniche visite, ma poche ogni due o tre giorni, quelle del postino che gli recapita la corrispondenza e tanta pubblicità. Nonostante questa sporadicità di contatti con esseri umani, anche le visite del postino gli danno fastidio, perchè turbano il suo equilibrio di ghiaccio, freddo e solitudine. Bizzarro, no? Ma le bizzarre singolarità di Fredrik non finiscono qui, perchè ogni giorno ha l'abitudine di scavare un buco nel ghiaccio fino a trovare l'acqua e immergervisi dentro. Per sentire di essere ancora vivo. Forse "bizzarro" è un aggettivo un po' troppo blando per fotografare un personaggio del genere. Bizzarro e depresso con una specie di osessione nel ricordo dei genitori e dei nonni da cui ha ereditato l'isola. In particolare la figura del padre, modesto cameriere, gli ritorna spesso in mente in maniera quasi ossessiva e angosciante e con lui gli anni dell'infanzia non agiata, non felice, non piacevole neppure da ricordare dopo così tanto tempo nei ricordi di uomo anziano che spesso tendono a rivangare solo le cose belle. Ed è una depressione che in qualche modo quasi si trasmette al lettore con il rischio di una insofferenza crescente (almeno nel mio caso), dopo un iniziale ammaliante fascino della solitudine, della pace e del silenzio che è facile immaginare regnino sovrani su quell'isola. Fredrik non fa mai nulla con entusiasmo e con passione. Passa le sue giornate ammirando paesaggi o facendo proprio un bel nulla. Ma un certo giorno accade l'imprevisto. Una figura umana si staglia scura sul bianco assoluto del ghiaccio. Una donna che per muoversi usa un deambulatore. E come diavolo sarà arrivata fin lì una donna che cammina a malapena? E cosa ci fa e cosa vorrà dall'anziano-tuffatore-solitario-nel-buco-di-ghiaccio?
Calma. Il libro non vira improvvisamente sul misterioso o sul poliziesco. Tutto viene svelato in breve e senza aloni di misteri. E' una sua vecchia fiamma, Harriet, tanto amata in gioventù quanto ormai quasi dimenticata, abbastanza irriconoscibile essendo anche lei ovviamente parecchio avanti con gli anni e per di più ammalata di cancro allo stadio terminale.
Con lei siamo arrivati a due personaggi (l'altro -ricordate- è il postino, secondo Fredrik un tipo problematico e ipocondriaco che si sposta sul mare ghiacciato con un veicolo chiamato hydrocopter...). Di qui a poco entrerà in scena il terzo e poi il quarto, anche loro donne. Un libro quasi del tutto al femminile, eccezione fatta per il protagonista. Ma mi fermo qui e non anticipo altro.Il prosieguo svelerà quale sia l'evento devastante verificatosi nella vita dell'ex medico e che ruolo abbiano le tre donne che entrano in rotta di collisione con lui sulla soglia dei settant'anni. Non badate troppo alle scarpe del titolo, che sembra fatto apposta per suscitare curiosità nel lettore, e che in realtà non riveste un particolare interesse nella trama del libro. Invece, oltre alle scarpe, nel romanzo è citata en passant l'Italia e Roma in particolare. Non ne esce bene il nostro paese, perchè Fredrik subisce un'aggressione che gli provoca una frattura al naso. Episodio marginale nel contesto del libro, ma l'episodio non fa bene all'immagine del nostro paese, quasi facendo da contraltare agli elogi per la qualità delle scarpe italiane. Ma tu guarda 'sti svedesi...
di Henning Mankell
Questo non è il primo libro di Mankell che leggo (Il cinese). E prima ancora era stato il commissario Kurt Wallander ad appassionarmi, con un paio delle sue avventure poliziesche.
L'ambientazione di Scarpe italiane è quella tipicamente svedese/scandinava con le sue lande ghiacciate, i silenzi, la gente un po' strana e non facile da capire per noi latini, il tempo segnato dall'alternarsi di giorni e notti anomali per chi abita a latitudini meno estreme. Ma è anche una Svezia "normale", caratterizzata da piccole e grandi città non molto diverse da tante altre nel mondo, dove accadono fatti del tutto simili a tanti altri, per i quali le persone soffrono, gioiscono, nascono e muoiono come chiunque e ovunque. In questo "Scarpe italiane" predominano i tipici paesaggi nordici, il ghiaccio, il mare del Nord congelato per gran parte dell'anno, le grandi e silenziose foreste. Buona parte della vicenda si svolge su un'isola abitata da un'unica persona, il protagonista, e alcuni personaggi di contorno, così pochi da poter essere elencati sulle dita di una mano e di avanzarne ancora.
Fredrik è quasi settantenne, medico chirurgo in pensione, vive da solo su un'isola al largo della costa scandinava, con un cane, un gatto e un formicaio in una delle stanze di casa. Si è ritirato a vita solitaria da circa dodici anni in seguito ad un evento grave della sua vita, che lo ha segnato profondamente. Uniche visite, ma poche ogni due o tre giorni, quelle del postino che gli recapita la corrispondenza e tanta pubblicità. Nonostante questa sporadicità di contatti con esseri umani, anche le visite del postino gli danno fastidio, perchè turbano il suo equilibrio di ghiaccio, freddo e solitudine. Bizzarro, no? Ma le bizzarre singolarità di Fredrik non finiscono qui, perchè ogni giorno ha l'abitudine di scavare un buco nel ghiaccio fino a trovare l'acqua e immergervisi dentro. Per sentire di essere ancora vivo. Forse "bizzarro" è un aggettivo un po' troppo blando per fotografare un personaggio del genere. Bizzarro e depresso con una specie di osessione nel ricordo dei genitori e dei nonni da cui ha ereditato l'isola. In particolare la figura del padre, modesto cameriere, gli ritorna spesso in mente in maniera quasi ossessiva e angosciante e con lui gli anni dell'infanzia non agiata, non felice, non piacevole neppure da ricordare dopo così tanto tempo nei ricordi di uomo anziano che spesso tendono a rivangare solo le cose belle. Ed è una depressione che in qualche modo quasi si trasmette al lettore con il rischio di una insofferenza crescente (almeno nel mio caso), dopo un iniziale ammaliante fascino della solitudine, della pace e del silenzio che è facile immaginare regnino sovrani su quell'isola. Fredrik non fa mai nulla con entusiasmo e con passione. Passa le sue giornate ammirando paesaggi o facendo proprio un bel nulla. Ma un certo giorno accade l'imprevisto. Una figura umana si staglia scura sul bianco assoluto del ghiaccio. Una donna che per muoversi usa un deambulatore. E come diavolo sarà arrivata fin lì una donna che cammina a malapena? E cosa ci fa e cosa vorrà dall'anziano-tuffatore-solitario-nel-buco-di-ghiaccio?
Calma. Il libro non vira improvvisamente sul misterioso o sul poliziesco. Tutto viene svelato in breve e senza aloni di misteri. E' una sua vecchia fiamma, Harriet, tanto amata in gioventù quanto ormai quasi dimenticata, abbastanza irriconoscibile essendo anche lei ovviamente parecchio avanti con gli anni e per di più ammalata di cancro allo stadio terminale.
Con lei siamo arrivati a due personaggi (l'altro -ricordate- è il postino, secondo Fredrik un tipo problematico e ipocondriaco che si sposta sul mare ghiacciato con un veicolo chiamato hydrocopter...). Di qui a poco entrerà in scena il terzo e poi il quarto, anche loro donne. Un libro quasi del tutto al femminile, eccezione fatta per il protagonista. Ma mi fermo qui e non anticipo altro.Il prosieguo svelerà quale sia l'evento devastante verificatosi nella vita dell'ex medico e che ruolo abbiano le tre donne che entrano in rotta di collisione con lui sulla soglia dei settant'anni. Non badate troppo alle scarpe del titolo, che sembra fatto apposta per suscitare curiosità nel lettore, e che in realtà non riveste un particolare interesse nella trama del libro. Invece, oltre alle scarpe, nel romanzo è citata en passant l'Italia e Roma in particolare. Non ne esce bene il nostro paese, perchè Fredrik subisce un'aggressione che gli provoca una frattura al naso. Episodio marginale nel contesto del libro, ma l'episodio non fa bene all'immagine del nostro paese, quasi facendo da contraltare agli elogi per la qualità delle scarpe italiane. Ma tu guarda 'sti svedesi...
martedì 7 settembre 2010
Film visti. Da qualche parte...
SOMEWHERE
Regia di Sofia Coppola, con Stephen Dorff, Elle Fanning.
