lunedì 29 aprile 2013

La violenza quotidiana. Insulto ergo sum.


Ho dato una letta ai post delle pagine facebook dei principali media sulla notizia della sparatoria di ieri a Roma. E' allucinante leggere i commenti della "ggente". C'è ggente schizzata che scrive la prima stronzata che gli passa per la testa giustificando apertamente lo sparatore. O rimpiangendo che non abbia centrato alla testa un politico a caso. O addirittura istigando a proseguire su questa strada e invadere le piazze per farsi giustizia.

Siamo al delirio puro. Ormai basta mettersi davanti alla tastiera  di un computer per diventare i masanielli della situazione, indomiti e invincibili cuor-di-leone duri e puri,  senza pensare alla gravità di quello che si scrive. Perché uno su cento alla fine si fa coinvolgere e finisce per sparare davvero. Chi deve ringraziare il carabiniere che rischia di rimanere paralizzato se un tizio fuori di testa si è messo in mente di andare in giro a giustiziare il primo politico che gli passava a tiro?

Si legge della polemica contro Grillo lanciata immediatamente dal PDL, indicato come istigatore occulto e responsabile morale della sparatoria. Non c'era da aspettarsi nulla di diverso da chi da sempre è abituato a cavalcare la tigre. Qualunque essa sia, purché a proprio tornaconto.

Ma la realtà è che in Italia oggi l'aggressività prima di tutto verbale è la norma. Una regola di vita. Lo si vede anche nelle piccole cose di ogni giorno, anche le più banali. Per ogni sciocchezza trovi il tizio che si sente in diritto di insultare e offendere, quasi sempre senza motivo e solo per auto-affermarsi.

Insulto ergo sum. Come meravigliarsi di questo stato di cose se addirittura un'intera campagna elettorale e pre-elettorale si è basata sullo slogan "vaffanculo"? Non è violenza anche quella? Ovvero, una piccola parte di ragione il PDL forse ce l'ha...

sabato 27 aprile 2013

Film visti. L'ipnotista che viene dal freddo

L'ipnotista
Regia di Lasse Hallström.
Con Tobias Zilliacus, Mikael Persbrandt, Lena Olin, Helena af Sandeberg, Jonatan Bökman
 
[Voto: 3 su 5]
 
L'eterno dilemma di sempre. Meglio il libro o il film? Va premesso che siamo in territorio noir, con un poliziesco dei più classici, con delitti efferati e colpevoli introvabili. Con la polizia che brancola nel buio... e via dicendo, secondo canoni tipici. Leviamoci di torno il quesito dicendo chiaramente che il libro di Lars Kepler affronta con molto più dettaglio il percorso psicologico del colpevole e del perché uccida. Il film invece lo risolve con poco o nulla e non spiega niente. O quasi.
Tuttavia il film di Lasse Hallström è un'altra cosa, un'altra forma espressiva e va considerato così come viene proposto. Bisognerebbe non leggere mai i libri da cui sono tratti i film. Perché comunque il confronto, positivo o negativo, è fuorviante e condiziona il giudizio e il piacere stesso di vedere il film.
 
Succede che nella tranquilla e gelida atmosfera scandinava (siamo in Finlandia), ovattata dai cumuli di neve ai bordi delle strade, un'intera famiglia viene sterminata in maniera brutale a colpi di coltello. Padre, madre, figlioletta. Si salva per miracolo, accoltellato anche lui, l'altro figlio poco più che decenne. Misteriosi il movente e l'identità dell'assassino. Il ragazzino è ricoverato in rianimazione e non può essere interrogato. Il poliziotto incaricato del caso però ha bisogno assoluto di sapere cosa è successo e l'unico modo è quello di farselo raccontare dal superstite.  Viene tirato in ballo un ipnotista che potrebbe riuscire a farsi raccontare l'accaduto senza creare troppi problemi alla giovanissima vittima. Un metodo non invasivo, l'ipnosi, che sarebbe di grande aiuto alle indagini. Ma lo specialista incaricato ha un passato di cui non va affatto fiero e che gli proibirebbe di cimentarsi nuovamente in quella pratica. Una inibizione all'esercizio a causa di una brutta storia. Ma di storie dietro le spalle lo psichiatra ne ha ben più di una, a cominciare da un tradimento extraconiugale di cui ancora si sentono le conseguenze nel rapporto con la moglie che è tuttora tormentata, a distanza di anni, da quella relazione. E c'è il poliziotto che è pressato dalla stampa e dai suoi capi da un lato e dal desiderio di fare giustizia rintracciando il colpevole, dall'altro. E come se non bastasse si aggiungono due elementi nuovi a complicare le cose. Primo. Si scopre che esiste una terza figlia nella famiglia sterminata dall'assassino. Si è salvata solo perché assente da casa in quel momento. Il poliziotto teme che l'assassino sia sulle sue tracce per portare a termine l'opera omicida. Secondo. Il figlio dello psichiatra e della moglie tradita viene rapito. C'è un legame con l'omicidio multiplo alle cui indagini l'ipnotista sta collaborando?
 