[Voto: 3.5 su 5]
Somewhere di Sofia Coppola, presentato in questi giorni alla Mostra di Venezia, ci riporta a vedere e parlare di cinema di qualità dopo un'estate quanto mai povera di film apprezzabili. Dico subito che Somewhere è un film estenuante e faticoso per lo spettatore, che necessita di un atto di fiducia verso l'autrice perchè non è affatto di facile approccio. La Coppola ci narra la storia di Johnny Marco, attore giovane e belloccio dall'aspetto stropicciato che va tanto di moda adesso, con qualche grosso problema esistenziale e una vita condotta in modo totalmente disordinato e improvvisato. Se ne va in giro con la sua Ferrari, spesso senza neppure una meta, tra una pasticca el'altra se la gode con amanti occasionali con le quali riesce ad addormentarsi improvvisamente nel pieno di un rapporto di letto, si trascina tra una festa e l'altra senza uno straccio di amico/a che vada oltre la scopata di una notte o anche meno. Si accorge di avere una figlia solo quando gli viene recapitata dalla moglie divorziata, ma non sa nulla di lei. Un estraneo con tutto e con tutti, senza veri affetti, senza interessi. Una vita di merda, se mi passate il francesismo poetico. Sofia Coppola ci mostra il protagonista nella sua abulia con una dilatazione estrema dei tempi delle riprese, inquadrature fisse e lunghissime, dialoghi assenti o quasi. Perfetto per buttarci con angoscia nel mondo di Johnny, fatto di noia e di nulla. Ma ad un certo punto la ex moglie gli affida la figlia Cleo per qualche settimana, avendo voglia di starsene un po' per i fatti suoi, probabilmente a sua volta alle prese con qualche amante di passaggio. Il piccolo e biondo pacco postale di nome Cleo raggiunge dunque il suo papà che è però alle prese con un viaggio in Italia per il lancio del suo ultimo film. Partono forzatamente insieme...
Mi fermo qui, senza aggiungere altro, non perchè ci siano finali a sorpresa o sviluppi particolari da non svelare, ma perchè il prosieguo della storia va comunque gustato in prima persona senza anticipazioni.
Da qualche parte (Somewhere) c'è sicuramente qualcuno che vive la sua quotidianità come Johnny Marco. Anzi non saranno certamente pochi quelli come lui che non hanno preoccupazioni finanziarie, che vivono senza sapere come far passare il tempo, dilettandosi con playstation e lap dance a domicilio, vivendo in albergo dove, per soddisfare qualche bisogno, basta sollevare la cornetta del telefono e parlare con la reception. Anzi, questo stile di vita sono sicuro che sia ricercato e apprezzato. Il Ferrarino e il far niente dalla mattina alla sera fino a stordirsi di noia ha sicuramente stuoli di estimatori in tutto il mondo. E da qualche parte c'è sicuramente anche qualcuno che è cresciuto con genitori che consideravano i figli come degli impicci che ostacolavano progetti e divertimenti.
Somewhere è un film dolente che non può non scuotere e colpire lo spettatore; Johnny e sua figlia Cloe, quasi scoperta undicenne da suo padre, ricordano neanche tanto alla lontana un precedente film della Coppola, Lost in Translation con Bill Murray, che narra ugualmente di padri e figli ritrovati (e cercati). Anzi per essere precisi figlie, al femminile. Certo Bill Murray è un'altra cosa, un attore di ben altra caratura e lì la vicenda era più strutturata e indagata. Tuttavia Somewhere rimane un film piacevole e interessante che lancia la piccola e brava Elle Fanning, sorella della più famosa e vista Dakota, decisamente la migliore interprete dell'intero cast.
Una curiosità. Johnny parte per l'Italia per il lancio di un suo film. Qui alloggia in una principesca suite in un albergo di Milano, partecipa ad una serata di gala per la consegna di un premio e quasi rischia di andare a cena col sindaco (la Moratti?, ma non viene nominata esplicitamente). Dell'Italia non si vede niente altro se non un poliziotto all'aeroporto che si autoscatta una foto con la famosa star di passaggio e qualche personaggio dello spettacolo durante lo show (la Ventura presentatrice con la Marini ballerina). Nel complesso un' Italia abbastanza penosa e scintilolante di opulenza e lustrini con il politico di turno in agguato per fare passerella. Ma assolutamente niente di più. Che Sofia Coppola ci abbia azzeccato nel cogliere solo questi aspetti dell'Italia? Che sia questo e non altro ciò che traspare all'estero del nostro paese contemporaneo?
Regia di Sofia Coppola, con Stephen Dorff, Elle Fanning.
[Voto: 3.5 su 5]
Somewhere di Sofia Coppola, presentato in questi giorni alla Mostra di Venezia, ci riporta a vedere e parlare di cinema di qualità dopo un'estate quanto mai povera di film apprezzabili. Dico subito che Somewhere è un film estenuante e faticoso per lo spettatore, che necessita di un atto di fiducia verso l'autrice perchè non è affatto di facile approccio. La Coppola ci narra la storia di Johnny Marco, attore giovane e belloccio dall'aspetto stropicciato che va tanto di moda adesso, con qualche grosso problema esistenziale e una vita condotta in modo totalmente disordinato e improvvisato. Se ne va in giro con la sua Ferrari, spesso senza neppure una meta, tra una pasticca el'altra se la gode con amanti occasionali con le quali riesce ad addormentarsi improvvisamente nel pieno di un rapporto di letto, si trascina tra una festa e l'altra senza uno straccio di amico/a che vada oltre la scopata di una notte o anche meno. Si accorge di avere una figlia solo quando gli viene recapitata dalla moglie divorziata, ma non sa nulla di lei. Un estraneo con tutto e con tutti, senza veri affetti, senza interessi. Una vita di merda, se mi passate il francesismo poetico. Sofia Coppola ci mostra il protagonista nella sua abulia con una dilatazione estrema dei tempi delle riprese, inquadrature fisse e lunghissime, dialoghi assenti o quasi. Perfetto per buttarci con angoscia nel mondo di Johnny, fatto di noia e di nulla. Ma ad un certo punto la ex moglie gli affida la figlia Cleo per qualche settimana, avendo voglia di starsene un po' per i fatti suoi, probabilmente a sua volta alle prese con qualche amante di passaggio. Il piccolo e biondo pacco postale di nome Cleo raggiunge dunque il suo papà che è però alle prese con un viaggio in Italia per il lancio del suo ultimo film. Partono forzatamente insieme...
Mi fermo qui, senza aggiungere altro, non perchè ci siano finali a sorpresa o sviluppi particolari da non svelare, ma perchè il prosieguo della storia va comunque gustato in prima persona senza anticipazioni.
Da qualche parte (Somewhere) c'è sicuramente qualcuno che vive la sua quotidianità come Johnny Marco. Anzi non saranno certamente pochi quelli come lui che non hanno preoccupazioni finanziarie, che vivono senza sapere come far passare il tempo, dilettandosi con playstation e lap dance a domicilio, vivendo in albergo dove, per soddisfare qualche bisogno, basta sollevare la cornetta del telefono e parlare con la reception. Anzi, questo stile di vita sono sicuro che sia ricercato e apprezzato. Il Ferrarino e il far niente dalla mattina alla sera fino a stordirsi di noia ha sicuramente stuoli di estimatori in tutto il mondo. E da qualche parte c'è sicuramente anche qualcuno che è cresciuto con genitori che consideravano i figli come degli impicci che ostacolavano progetti e divertimenti.
Somewhere è un film dolente che non può non scuotere e colpire lo spettatore; Johnny e sua figlia Cloe, quasi scoperta undicenne da suo padre, ricordano neanche tanto alla lontana un precedente film della Coppola, Lost in Translation con Bill Murray, che narra ugualmente di padri e figli ritrovati (e cercati). Anzi per essere precisi figlie, al femminile. Certo Bill Murray è un'altra cosa, un attore di ben altra caratura e lì la vicenda era più strutturata e indagata. Tuttavia Somewhere rimane un film piacevole e interessante che lancia la piccola e brava Elle Fanning, sorella della più famosa e vista Dakota, decisamente la migliore interprete dell'intero cast.
Una curiosità. Johnny parte per l'Italia per il lancio di un suo film. Qui alloggia in una principesca suite in un albergo di Milano, partecipa ad una serata di gala per la consegna di un premio e quasi rischia di andare a cena col sindaco (la Moratti?, ma non viene nominata esplicitamente). Dell'Italia non si vede niente altro se non un poliziotto all'aeroporto che si autoscatta una foto con la famosa star di passaggio e qualche personaggio dello spettacolo durante lo show (la Ventura presentatrice con la Marini ballerina). Nel complesso un' Italia abbastanza penosa e scintilolante di opulenza e lustrini con il politico di turno in agguato per fare passerella. Ma assolutamente niente di più. Che Sofia Coppola ci abbia azzeccato nel cogliere solo questi aspetti dell'Italia? Che sia questo e non altro ciò che traspare all'estero del nostro paese contemporaneo?
domenica 5 settembre 2010
Frustate e lapidazioni nel nome di Dio
Dall'Iran ci arriva in questi giorni una ulteriore lezione di "civiltà coranica", o almeno quella che gli integralisti islamici reputano e spacciano essere civiltà e rispetto della legge coranica. Oggi infatti potrebbe essere la fine di Sakineh Mohammadi-Ashtiani, la donna iraniana condannata a morte per lapidazione con l'accusa di adulterio. Non entro neppure nel merito se l'accusa sia provata e veritiera, non mi interessa assolutamente. Perchè se anche lo fosse, si tratterebbe comunque di un atto di inciviltà sia per la condanna a morte in sè, sia per le barbare modalità dell'esecuzione. La lapidazione è infatti molto più che un atto barbaro, è qualcosa di orrendamente inumano come poche altre forme di uccisione legalizzata che passano sotto forma di atto di giustizia.
E come se non bastasse, quegli esseri ignobili che amministrano la giustizia in nome di Dio hanno pensato bene di infliggere la pena di 99 frustate a quella povera donna perchè colpevole di essersi mostrata in pubblico con il volto scoperto, senza velo. Per non parlare della finta esecuzione di cui si è letto nei giorni scorsi. Annunciare alla condannata che entro pochi minuti sarebbe stata lapidata quando invece non era ancora giunta la sua ora è una perversa e sadica forma di tortura che la dice lunga sullo stato psichico e mentale dei suoi aguzzini.
Temo, invece,che le proteste internazionali non serviranno a nulla, non a salvare la vita a Sakineh. Perchè rinunciare alla lapidazione sarebbe una capitolazione del regime iraniano con conseguenze politiche intuibili, soprattutto interne. Insomma ci rimetterebbero la faccia e questo non è politicamente accettabile per chi fa della forza e dell'autoritarismo una caratteristica di governo imprescindibile.
Ma una considerazione niente affatto marginale va fatta. Stiamo assistendo alla campagna internazionale a favore di Sakineh Mohammadi-Ashtiani, con appelli e proteste che arrivano da tutto il mondo cosiddetto civile. Ma il paradosso è che buona parte di quegli appelli legalitari e umanitari prendono origine in paesi che ammettono e praticano con regolarità la pena di morte. Ma questo sembra essere un dettaglio insignificante su cui sorvolare. Perchè se ad uccidere in nome di Dio o della Legge sono nazioni come gli Usa o la Cina o molti altri in tutto il mondo, pochi hanno da obiettare alcunchè, salvo le solite organizzazioni tipo Amnesty che ormai non fanno più notizia. Mentre se ad uccidere nel nome di Dio e della Legge è l'Iran tutti si adombrano, si scandalizzano e invocano clemenza. E se scende in campo la première femme Carlà Brunì , in Iran sono tutti sul chi va là, letteralmente terrorizzati e sconvolti dalle conseguenze della presa di posizione di Madame Sarkozy che potrebbe anche decidere di non fare shopping per un paio di giorni in segno di protesta....Temo, invece,che le proteste internazionali non serviranno a nulla, non a salvare la vita a Sakineh. Perchè rinunciare alla lapidazione sarebbe una capitolazione del regime iraniano con conseguenze politiche intuibili, soprattutto interne. Insomma ci rimetterebbero la faccia e questo non è politicamente accettabile per chi fa della forza e dell'autoritarismo una caratteristica di governo imprescindibile.
Come non pensare che sulla pelle di Sakineh non ci sia chi specula per farsi facile pubblicità e rifarsi il trucco con un'edulcorata immagine legalitaria politically correct?
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venerdì 3 settembre 2010
Un'equazione al posto di Dio
E' in uscita un nuovo libro di Stephen Hawking, il famoso astrofisico considerato l'erede di Newton e di Einstein. Insegna a Cambridge, gira in carrozzina a causa di una grave malattia che lo rende sempre più inabile e gira il mondo a fare conferenze. Una mente geniale come poche altre sulla terra, in ogni tempo.
Il nuovo libro si intitola The Grand Design, con le maiuscole per ogni parola, a significare che grand (grande) e design (progetto) non sono termini generici qualsiasi, ma sono "IL" grande progetto, ovvero la Creazione del mondo, di tutto ciò che è, è stato e sarà. Insomma l'opera di Dio. Naturalmente il punto di vista, l'angolatura attraverso cui sbirciare la realtà, è quella dello scienziato. E come fece forse per la prima volta Charles Darwin con la sua teoria positivistica dell'evoluzione, Hawking arriva a ipotizzare che per accettare l'idea della Creazione, del Creato così come lo osserviamo, non è necessaria la figura di Dio ma è ammissibile una spiegazione meccanicistica. L'universo può essersi creato da sè, può essersi creato in maniera autonoma, in virtù dell'esistenza di una semplice (si fa per dire) e unica legge fisica: la forza di gravità.
Minchia! Il Big Bang, la scintilla che diede vita al processo di espansione dell'universo e la sua successiva espansione, la nascita di stelle e pianeti, di galassie e nebulose, dell'aria e della terra, dell'acqua e degli esseri viventi potrebbe essere frutto di un meccanismo naturale che avrebbe preso il via senza bisogno di interventi "esterni". Anche solo detta così, questa cosa mi fa andare via di testa. Non voglio neppure tentare di addentrami nei particolari, perchè tanto so che sarebbero fatica e tempo sprecati, Ma il concetto del Nulla e del Creato, prima e dopo il Big bang, è di per sè affascinante. Mi stordisce. Se c'è il nulla prima, come fa ad esserci il creato dopo senza una volontà precisa? Il concetto di nulla è ancora qualcosa di più totale ed assoluto del vuoto, va direttamente a interfacciarsi con la sfera filosofica. Come si fa a non vedere qualcosa di soprannaturale nel passaggio dal nulla a qualcosa che poi sfocerà nella materia esplosa col Big Bang? Mi rendo conto della povertà del mio concetto, ma francamente è difficile fare altrimenti per un mediamente ignorante come io mi ritengo. Dice Hawking: la sola legge di gravità può bastare a spiegare tutto. OK mi può stare bene. Ma facendo un banale passettino indietro, l'esistenza di tale legge n. 1 come si spiega o come si giustifica? Chi o cosa ha messo lì quella legge fisica? Se non esisteva nulla, se non c'era nulla da sottoporre alla gravità che motivo e ragione di esistere poteva avere in un ambito in cui per definizione non c'era niente di niente? E dunque ad un certo punto qualcuno o qualcosa dovrà pur aver dato inizio anche solo alla singola legge che secondo Hawking può spiegare tutto, innestando un meccanismo sequenziale e naturale che ha portato a tutto il resto. E come svincolare questa scintilla iniziale dal concetto di un essere supremo, a Dio? O sarebbe sufficiente accettare l'esistenza "spontanea" di questa legge n.1 senza fare quel passettino indietro chiedendosi chi ce l'abbia messa lì quella legge?
Sono convinto che l'uomo potrebbe passare i prossimi centomila anni a farsi queste domande senza poterne venire a capo. Salvo che, nel frattempo, menti geniali come Stephen Hawking non elaborino qualche convincente equazione da sostituire a Dio.
Il nuovo libro si intitola The Grand Design, con le maiuscole per ogni parola, a significare che grand (grande) e design (progetto) non sono termini generici qualsiasi, ma sono "IL" grande progetto, ovvero la Creazione del mondo, di tutto ciò che è, è stato e sarà. Insomma l'opera di Dio. Naturalmente il punto di vista, l'angolatura attraverso cui sbirciare la realtà, è quella dello scienziato. E come fece forse per la prima volta Charles Darwin con la sua teoria positivistica dell'evoluzione, Hawking arriva a ipotizzare che per accettare l'idea della Creazione, del Creato così come lo osserviamo, non è necessaria la figura di Dio ma è ammissibile una spiegazione meccanicistica. L'universo può essersi creato da sè, può essersi creato in maniera autonoma, in virtù dell'esistenza di una semplice (si fa per dire) e unica legge fisica: la forza di gravità.
Minchia! Il Big Bang, la scintilla che diede vita al processo di espansione dell'universo e la sua successiva espansione, la nascita di stelle e pianeti, di galassie e nebulose, dell'aria e della terra, dell'acqua e degli esseri viventi potrebbe essere frutto di un meccanismo naturale che avrebbe preso il via senza bisogno di interventi "esterni". Anche solo detta così, questa cosa mi fa andare via di testa. Non voglio neppure tentare di addentrami nei particolari, perchè tanto so che sarebbero fatica e tempo sprecati, Ma il concetto del Nulla e del Creato, prima e dopo il Big bang, è di per sè affascinante. Mi stordisce. Se c'è il nulla prima, come fa ad esserci il creato dopo senza una volontà precisa? Il concetto di nulla è ancora qualcosa di più totale ed assoluto del vuoto, va direttamente a interfacciarsi con la sfera filosofica. Come si fa a non vedere qualcosa di soprannaturale nel passaggio dal nulla a qualcosa che poi sfocerà nella materia esplosa col Big Bang? Mi rendo conto della povertà del mio concetto, ma francamente è difficile fare altrimenti per un mediamente ignorante come io mi ritengo. Dice Hawking: la sola legge di gravità può bastare a spiegare tutto. OK mi può stare bene. Ma facendo un banale passettino indietro, l'esistenza di tale legge n. 1 come si spiega o come si giustifica? Chi o cosa ha messo lì quella legge fisica? Se non esisteva nulla, se non c'era nulla da sottoporre alla gravità che motivo e ragione di esistere poteva avere in un ambito in cui per definizione non c'era niente di niente? E dunque ad un certo punto qualcuno o qualcosa dovrà pur aver dato inizio anche solo alla singola legge che secondo Hawking può spiegare tutto, innestando un meccanismo sequenziale e naturale che ha portato a tutto il resto. E come svincolare questa scintilla iniziale dal concetto di un essere supremo, a Dio? O sarebbe sufficiente accettare l'esistenza "spontanea" di questa legge n.1 senza fare quel passettino indietro chiedendosi chi ce l'abbia messa lì quella legge?
Sono convinto che l'uomo potrebbe passare i prossimi centomila anni a farsi queste domande senza poterne venire a capo. Salvo che, nel frattempo, menti geniali come Stephen Hawking non elaborino qualche convincente equazione da sostituire a Dio.
domenica 29 agosto 2010
Film visti. Giustizia privata
Giustizia privata
regia di F. Gary Gray, con Gerard Butler, Jamie Foxx.
Voto: 2,5 su 5
Film di genere, della serie "e adesso mi faccio giustizia da solo", del brav'uomo che subisce un'atroce ingiustizia senza ricevere giustizia, che s'incazza di brutto e si scatena in una vendetta spietata. Quanti ne abbiamo visti di film così? Decine, a cominciare dal mitico Charles Bronson degli anni 70. Il film è tutto qui, i trailers annunciano già tutto quello che c'è da vedere. Per gli amanti del genere è senz'altro da consigliare, sebbene la vicenda assuma risvolti poco credibili e assolutamente irreali. Non manca comunque di essere un film avvincente e spettacolare.