Lasse Hallstromm è un regista di mestiere che deve affrontare il difficile compito di assemblare e far convivere i due filoni narrativi della vicenda. Da un lato l'indagine del funzionario dell'Unità Anticrimine finlandese e dall'altro, in continua alternanza, la situazione al limite della rottura del rapporto tra Erik Maria, l'ipnotista, e sua moglie Simone che viene poi messa a confronto con un evento che rischia di infrangere definitivamente l'ormai fragilissimo rapporto, ovvero il rapimento del loro figlioletto. In questa contrapposizione sta il pregio del film (e del libro) con un limite fondamentale costituito dalla necessità, per esigenze di copione, di delimitare l'excursus introspettivo dello psichiatra che porta a spiegare il perché degli omicidi così efferati. Il film salta quasi a piè pari questa fase, giungendo rapidamente a indicare il colpevole, sia pure dopo adeguate attese e suspence come dovuto, visto il genere poliziesco del film. Ma, certo, torniamo al discorso iniziale e al confronto tra libro e film. Che, come detto, è meglio non affrontare per principio e per rispetto degli autori.
Ciò detto, sono certo che il film piacerà agli amanti del genere.

Film visti. Attacco al potere, ma con un po' di autoironia, please!

ATTACCO AL POTERE - OLYMPUS HAS FALLEN
Regia: Antoine Fuqua
Con: Gerard Butler, Aaron Eckhart, Morgan Freeman, Angela Bassett, Radha Mitchell.
 
 
[Voto: 2 su 5] 
 
 
Uno contro tutti. Buoni contro cattivi, Eroi contro criminali. Un mito per l'America e gli americani. Il mito della frontiera. Nella vita, nel lavoro, nello sport. Già, anche nello sport. Il baseball ad esempio, uno degli sport americani per antonomasia, è l'apoteosi dell'uno-contro-tutti. Un battitore attaccante (quello con la mazza) contro 9 giocatori avversari difensori pronti ad acchiappare la pallina che eventualmente riuscisse a battere con la sua mazza. Il film Attacco al potere è la stessa cosa. L'eroe di giornata è un ex agente dei servizi segreti (Gerard Butler ) di scorta al Presidente degli Stati Uniti. Gli altri, i nemici cattivissimi e spietati da abbattere uno ad uno, sono dei terroristi nordcoreani che vogliono impartire una lezione definitiva al grande moloch americano nuclearizzandolo con le sue stesse armi atomiche. Per riuscirvi prendono in ostaggio proprio lui, il Presidente Usa, non dopo aver assaltato e conquistato niente meno che la Casa Bianca. Retorica nazionalistica e patriottica a parte, bisogno assoluto di un nemico da combattere a parte (dopo i sovietici, gli arabi e i terroristi in genere, ora è la volta dei musi gialli coreani ...), il film è tutto qui. Allo spettatore non viene assolutamente mai da chiedersi che uscirà vincitore dalla lotta senza quartiere, ma come ci riuscirà l'indomito agente americano, dopo quanti morti ammazzati e dopo quali colpi di scena. Cose che puntualmente succedono tutte nelle due ore di film fino al finale scontatissimo. Ma, come detto, se il finale è noto, il punto è come si arriva ai titoli di coda. Beh, ci si arriva abbastanza agevolmente, con un buon ritmo, con sparatorie spettacolari e scazzottature in giusta misura senza eccedere oltre misura. Certo i morti si contano a centinaia come mosche, ma questi sono dettagli.
Radha Mitchell, nel film è la moglie dell'eroe
Nulla di nuovo, comunque, che non sia già stato visto abbondantemente. La lotta senza quartiere si svolge in un ambiente chiuso, la Casa Bianca, in interni quasi sempre in penombra o addirittura al buio. Facile tornare a un capostipite del genere, Trappola di cristallo con Bruce Willis. La struttura è la stessa: uno contro tutti e in lotta con il tempo. Ma c'è una differenza fondamentale tra i due film. La capacità di scrivere/descrivere tutta la vicenda con un taglio autoironico capace di non prendersi troppo sul serio ricordandosi che comunque si tratta di Hollywood e non di vita reale (anche se la cronaca delle ultime settimane casca proprio puntino). Autoironia che è il fiore all'occhiello di Bruce Willis che riesce a ridere di se stesso e del suo eroismo strenuo; autoironia che manca totalmente a Gerard Butler, che si prende troppo sul serio anche quando fa il gigione-piacione con la famiglia del Presidente, nella parte introduttiva della vicenda.  E se a un film di genere, così scontato e così prevedibile, si toglie il sottile piacere di auto-prendersi in giro, che rimane? Sparatorie e morti ammazzati a quintalate. Quelli no, non mancano.

mercoledì 24 aprile 2013

Film visti. Oblivion, per non dimenticare di essere uomini

Oblivion
Regia di Josef Kosinski.
Con Tom Cruise, Morgan Freeman, Olga Kurylenko, Andrea Riseborough.