Ma è l'argomento trattato che merita qualche considerazione, perchè va a toccare qualche nervo scoperto soprattutto nella nostra Italia di questi anni.
Succede che i cattivi di turno, una volta presi dalla polizia vengono processati e per via di particolari meccanismi processuali vigenti in America, uno dei due patteggi la pena scaricando colpe e responsabilità sul complice, cavandosela con soli tre anni di carcere. Mentre l'altro, quello meno trucido, si becca la condanna a morte. Insomma con una condanna a morte -eseguita- di mezzo, tutto si può dire tranne che si tratti di giustizia che non funziona o che sia troppo indulgente con i colpevoli. Invece il filo conduttore del film è proprio questo. Con il bravo corollario di accuse ai giudici che sono troppo buonisti, troppo rispettosi dei diritti civili degli imputati, di leggi e di regolamenti e via dicendo.
Cosa vi ricordano questi discorsi? E' esattamente quello che si sente dire in Italia da anni, da troppo tempo, da quando una certa mentalità forcaiola e giustizialista si è fatta strada nell'opinione pubblica. Da quando l'amministrazione della giustizia è sempre più in affanno, da quando indulti e condoni si succedono più per mascherare manchevolezze o inadeguatezze del sistema che per spirito di indulgenza. Col risultato che basta ascoltare i discorsi che si fanno in giro o che si leggono su certi giornali o sono strombazzati da certi politici abili a cavalcare il malcontento popolare, per scoprire che gli italiani sono o sarebbero inclini a farsi giustizia da soli invece di affidarsi alla legge. Salvo poi constatare che quegli stessi politici si guardano bene dal mettere mano alle leggi come sarebbe loro compito di legislatori parlamentari. Molto più comodo scaricare responsabilità su giudici e magistrati che assumersele in prima persona, le responsabilità....
Dunque il desiderio di forca e di grossolana giustizia sommaria, senza andare troppo per il sottile, è comune sia nei paesi come l'America dove le condanne a morte già fioccano quasi quotidianamente, come pure nei paesi come l'Italia che sono decisamente più "morbidi" verso i delinquenti e dove soprattutto esiste la convinzione che esista una specie di impunità per chi delinque. Ergo: non è la pena di morte tanto spesso invocata dai "duri e puri" a cambiare lo stato delle cose e il comune sentire dell'opinione pubblica, bensì la certezza delle pene. Ovvero un delitto non può rimanere impunito o non adeguatamente punito per cavilli legali o alchimie processuali. E non si tratta certamente di buonismo, vero o presunto. Non è ammissibile che vi siano scorciatoie da imboccare per evitare una giusta pena che sia commisurata alla gravità del delitto. Occorre fare esempi? Basti pensare alle stragi compiute da ubriachi e drogati al volante, i cui colpevoli sono al massimo perseguibili per omicidio colposo e se la cavano con pochi anni di galera (e neanche sempre). Una vita presa e spezzata merita rispetto prima di tutto verso la stessa vittima e poi anche verso i suoi familiari, che con una giustizia giusta e che funziona non riavranno in vita il loro caro, ma certamente non si troveranno di fronte per strada il colpevole dopo solo una paio di anni di galera, se non addirittura prima. Pronto a ricominciare.
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regia di F. Gary Gray, con Gerard Butler, Jamie Foxx.
Voto: 2,5 su 5
Film di genere, della serie "e adesso mi faccio giustizia da solo", del brav'uomo che subisce un'atroce ingiustizia senza ricevere giustizia, che s'incazza di brutto e si scatena in una vendetta spietata. Quanti ne abbiamo visti di film così? Decine, a cominciare dal mitico Charles Bronson degli anni 70. Il film è tutto qui, i trailers annunciano già tutto quello che c'è da vedere. Per gli amanti del genere è senz'altro da consigliare, sebbene la vicenda assuma risvolti poco credibili e assolutamente irreali. Non manca comunque di essere un film avvincente e spettacolare.
Ma è l'argomento trattato che merita qualche considerazione, perchè va a toccare qualche nervo scoperto soprattutto nella nostra Italia di questi anni.
Succede che i cattivi di turno, una volta presi dalla polizia vengono processati e per via di particolari meccanismi processuali vigenti in America, uno dei due patteggi la pena scaricando colpe e responsabilità sul complice, cavandosela con soli tre anni di carcere. Mentre l'altro, quello meno trucido, si becca la condanna a morte. Insomma con una condanna a morte -eseguita- di mezzo, tutto si può dire tranne che si tratti di giustizia che non funziona o che sia troppo indulgente con i colpevoli. Invece il filo conduttore del film è proprio questo. Con il bravo corollario di accuse ai giudici che sono troppo buonisti, troppo rispettosi dei diritti civili degli imputati, di leggi e di regolamenti e via dicendo.
Cosa vi ricordano questi discorsi? E' esattamente quello che si sente dire in Italia da anni, da troppo tempo, da quando una certa mentalità forcaiola e giustizialista si è fatta strada nell'opinione pubblica. Da quando l'amministrazione della giustizia è sempre più in affanno, da quando indulti e condoni si succedono più per mascherare manchevolezze o inadeguatezze del sistema che per spirito di indulgenza. Col risultato che basta ascoltare i discorsi che si fanno in giro o che si leggono su certi giornali o sono strombazzati da certi politici abili a cavalcare il malcontento popolare, per scoprire che gli italiani sono o sarebbero inclini a farsi giustizia da soli invece di affidarsi alla legge. Salvo poi constatare che quegli stessi politici si guardano bene dal mettere mano alle leggi come sarebbe loro compito di legislatori parlamentari. Molto più comodo scaricare responsabilità su giudici e magistrati che assumersele in prima persona, le responsabilità....
Dunque il desiderio di forca e di grossolana giustizia sommaria, senza andare troppo per il sottile, è comune sia nei paesi come l'America dove le condanne a morte già fioccano quasi quotidianamente, come pure nei paesi come l'Italia che sono decisamente più "morbidi" verso i delinquenti e dove soprattutto esiste la convinzione che esista una specie di impunità per chi delinque. Ergo: non è la pena di morte tanto spesso invocata dai "duri e puri" a cambiare lo stato delle cose e il comune sentire dell'opinione pubblica, bensì la certezza delle pene. Ovvero un delitto non può rimanere impunito o non adeguatamente punito per cavilli legali o alchimie processuali. E non si tratta certamente di buonismo, vero o presunto. Non è ammissibile che vi siano scorciatoie da imboccare per evitare una giusta pena che sia commisurata alla gravità del delitto. Occorre fare esempi? Basti pensare alle stragi compiute da ubriachi e drogati al volante, i cui colpevoli sono al massimo perseguibili per omicidio colposo e se la cavano con pochi anni di galera (e neanche sempre). Una vita presa e spezzata merita rispetto prima di tutto verso la stessa vittima e poi anche verso i suoi familiari, che con una giustizia giusta e che funziona non riavranno in vita il loro caro, ma certamente non si troveranno di fronte per strada il colpevole dopo solo una paio di anni di galera, se non addirittura prima. Pronto a ricominciare.
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La Notte della Taranta
Ieri, 28 agosto, era la Notte della Taranta. Trasmessa in diretta integralmente via internet dal sito del Corriere della sera (corriere.it). Cos'è la taranta? In breve, la taranta è un ballo popolare salentino al ritmo di pizzica che affonda le sue radici nelle antiche superstizioni, tra il sacro e il profano, secondo le quali le donne erano soggette ad essere impossessate e indemoniate in seguito al morso della tarantola. Conseguenza era una specie di delirio irrefrenabile delle poverette dovuto al veleno del ragno. Da qui il ballo sfrenato in stato di trance che durava anche per ore fino allo sfinimento mentale e fisico.
La Notte della Taranta è un festival di musica popolare salentina, la cosiddetta pizzica, che si svolge in vari comuni della provincia di Lecce e della Grecia Salentina che vede il suo clou nel mese di agosto. Il tour per i paesi del Salento si conclude con il grande concerto finale di Melpignano, che dura fino a tarda notte alla presenza di decine di migliaia di spettatori. Un vero e proprio evento che col passare degli anni ha assunto una portata sempre maggiore e una fama anche internazionale con la partecipazione di importanti ospiti stranieri. Il concertone finale di Melpignano è coordinato artisticamente da una personalità di grande fama che cambia quasi ad ogni edizione. Finora nel ruolo di maestro concertatore si sono succeduti grandi artisti, tra i quali Joe Zawinul (ex Weather Report), Ambrogio Sparagna, Stewart Copeland (ex Police), Mauro Pagani e per ultimo Ludovico Einaudi. Non c'è male...
Il Salento è una regione molto bella; ci sono stato parecchie volte in vacanza, oltre ad aver abitato a Lecce da piccolo quando mio padre, essendo militare, cambiava sede molto spesso e nei trasferimenti si portava dietro la famiglia. Cioè anche il sottoscritto che ha fatto le scuole elementari un po' qua e un po' là. Uno stress dover cambiare ambiente, amici e compagni di scuola, ma che ha contribuito a rendermi consapevole fin da bambino che esistono diverse realtà al di fuori del nucleo famigliare e della propria città. Ma questo non c'entra molto con la Taranta...
La prima volta che ho sentito il ritmo della pizzica e l'ho vista ballare ero al mare in Puglia e sulla spiaggia verso sera, quando la temperatura si addolcisce e il sole si avvia al tramonto, qualcuno mise su una cassetta su un portatile (all'epoca non esistevano ancora i CD nè tantomeno gli mp3 e diavolerie simili) e una ragazza della compagnia si mise a ballare. Bella e brava la ragazza, accattivante la musica ritmata da tamburelli e fisarmonica, et voilà... innamorarsi della pizzica è stato quasi obbligatorio. Un ritmo che entra nel sangue e invita a danzare anche un ippopotamo come il sottoscritto, sebbene con esiti al limite dell'osceno. Tentativo per fortuna isolato e mai più ripetuto per il bene della comunità. Ma rimane la passione per la taranta, con il rimpianto di non aver mai avuto la possibilità di andare al concertone di Melpignano. Per cui mi devo accontentare di CD e qualche video reperibile in internet. Ma ne vale la pena. Vedere e ascoltare per credere:
(feste in piazza)
http://www.youtube.com/watch?v=jtX9wXjAA14&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=V2dpYB-SDHQ&feature=related
[la classicissima Ballati tutti quanti (lu core meu)]
http://www.youtube.com/watch?v=mEVB_QAtgwI&feature=related
La Notte della Taranta è un festival di musica popolare salentina, la cosiddetta pizzica, che si svolge in vari comuni della provincia di Lecce e della Grecia Salentina che vede il suo clou nel mese di agosto. Il tour per i paesi del Salento si conclude con il grande concerto finale di Melpignano, che dura fino a tarda notte alla presenza di decine di migliaia di spettatori. Un vero e proprio evento che col passare degli anni ha assunto una portata sempre maggiore e una fama anche internazionale con la partecipazione di importanti ospiti stranieri. Il concertone finale di Melpignano è coordinato artisticamente da una personalità di grande fama che cambia quasi ad ogni edizione. Finora nel ruolo di maestro concertatore si sono succeduti grandi artisti, tra i quali Joe Zawinul (ex Weather Report), Ambrogio Sparagna, Stewart Copeland (ex Police), Mauro Pagani e per ultimo Ludovico Einaudi. Non c'è male...
Il Salento è una regione molto bella; ci sono stato parecchie volte in vacanza, oltre ad aver abitato a Lecce da piccolo quando mio padre, essendo militare, cambiava sede molto spesso e nei trasferimenti si portava dietro la famiglia. Cioè anche il sottoscritto che ha fatto le scuole elementari un po' qua e un po' là. Uno stress dover cambiare ambiente, amici e compagni di scuola, ma che ha contribuito a rendermi consapevole fin da bambino che esistono diverse realtà al di fuori del nucleo famigliare e della propria città. Ma questo non c'entra molto con la Taranta...
La prima volta che ho sentito il ritmo della pizzica e l'ho vista ballare ero al mare in Puglia e sulla spiaggia verso sera, quando la temperatura si addolcisce e il sole si avvia al tramonto, qualcuno mise su una cassetta su un portatile (all'epoca non esistevano ancora i CD nè tantomeno gli mp3 e diavolerie simili) e una ragazza della compagnia si mise a ballare. Bella e brava la ragazza, accattivante la musica ritmata da tamburelli e fisarmonica, et voilà... innamorarsi della pizzica è stato quasi obbligatorio. Un ritmo che entra nel sangue e invita a danzare anche un ippopotamo come il sottoscritto, sebbene con esiti al limite dell'osceno. Tentativo per fortuna isolato e mai più ripetuto per il bene della comunità. Ma rimane la passione per la taranta, con il rimpianto di non aver mai avuto la possibilità di andare al concertone di Melpignano. Per cui mi devo accontentare di CD e qualche video reperibile in internet. Ma ne vale la pena. Vedere e ascoltare per credere:
(feste in piazza)
http://www.youtube.com/watch?v=jtX9wXjAA14&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=V2dpYB-SDHQ&feature=related
[la classicissima Ballati tutti quanti (lu core meu)]
http://www.youtube.com/watch?v=mEVB_QAtgwI&feature=related
lunedì 23 agosto 2010
Mondadori? No grazie
Non bastava il conflitto di interessi e le leggi ad personam. Adesso in Italia si devono subire anche le leggi ad aziendam. Lo scandalo di questi giorni va infatti sotto questo nome fantasioso ma efficace. Si tratta del risparmio fiscale di oltre 350 milioni di euro di cui beneficia la Mondadori, casa editrice di proprietà berlusconiana. La quale deve al fisco una cifra iperbolica con un arretrato di circa venti anni, con un contenzioso enorme e due sentenze del tribunale. In attesa del terzo grado di giudizio e del rischio di un possibile pagamento del mostruoso debito in caso di condanna, interviene provvidenzialmente una leggina che salva la situazione e considera estinto il debito con un obolo pari solo al 5% della cifra complessiva debitoria. Si tratta di circa otto milioni contro i 350 e senza un centesimo di interessi. Un bel risparmio! Alla faccia di chi paga la sua brava mora per il tardato pagamento di una bolletta o del bollo della macchina. Ma queste sono quisquiglie riservate ai cittadini comuni, non a chi il potere di legiferare ce l'ha e lo usa per i propri comodi.
Succede a questo punto che uno scrittore in forza alla Mondadori si ponga la domanda e faccia affiorare il dubbio se sia giusto tutto questo. Ovvero se sia tollerabile per uno scrittore continuare a pubblicare per questo editore così palesemente e sfacciatamente favorito da questa legge ad aziendam, creando oltretutto un danno per la collettività di centinaia di milioni di euro. Questo autore in forza alla squadra Mondadori è il teologo Vito Mancuso. Ho sul comodino il suo libro a quattro mani scritto con Corrado Augias "Disputa su Dio e dintorni" e mi riprometto di leggerlo quanto prima. Uno scrittore di successo, oltre che un teologo affermato e riconosciuto. Un intellettuale che si pone dei dubbi attraverso le pagine del quotidiano Repubblica, riprese poi da tutti gli altri giornali.
Per saperne di più:
http://www.repubblica.it/politica/2010/08/21/news/io_autore_mondadori_e_lo_scandalo_ad_aziendam-6407472/index.html?ref=search
http://www.repubblica.it/politica/2010/08/23/news/mondadori_mancuso-6442732/index.html?ref=search
http://genova.repubblica.it/cronaca/2010/08/23/news/don_gallo-6444638/index.html?ref=search
http://www.corriere.it/politica/10_agosto_23/il-teologo-e-segrate-risposta-insufficiente-a-un-passo-dall-addio-cristina-taglietti_af1ef4f2-ae79-11df-92e9-00144f02aabe.shtml?fr=box_primopiano
Raccolgo la questione da lui posta e da ora in poi non acquisterò più libri della Mondadori. Intendo boicottare questa casa editrice che gode di favoritismi così scandalosamente iniqui. Nel mio piccolo non credo di poter avere significativa influenza sul caso, compro circa una ventina di libri all'anno e solo una parte di questi è di Mondadori, ma spero che come me facciano in tanti appassionati di libri. E più saremo meglio sarà. E' ora di dare un segnale forte per far sapere che gli italiani sono stufi di questo stato di cose e dei favoritismi a forzaq di leggi e leggine.
Intanto c'è già una serie di autori che sta cambiando editore per non avere nulla a che fare con Mondadori. Mi auguro che sia solo l'inizio di un esodo in massa.
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Succede a questo punto che uno scrittore in forza alla Mondadori si ponga la domanda e faccia affiorare il dubbio se sia giusto tutto questo. Ovvero se sia tollerabile per uno scrittore continuare a pubblicare per questo editore così palesemente e sfacciatamente favorito da questa legge ad aziendam, creando oltretutto un danno per la collettività di centinaia di milioni di euro. Questo autore in forza alla squadra Mondadori è il teologo Vito Mancuso. Ho sul comodino il suo libro a quattro mani scritto con Corrado Augias "Disputa su Dio e dintorni" e mi riprometto di leggerlo quanto prima. Uno scrittore di successo, oltre che un teologo affermato e riconosciuto. Un intellettuale che si pone dei dubbi attraverso le pagine del quotidiano Repubblica, riprese poi da tutti gli altri giornali.
Per saperne di più:
http://www.repubblica.it/politica/2010/08/21/news/io_autore_mondadori_e_lo_scandalo_ad_aziendam-6407472/index.html?ref=search
http://www.repubblica.it/politica/2010/08/23/news/mondadori_mancuso-6442732/index.html?ref=search
http://genova.repubblica.it/cronaca/2010/08/23/news/don_gallo-6444638/index.html?ref=search
http://www.corriere.it/politica/10_agosto_23/il-teologo-e-segrate-risposta-insufficiente-a-un-passo-dall-addio-cristina-taglietti_af1ef4f2-ae79-11df-92e9-00144f02aabe.shtml?fr=box_primopiano
Raccolgo la questione da lui posta e da ora in poi non acquisterò più libri della Mondadori. Intendo boicottare questa casa editrice che gode di favoritismi così scandalosamente iniqui. Nel mio piccolo non credo di poter avere significativa influenza sul caso, compro circa una ventina di libri all'anno e solo una parte di questi è di Mondadori, ma spero che come me facciano in tanti appassionati di libri. E più saremo meglio sarà. E' ora di dare un segnale forte per far sapere che gli italiani sono stufi di questo stato di cose e dei favoritismi a forzaq di leggi e leggine.