[Voto: 2,5 su 5]



Siamo in zona fantascienza post-apocalittica. In particolare l'apocalisse che ha distrutto la civiltà umana e reso inabitabile la Terra è l'attacco portato da una razza aliena venuta dallo spazio nel 2017. Una sessantina d'anni dopo il pianeta è ridotto a una landa desolata  e radioattiva, la cui popolazione è fuggita su Titano per fondare una nuova colonia umana e sopravvivere. Per realizzare il progetto sono state allestite delle enormi macchine aspiratrici dell'acqua marina da trasformare in energia utile sul nuovo mondo. A guardia degli apparati succhia-acqua ci sono gli ultimi esseri umani presenti sulla Terra. Devono parare gli attacchi degli alieni che intendono sabotare gli impianti e eliminare gli ultimi sopravvissuti. Tom Cruise è uno di questi guardiani-operai-soldati tuttofare impegnato in una lotta senza quartire con i nemici alieni, coadiuvato in questo da droni volanti che sparano a tutto ciò che possa costituire un potenziale pericolo per il prosciugamento degli oceani. La sua compagna belloccia e idevotamente innamorata (Andrea Riseborough) lo assiste nel compito ed entrambi attendono con ansia la fine del loro periodo di servizio per poter partire a loro volta verso Titano. Ma una serie di avvenimenti inattesi fa intuire al valoroso e indomito Ton Cruise che non tutto è come sembra. Il sospetto si insinua già per via di sogni ricorrenti che gli riportano in mente immagini e situazioni di un tempo forse passato, forse mai esistito. La situazione degenera con l'entrata in scena di una misteriosa donna (Olga Kurylenko) arrivata su una vecchia e obsoleta nave spaziale e con la scoperta che gli spaventosi e spietati alieni cacciatori di uomini (Morgan Freeman) sono.....   Basta, mi fermo qui.

Il film è dignitoso, pur senza eccellere in nulla di particolarmente originale. Fantascienza classica, con buoni e cattivi ben delineati per poter fare il tifo, salvo colpo di scena indispensabile per movimentare un po0 la trama. Agli amanti del genere science-fiction (come il sottoscritto) non dispiacerà affatto. Sparatorie e inseguimenti sono ben realizzati con il supporto di effetti speciali usati in maniera discreta, quasi con pudore, per non dare troppo nell'occhio, al fine di regalare più realismo e credibilità alle situazioni. Uno dei temi del film è la memoria e la coscienza di se stessi. Nel caso specifico la rimembranza della consapevolezza di essere uomini e donne con un passato, una storia, un presente e un futuro da vivere e da costruire. Tutto questo nel 2077 è stato artificialmente cancellato dalla memoria degli umani sopravvissuti (da cui il titolo del film oblivion=oblio), ma il riaffiorare spontaneo e incontenibile di questa coscienza è il segno distintivo dei protagonisti che, si capisce subito già dopo pochi minuti, sono destinati a diventare eroi. D'altronde il belloccio e invulnerabile Tom Cruise cos'altro potrebbe fare in qualsiasi vita, se non l'eroe...?

domenica 14 aprile 2013

Libri. Che Palla!

Milioni di milioni
di Marco Malvaldi

Immaginate Montesodi marittimo come un paesino toscano in una zona collinare nonostante il nome. Immaginate i paesani geneticamente dotati di una forza prodigiosa; immaginate un ufficio anagrafe intasato da cittadini che portano quasi tutti lo stesso doppio cognome (Palla) a causa della feconda e indefessa attività amatoria extraconiugale del nobile locale. Immaginate una nevicata incredibile (milioni di milioni... di fiocchi di neve) che inonda il paese e lo isola per giorni; immaginate che l'anziana maestra sia ritrovata morta in casa non per cause naturali. Immaginate una pletora di personaggi locali (il sindaco, il maresciallo dei Carabinieri, il vice parroco, le beghine della parrocchia, la vecchia maestra e la sua donna di servizio, il vetero-comunista mangiapreti, due forestieri ricercatori universitari capitati per caso, ecc. ecc.) che si muovono in questa realtà chiusa e isolata a causa della nevicata.
Ecco, il quadro è completo e il romanzo "con uso di giallo" di Marco Malvaldi è bello che servito. Con la solita scrittura brillante e divertente, scorrevole e filante. Non siamo lontani dai picchi delle avventure dei vecchietti del Bar Lume, ma Milioni di milioni è comunque un libro piacevole e divertente, ma mai banale e scontato, in cui il tema portante del romanzo giallo diventa un pretesto narrativo per raccontare di luoghi, di personaggi, di storie. A cominciare dal famigerato inseminatore Conte Palla e dalla popolare Festa della panca, la gara di forza del paese...