Intanto c'è già una serie di autori che sta cambiando editore per non avere nulla a che fare con Mondadori. Mi auguro che sia solo l'inizio di un esodo in massa.
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domenica 22 agosto 2010
Film visti. Quando l'uomo gioca a fare Dio...
SPLICE Regia di Vincenzo Natali.
Con Adrien Brody, Sarah Polley, Delphine Chanéac.
[Voto: 2,5 su 5]
Premessa: per fortuna che l'estate sta finendo e, con il cambio di stagione, al cinema torneranno film degni di questo nome....
Cominciamo con l'inquadrare il film. Una coppia di scienziati biochimici e geniali ricercatori nel campo della genetica. Coppia anche nella vita, oltre che nel lavoro. Delle creature animali o quasi, create artificialmente per estrane principi attivi da utilizzare nell'industria farmaceutica da una grande multinazionale. Tra alti e bassi il loro lavoro li abitua ad avere dimestichezza con la vita, crearla e modificarla a piacimento. Ma ad un certo punto si presenta l'occasione di fare un salto di qualità: sperimentare sul DNA umano e non più soltanto su quello animale. Questo l'inizio della storia che si preannuncia abbastanza interessante e convincente. Non si fa fatica ad immaginare che la realtà nei laboratori segreti di qualche industria farmaceutica sia esattamente così, se non di più o peggio. Il film affronta la tematica ponendo dei dubbi sulla liceità della ricerca se di mezzo ci sono degli esseri umani. E lo fa in modo curioso. I due sono una coppia che in qualche modo generano una vita, sia pure in provetta. E' proibito dalle leggi e dalla morale, ma lei convince lui ad infrangere le regole. Vi dice nulla? Non ricorda la storia di Adamo ed Eva nel paradiso terrestre, con Eva nel ruolo di subdola tentatrice? E alla nascita della creatura i due si trovano ad affrontare gli imprevisti più banali, così come farebbe una giovane coppia di sposi: i pianti del bebè, le pappe, i capricci, l'apprendimento. Con la differenza che la creatura (Dren il suo nome, che è Nerd letto al contrario) fa tutto alla velocità della luce, merito dei suoi super cromosomi. Il regista Vincenzo Natali (canadese, a dispetto del nome italiano, e già autore di un claustrofobico film di successo di qualche anno fa, "The cube") e i suoi sceneggiatori affrontano con grande attenzione sul piano psicologico il rapporto che si instaura con una creatura ‘diversa' alla quale entrambi i protagonisti, ognuno con la propria sensibilità, sentono di dover dare cure e attenzioni. E forse questa è la parte più interessante del film, salvo poi sbarellare alquanto e perdersi in un ridicolo finale quasi-horror. Un peccato perchè per gli amanti del genere fantascientifico certamente Splice (in inglese: innestare) avrebbe potuto occupare un posto di riguardo tra le loro preferenze.
Nota a margine. In questa piatta estate cinematografica 2010 il protagonista Adrien Brody (quello del Pianista di Polanski) è al suo secondo o terzo film nelle sale. Uno peggiore dell'altro. Che sia un caso che lo abbiano relegato rigorosamente in bassissima stagione?
Con Adrien Brody, Sarah Polley, Delphine Chanéac.
[Voto: 2,5 su 5]
Premessa: per fortuna che l'estate sta finendo e, con il cambio di stagione, al cinema torneranno film degni di questo nome....
Cominciamo con l'inquadrare il film. Una coppia di scienziati biochimici e geniali ricercatori nel campo della genetica. Coppia anche nella vita, oltre che nel lavoro. Delle creature animali o quasi, create artificialmente per estrane principi attivi da utilizzare nell'industria farmaceutica da una grande multinazionale. Tra alti e bassi il loro lavoro li abitua ad avere dimestichezza con la vita, crearla e modificarla a piacimento. Ma ad un certo punto si presenta l'occasione di fare un salto di qualità: sperimentare sul DNA umano e non più soltanto su quello animale. Questo l'inizio della storia che si preannuncia abbastanza interessante e convincente. Non si fa fatica ad immaginare che la realtà nei laboratori segreti di qualche industria farmaceutica sia esattamente così, se non di più o peggio. Il film affronta la tematica ponendo dei dubbi sulla liceità della ricerca se di mezzo ci sono degli esseri umani. E lo fa in modo curioso. I due sono una coppia che in qualche modo generano una vita, sia pure in provetta. E' proibito dalle leggi e dalla morale, ma lei convince lui ad infrangere le regole. Vi dice nulla? Non ricorda la storia di Adamo ed Eva nel paradiso terrestre, con Eva nel ruolo di subdola tentatrice? E alla nascita della creatura i due si trovano ad affrontare gli imprevisti più banali, così come farebbe una giovane coppia di sposi: i pianti del bebè, le pappe, i capricci, l'apprendimento. Con la differenza che la creatura (Dren il suo nome, che è Nerd letto al contrario) fa tutto alla velocità della luce, merito dei suoi super cromosomi. Il regista Vincenzo Natali (canadese, a dispetto del nome italiano, e già autore di un claustrofobico film di successo di qualche anno fa, "The cube") e i suoi sceneggiatori affrontano con grande attenzione sul piano psicologico il rapporto che si instaura con una creatura ‘diversa' alla quale entrambi i protagonisti, ognuno con la propria sensibilità, sentono di dover dare cure e attenzioni. E forse questa è la parte più interessante del film, salvo poi sbarellare alquanto e perdersi in un ridicolo finale quasi-horror. Un peccato perchè per gli amanti del genere fantascientifico certamente Splice (in inglese: innestare) avrebbe potuto occupare un posto di riguardo tra le loro preferenze.
Nota a margine. In questa piatta estate cinematografica 2010 il protagonista Adrien Brody (quello del Pianista di Polanski) è al suo secondo o terzo film nelle sale. Uno peggiore dell'altro. Che sia un caso che lo abbiano relegato rigorosamente in bassissima stagione?
Veneto: cattolici e baciabanchi ma gran bestemmiatori
Dal Gazzettino on line (ed. di Padova):
Padova. In campo si bestemmia troppo:
il parroco "sfratta" la squadra di calcio
http://www.gazzettino.it/articolo.php?id=115617
Ecco uno squarcio di Veneto per capire di che pasta siamo fatti da queste parti. Da sempre una roccaforte cattolica conservatrice e tenutaria di valori e tradizioni, feudo della Democrazia cristiana dei tempi d'oro, ora votata ai nuovi dei del centro destra, dominio per anni dell'enfant prodige Giancarlo Galan ex Forza Italia, poi PdL, ora ministro della Repubblica. Culla e ambiente di crescita e sviluppo dell'ideologia celodurista più intransigente attraverso la Liga Veneta agli inizi, poi confluita e assorbita dalla potente e dilagante Lega Nord di Bossi.
Ma la realtà quotidiana e popolare è quella che si legge nell'articolo del Gazzettino. I giocatori e l'entourage della squadretta di calcio locale di S. Elena nella Bassa padovana sono dei gran bestemmiatori, per di più sfacciati e recidivi. Il padrone del campetto dove si allenano e giocano è il parroco, che alla lunga si deve essere stufato di sentire questi incalliti bestemmiatori esercitare la loro blasfemia in casa sua. Un vero e proprio oltraggio, stupido e sprezzante, oltre che maleducato e irriguardoso nei confronti dei credenti. E così alla fine ha perso la pazienza ed ha cacciato via tutti. Che la squadra di calcio si vada a trovare un altro campo da gioco per sfogarsi a calcio & bestemmie. Sciò, via di qua! Proprio come si farebbe in un pollaio con delle galline vocianti e rissose.
Questo è il Veneto, cari amici. Dove tutti si dicono morigerati, ferventi cattolici e brave persone, ma quando possono si sciacquano la bocca con Dio, i santi e i sacramenti. Un perbenismo di facciata, da sbandierare pubblicamente per puro conformismo. Ma è anche il Veneto delle crociate per il mantenimento del crocefisso nelle scuole e nei luoghi pubblici, delle petizioni contro chi osa mettere in discussione la presenza di un simbolo sacro appeso al muro. Naturalmente a discapito di altre fedi e religioni, perchè quella cattolica è la sola, vera e unica religione. Salvo poi bestemmiare alla grande il proprio Dio, sotto gli occhi e le orecchie del signor parroco.
Sottolineo, e dovrebbe essere implicito, che non si tratta di generalizzare indistintamente. Non tutti bestemmiano ovviamente, ma il fenomeno è molto rilevante e diffuso e per di più in continua crescita sia tra giovani e anziani che tra uomini e donne. Personalmente (lo dico per chiarire la mia posizione), mi professo credente, pessimo cattolico, non bestemmio e ritengo che il crocefisso stia bene sul muro alla vista di tutti, come anche -però- qualsiasi altra icona religiosa, non essendoci graduatorie di merito o preferenze tra religioni e credenti.
Discorso a parte merita quello sulla squadra di calcio che ha denunciato lo sfratto dal campo ad opera del parroco come un affronto ingiustificato. Sì, perchè a leggere i commenti dei lettori del Gazzettino presenti sul sito, si viene a sapere che dal punto di vista sportivo la società di calcio del S. Elena non brilla per correttezza, nè in campo nè sugli spalti a bordo campo. Il che ha poco di sportivo, inteso come spirito comportamentale. Insomma, tale padre tale figlio. Tale la società di calcio, tali i suoi giocatori bestemmiatori..... Nulla di nuovo sotto il sole.
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Padova. In campo si bestemmia troppo:
il parroco "sfratta" la squadra di calcio
http://www.gazzettino.it/articolo.php?id=115617
Ecco uno squarcio di Veneto per capire di che pasta siamo fatti da queste parti. Da sempre una roccaforte cattolica conservatrice e tenutaria di valori e tradizioni, feudo della Democrazia cristiana dei tempi d'oro, ora votata ai nuovi dei del centro destra, dominio per anni dell'enfant prodige Giancarlo Galan ex Forza Italia, poi PdL, ora ministro della Repubblica. Culla e ambiente di crescita e sviluppo dell'ideologia celodurista più intransigente attraverso la Liga Veneta agli inizi, poi confluita e assorbita dalla potente e dilagante Lega Nord di Bossi.
Ma la realtà quotidiana e popolare è quella che si legge nell'articolo del Gazzettino. I giocatori e l'entourage della squadretta di calcio locale di S. Elena nella Bassa padovana sono dei gran bestemmiatori, per di più sfacciati e recidivi. Il padrone del campetto dove si allenano e giocano è il parroco, che alla lunga si deve essere stufato di sentire questi incalliti bestemmiatori esercitare la loro blasfemia in casa sua. Un vero e proprio oltraggio, stupido e sprezzante, oltre che maleducato e irriguardoso nei confronti dei credenti. E così alla fine ha perso la pazienza ed ha cacciato via tutti. Che la squadra di calcio si vada a trovare un altro campo da gioco per sfogarsi a calcio & bestemmie. Sciò, via di qua! Proprio come si farebbe in un pollaio con delle galline vocianti e rissose.
Questo è il Veneto, cari amici. Dove tutti si dicono morigerati, ferventi cattolici e brave persone, ma quando possono si sciacquano la bocca con Dio, i santi e i sacramenti. Un perbenismo di facciata, da sbandierare pubblicamente per puro conformismo. Ma è anche il Veneto delle crociate per il mantenimento del crocefisso nelle scuole e nei luoghi pubblici, delle petizioni contro chi osa mettere in discussione la presenza di un simbolo sacro appeso al muro. Naturalmente a discapito di altre fedi e religioni, perchè quella cattolica è la sola, vera e unica religione. Salvo poi bestemmiare alla grande il proprio Dio, sotto gli occhi e le orecchie del signor parroco.
Sottolineo, e dovrebbe essere implicito, che non si tratta di generalizzare indistintamente. Non tutti bestemmiano ovviamente, ma il fenomeno è molto rilevante e diffuso e per di più in continua crescita sia tra giovani e anziani che tra uomini e donne. Personalmente (lo dico per chiarire la mia posizione), mi professo credente, pessimo cattolico, non bestemmio e ritengo che il crocefisso stia bene sul muro alla vista di tutti, come anche -però- qualsiasi altra icona religiosa, non essendoci graduatorie di merito o preferenze tra religioni e credenti.
Si noti bene che sarebbe sbagliato e riduttivo pensare che il fenomeno sia limitato alle fasce più popolari e ignoranti. Niente affatto. La bestemmia in Veneto abbonda democraticamente sulle bocche di tutti indistintamente, a tutti i livelli e gradi di istruzione. Dall'operaio al professionista, dal commerciante al dirigente d'azienda. La bestemmia è ormai un intercalare quasi onomatopeico, un rafforzativo di concetti che rischierebbero di rimanere nel vago se non conditi da una bestemmia. Ci sono le bestemmie pleonastiche e riempitive, quelle cattive e gonfie di rabbia, quelle comiche e satiriche, quelle esclamative, quelle definitive, ossia dette per chiudere la bocca all'interlocutore timido.
La bestemmia una volta era un reato. Adesso credo che non lo sia più, poichè la religione cattolica non è più la religione di stato e dunque il reato di vilipendio non esiste più. Ma rimangono pur sempre (rimarrebbero...) il rispetto per gli altri e la buona educazione. Ahimè, due categorie morali ed etiche che al giorno d'oggi possono solo far sorridere come si trattasse di reperti storici, essendo principi ormai obsoleti per una gran fetta di italiani. L'aggressività e l'insofferenza sono i nuovi paradigmi del vivere comune. E la bestemmia rispecchia e ricalca esattamente sia l'aggressività verso gli altri che l'insofferenza per il credo altrui.
Discorso a parte merita quello sulla squadra di calcio che ha denunciato lo sfratto dal campo ad opera del parroco come un affronto ingiustificato. Sì, perchè a leggere i commenti dei lettori del Gazzettino presenti sul sito, si viene a sapere che dal punto di vista sportivo la società di calcio del S. Elena non brilla per correttezza, nè in campo nè sugli spalti a bordo campo. Il che ha poco di sportivo, inteso come spirito comportamentale. Insomma, tale padre tale figlio. Tale la società di calcio, tali i suoi giocatori bestemmiatori..... Nulla di nuovo sotto il sole.
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venerdì 20 agosto 2010
Piccolo tour della Toscana (in moto)
Finalmente sono riuscito a levarmi una "fissa" che avevo da tanto tempo. Invece del classico giro in moto di una giornata, un viaggio più lungo e con varie tappe. Un tour in moto in Toscana. Breve (tre giorni, circa 800 km complessivi), ma gustato fino in fondo, deciso all'improvviso, praticamente senza alcuna programmazione, nessun persorso prestabilito, nessun programma di viaggio. Ma semplicemente partire e andare dove ti porta l'estro o il caso. Una sola regola: evitare per quanto possibile i percorsi affollati e privilegiare le strade secondarie, magari più lente, ma belle e panoramiche. Nessuna corsa contro il tempo, andatura turistica, paesaggi da vedere e gustare in tutto riposo. Non mi corre dietro nessuno, voglio godermi l'andare in moto con il vento addosso.
Partenza martedi 17 agosto verso le 9, mettendo nelle borse solo l'essenziale e niente più. Prua a sud, verso Bologna. Trasferimento rapido per superare la noiosa pianura padana e uscita dall'autostrada a Sasso Marconi per imboccare la Statale Porrettana. Attraversamento dell'Appennino con destinazione Pisa. Strada bella, tortuosa, per nulla trafficata. Il bello delle strade alternative e secondarie è che ci si può fermare ad ammirare il panorama ogni volta che si vuole o ne vale la pena. Verso le due del pomeriggio al valico del passo il tempo si guasta, rinfresca e scende un po' di pioggia. Pazienza. Ridiscendendo verso valle dal versante ovest; va molto meglio e punto verso Pisa. Dove arrivo verso le quattro del pomeriggio anche in questo caso con soste intermedie. Ho un po' di fortuna nel trovare un albergo libero al primo colpo e a due passi dal centro storico, vicino al Duomo, al Battistero e alla famosissima Torre pendente. (prendere nota: Hotel Athena, buona camera con aria condizionata, televisione ma senza frigo bar, a 65 euro, senza prima colazione). Mai stato prima d'ora a Pisa, quindi il piacere è stato doppio. Mi sarebbe piaciuto sal;re in cima alla Torre, ma sono 296 scalini (se non ricordo male). Troppi per il mio cuore malandato, devo limitarmi a vederla dal basso e basta. Tra l'altro gli anelli superiori sono in restauro (come da foto più sopra); forse per questo appare nuova di zecca, linda e pulita dallo smog. In compenso tutto intorno è un brulicare di gente e di turisti. Impossibile trovare due persone di seguito che parlino la stessa lingua. I pisani sono decisamente minoritari e quello che sento parlare con maggior frequenza è lo spagnolo. Un sacco di giapponesi e altrettanti olandesi. Approfitto per assaggiare la focaccia farcita, la cecìna (una specie di focaccia di farina di ceci passata al forno) e farmi una birretta. Buono anche il gelato artigianale, ma prezzi assurdi. Ben 2,80 euro per una bottiglietta di minerale da mezzo litro. Francamente mi sembra eccessivo, sia pur considerando che si trattava di un locale centralissimo a cento metri dalla Torre.
Proseguo il mio giro attraverso il centro storico e constato che appena si abbandona la zona intorno ai monumenti, cambia radicalmente il panorama. Una sequenza di negozi vuoti, non chiusi per ferie, ma senza attività. Un certo stato di trascuratezza complessiva nei palazzi piuttosto deludente. Effetto della crisi?
Cena in una trattoria tipica con cucina casalinga. Menù: bruschetta aglio e pomodoro, tortelloni ripieni al pecorino di fossa, filetto alla griglia, patate al forno, cantucci col vin santo. Tutto ottimo. Conto di 35 euro: adeguato e onesto.