lunedì 1 aprile 2013

Film visti. Due simpatici fuori-di-testa


Il lato positivo (Silver Linings Playbook) 
Regia di David O. Russell.
Con Bradley Cooper, Robert De Niro, Jennifer Lawrence, Jacki Weaver, Chris Tucker
 
[Voto: 3,5 su 5]
 
 
Se si supera indenni la prima mezzora è fatta. In questo mélange di dramma e commedia alla fine trionfa la seconda, lasciando alla prima un certo non so che di insofferente, di fastidioso e di eccessivo. Colpa soprattutto dei dialoghi, spesso irritanti, così tipicamente americani (secondo l'ottica hollywoodiana) da risultare insopportabili. Tutto quel gesticolare, strillare, parlarsi uno su l'altro con concitazione. Bleah.  Ma è difficile coniugare due generi, va detto a parziale discolpa dell'autore. Bisogna essere dei maestri del cinema e non è il caso del regista David O. Russell, che tuttavia riesce alla fine a mettere insieme un film gradevole e sufficientemente coinvolgente. Ma ci riesce perché tutta la seconda metà del film è nettamente sbilanciata sul versante commedia. Ma non solo. Gran parte del merito per la riuscita complessiva del film va ascritto all'attrice protagonista Jennifer Lawrence (non a caso premiata con l'Oscar 2013) ed anche a Bradley Cooper, che tiene botta egregiamente.
Jennifer ha una presenza scenica potente e personale. Non è una bellezza da urlo come siamo abituati a vedere in molti film americani, tuttavia riesce ad essere provocante e sensuale con estrema semplicità e naturalezza, come poche altre attrici. Brava e bella. L'avevo già vista e notata in un altro film (Hunger Games) nel ruolo di una ragazzina che si batte per sopravvivere in una ipotetica civiltà di un futuro post apocalittico. Ma da allora ne ha fatta di strada e questo film testimonia il salto di qualità con la conquista addirittura dell'Oscar quale miglior attrice protagonista.
 
Jennifer Lawrence
Due parole per la vicenda. Pat è reduce da un lungo ricovero in una casa di cura per disagi mentali. Ha picchiato di brutto l'amante della moglie di cui era ed è follemente innamorato. Il suo chiodo fisso è riconquistare sua moglie e ricominciare daccapo con lei. Tiffany è la giovane vedova di un poliziotto deceduto in servizio per un incidente. Anche lei ha un evidente disagio mentale (sesso-dipendenza), acuito dalla perdita subita. Inoltre è stata appena licenziata per condotta immorale, avendo fatto sesso con tutti i suoi colleghi di lavoro.  Ben undici, e tutti insieme. Un bel tipetto, non c'è che dire. Ma è assolutamente consapevole sia di essere considerata una troia (niente paura, ultimamente il termine va molto di moda ed ha perso la sua pesante volgarità lessicale), sia di non essere assolutamente ferita dall'epiteto. In altre parole si piace così com'è e non gliene frega niente del giudizio degli altri. Sullo sfondo dei due protagonisti, dichiaratamente alle prese con problemi psichici, c'è una galassia di personaggi "normali", dove l'uso delle virgolette sta a significare che proprio tanto normali non sono.  A cominciare dal padre di Pat (De Niro), ossessionato fino alla paranoia dal football americano e dalle scommesse. Interessanti le considerazioni che, a corollario nello sviluppo della trama, il film offre su normalità e diversità.
L'espediente narrativo per sviluppare la vicenda è che Tiffany abbia la possibilità di fare da tramite tra Pat e la di lui ex moglie, col ruolo di postina. Ma per farlo pone come condizione che Pat le faccia da spalla in una gara di ballo. Una sorta di "Ballando con le stelle". In cambio lei consegnerà le sue lettere riappacificatrici alla ex moglie.
 
L'epilogo non può qui essere raccontato anche se non occorre una perspicacia particolare per immaginarlo. Ma è piacevole il come ci si arrivi, con quali meccanismi narrativi, riuscendo così a salvare tutto il film. Ed è appunto la parte in cui la commedia trionfa sul dramma, con un che di liberatorio decisamente ben riuscito e appagante per lo spettatore.
Come dire che l'happy end paga sempre...