Partenza martedi 17 agosto verso le 9, mettendo nelle borse solo l'essenziale e niente più. Prua a sud, verso Bologna. Trasferimento rapido per superare la noiosa pianura padana e uscita dall'autostrada a Sasso Marconi per imboccare la Statale Porrettana. Attraversamento dell'Appennino con destinazione Pisa. Strada bella, tortuosa, per nulla trafficata. Il bello delle strade alternative e secondarie è che ci si può fermare ad ammirare il panorama ogni volta che si vuole o ne vale la pena. Verso le due del pomeriggio al valico del passo il tempo si guasta, rinfresca e scende un po' di pioggia. Pazienza. Ridiscendendo verso valle dal versante ovest; va molto meglio e punto verso Pisa. Dove arrivo verso le quattro del pomeriggio anche in questo caso con soste intermedie. Ho un po' di fortuna nel trovare un albergo libero al primo colpo e a due passi dal centro storico, vicino al Duomo, al Battistero e alla famosissima Torre pendente. (prendere nota: Hotel Athena, buona camera con aria condizionata, televisione ma senza frigo bar, a 65 euro, senza prima colazione). Mai stato prima d'ora a Pisa, quindi il piacere è stato doppio. Mi sarebbe piaciuto sal;re in cima alla Torre, ma sono 296 scalini (se non ricordo male). Troppi per il mio cuore malandato, devo limitarmi a vederla dal basso e basta. Tra l'altro gli anelli superiori sono in restauro (come da foto più sopra); forse per questo appare nuova di zecca, linda e pulita dallo smog. In compenso tutto intorno è un brulicare di gente e di turisti. Impossibile trovare due persone di seguito che parlino la stessa lingua. I pisani sono decisamente minoritari e quello che sento parlare con maggior frequenza è lo spagnolo. Un sacco di giapponesi e altrettanti olandesi. Approfitto per assaggiare la focaccia farcita, la cecìna (una specie di focaccia di farina di ceci passata al forno) e farmi una birretta. Buono anche il gelato artigianale, ma prezzi assurdi. Ben 2,80 euro per una bottiglietta di minerale da mezzo litro. Francamente mi sembra eccessivo, sia pur considerando che si trattava di un locale centralissimo a cento metri dalla Torre.
Proseguo il mio giro attraverso il centro storico e constato che appena si abbandona la zona intorno ai monumenti, cambia radicalmente il panorama. Una sequenza di negozi vuoti, non chiusi per ferie, ma senza attività. Un certo stato di trascuratezza complessiva nei palazzi piuttosto deludente. Effetto della crisi?
Cena in una trattoria tipica con cucina casalinga. Menù: bruschetta aglio e pomodoro, tortelloni ripieni al pecorino di fossa, filetto alla griglia, patate al forno, cantucci col vin santo. Tutto ottimo. Conto di 35 euro: adeguato e onesto.
Secondo giorno. Partenza di buon mattino con tempo incerto. Comunque non piove e fa piuttosto fresco. Direzione Volterra, per poi puntare su Massa marittima, dopo aver attraversato la zona delle colline metallifere. Anche in questo caso strade provinciali, tortuose e panoramiche. Praticamente deserte. Ma dove sono i presunti milioni di turisti in vacanza che a sentire i vari telegiornali dovrebbero aver invaso l'Italia? Tutti ammassati in spiaggia gli uni sugli altri oppure sono rimasti a casa? Si vedono invece in percentuale un sacco di auto straniere, specialmente olandesi e tedeschi. Ci si accorge di loro da come mantengono la distanza di sicurezza. Gli italiani si incollano a venti centimetri dalla targa posteriore di chi li precede per cercare di spingerti avanti, sempre stressati dalla fretta e dal bisogno di esibire le proprie abilità motoristiche. Mi da sui nervi avere qualcuno che ti alita sul collo per metterti fretta, che palle. Non essendo lì per fare a gara con nessuno, accosto e faccio passare, cominciando a pensare di andare troppo lento. Ma poi considero che i miei 60/70 km orari su una strada tortuosa di collina, tutta curve, sono più che adeguati e che quindi sono loro ad essere fuori di testa. Bah.
Volterra è arroccata in cima ad una collina con un panorama mozzafiato. A perdita d'occhio tuttintorno il dolce saliscendi delle colline. Nel centro storico il palazzo comunale, la cattedrale e il battistero (foto a lato). Atmosfera magica, nonostante i tanti turisti vocianti e fotografanti. Un ambulante con un carrettino che si autodefinisce "armaiolo dei bimbi" vende spade di legno, vestito con abiti simil-medievali. Capello lungo, movimenti studiati e voce impostata, fa la sua bella figura nella piazza principale, circondato dai curiosi.
Proseguo scendendo sul versante sud. Il percorso è fantastico, Per km e km non si incontra anima viva, solo verde e boschi. Pur essendo abituato a paesaggi da favola (le valli dolomitiche percorse in lungo e in largo allenano piacevolmente l'occhio...), le colline toscane mantengono un fascino unico, riuscendo ad assumere un che di sensuale con il loro andamento morbido e sinuoso.
Ad un certo punto, verso mezzogiorno, avendo un certo languorino allo stomaco, esco dalla provinciale e prendo una stradina piccina picciò che si inoltra nel bosco. Un cartello indica la presenza di un agriturismo. La stradina si inerpica per parecchi km in salita per un lungo tratto. Incontro solo una macchina di olandesi, per il resto nulla e nessuno. Arrivo all'agriturismo dove mi sparo un paninazzo con la cara, vecchia e onesta mortadella. Birretta, ovviamente.
Ad un certo punto, verso mezzogiorno, avendo un certo languorino allo stomaco, esco dalla provinciale e prendo una stradina piccina picciò che si inoltra nel bosco. Un cartello indica la presenza di un agriturismo. La stradina si inerpica per parecchi km in salita per un lungo tratto. Incontro solo una macchina di olandesi, per il resto nulla e nessuno. Arrivo all'agriturismo dove mi sparo un paninazzo con la cara, vecchia e onesta mortadella. Birretta, ovviamente.
C'è anche un'area attrezzata per pic nic con un bel prato sullo spiazzo. Tiro fuori dalle borse la mia stuoia, uso la giacca da moto come cuscino e mi metto disteso sull'erba a guardare gli squarci di blu nel cielo. Mitico.
Proseguo per Massa passando da Larderello, la zona famosa per i soffioni boraciferi, almeno secondo i miei ricordi scuola. In realtà di soffioni o di eruzioni di vapore dal terreno non ne ho vista neppure una. Forse non sono lungo la provinciale. Oppure la spiegazione è un'altra. Lungo il percorso transitando da Larderello si inconra una centrale Enel denominata Green Power con gigantesche ciminiere del tipo di quelle delle centrali nucleari. Fanno un po' (tanta) impressione sia per l'enormità delle dimensioni, che per il collegamento estetico con il nucleare, ma conforta che si tratti di energia naturale. Ecco che fine hanno fatto i soffioni del terreno: sono sfruttati dall'Enel per produrre enegia "verde".
Pausa pranzo in un'osteria lungo la strada. Il paninazzo con la mortazza è un pallido ricordo e mi è venuta fame. L'osteria è di quelle dove si fermano i camionisti, dunque c'è da fidarsi. Infatti le tagliatelle fatte in casa con ragù di cinghiale sono spettacolari. Immancabile anche la bruschetta con il solito aglio e pomodoro. Particolare succulento: i fiori di zucca fritti. Deliziosi.
Arrivo a Massa marittima presso l'albergo Il Sole in pieno centro (zona pedonale). Prenotazione fatta al mattino utilizzando il volume Dormire low cost che avevo casualmente trovato in uno dei miei giretti in libreria. Prezioso, comodo e dettagliato, lo tengo sempre nella borsa da moto. Può tornare sempre utile.. Anche qui ottima sistemazione: camera con vista mozzafiato sulle colline lato ovest, aria condizionata; 65 euro con prima colazione. Massa ha un centro storico delizioso.Nel fazzoletto di spazio della piazza principale sono raccolti il palazzo comunale, la cattedrale e il campanile. Con una cornice di palazzetti d'epoca veramente belli. Vale la pena visitarla. Ci sono anche due o tre musei di varie tematiche. Cena tranquilla in un locale della piazza a ridosso della cattedrale, con la classica fiorentina alla griglia. Siamo in provincia di Grosseto, ma la fiorentina è comunque buona. Nel pomeriggio appuntamento con Ernesto, il mio amico rugbysta conosciuto tramite internet. L'esempio che in ternet non sempre divide, ma al contrario può essere uno strumento di conoscenza e di amicizia. Ci siamo conosciuti nel 2000 accomunati dalla passione per il rugby, abbiamo fondato un club virtuale di rugby con appassionati reclutati rigorosamente via internet (All Bluff Rugby) che tuttora disputa incontri amichevoli ad invito con giocatori provenienti da tutta Italia. E quando è possibile una bella rimpatriata con Ernesto mi fa sempre piacere. Tra l'altro tiene anche un interessante blog (vedi link a lato della pagina).
Terzo giorno, quello del rientro. Sono tanti i km da fare perchè il percorso delle tappe precedenti mi ha portato piuttosto lontano. Decido di fare il tratto di strada fino a Siena sulle strade secondarie per poi proseguire e predere l'autostrada a Firenze. Passo, su consiglio di Ernesto, da San Galgano che è una cattedrale senza tetto (foto a lato). Bella cattedrale, elegante e slanciata, ma mancante del tetto. Secondo la tradizione sarebbe crollato, ma in realtà la mancanza della copertura è dovuta ai monaci dell'abbazia che se la sono venduta essendo di rame. La mancanza di denaro li spinse all'insano gesto già in tempi medievali mitigando la decisione con la storiella del crollo. La storia si ripete, si può modernamente chiamare crisi economica o crisi dei mercati, ma la sostanza è la stessa. Quando la barca fa acqua si tira la cinghia e si corre ai ripari in qualunque modo, anche vendendosi il tetto in rame della chiesa....
Ahimè, il rientro in autostrada verso Padova è noioso quanto triste perchè il mini tour della Toscana è finito. Ma non è detto che non mi rimetta in viaggio alla prima occasione. La volpe perde il pelo, ma non il vizio...
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