giovedì 31 maggio 2012

La parata del 2 giugno


Pare adesso che le sorti dell'Italia, ma soprattutto degli sventurati terremotati dell'Emilia, siano legati alla parata del 2 giugno prossimo, Festa della Repubblica. Nel nostro paese si deve sempre portare tutto all'esasperazione. Massimalizzare è la parola d'ordine. E tutto questo viene ulteriormente ripreso e amplificato dal web, come se non bastassero i media tradizionali e le chiacchiere da bar.

Il tema del giorno è la rinuncia alla parata militare per risparmiare quei fondi (alcuni milioni di euro) destinandoli invece alla ricostruzione. In linea teorica il discorso non farebbe una grinza, se non fosse per un piccolo ma non insignificante particolare. A questo punto, siamo alla fine di maggio e il 2 giugno è questione di ore, i soldi per l'organizzazione della parata sono praticamente già tutti spesi da tempo. Solo un ingenuo può pensare che annullare la sfilata militare all'ultimo momento possa servire a risparmiare 10 milioni di euro. La macchina organizzativa, quella che a tutti gli effetti spende i spoldi assegnati allo scopo, è in movimento da mesi, non da giorni. Troppo tardi fermarla adesso. Il Presidente Napolitano ha detto che la parata quest'anno sarà effettuata sobriamente e in forma ridotta. Basta, fine delle polemiche. Tutto il resto è paranoia populista.

Sì, perchè insistere su questa faccenda a mio avviso è solo becero populismo buono per tutte le stagioni, che non risolve nulla se non alimentare polemiche e tensioni che invece abbondano a dismisura. E di altri litigi e battibecchi, di insulti e minacce, proprio non se ne sentiva bisogno.

Guardiamo oltre invece. Perchè non puntare a stringere decisamente e significativamente i cordoni della borsa dei fondi pubblici destinati a foraggiare i partiti e destinare all'Emilia le prossime rate di denaro dei cittadini italiani, emiliani compresi? Ci sono davanti alcuni mesi per decidere di farlo. Si fa ancora in tempo a salvare quei denari dalle fauci affamate e senza fondo dei nostri politicanti. E non si parla di alcuni milioni di euro, bensì di decine e decine se non centinaia di milioni che sarebbero certamente meglio spesi nella ricostruzione dei paesi terremotati che, non dimentichiamolo, sono uno dei centri motori più importanti e trainanti dell'intera economia italiana...
E allora cosa aspettiamo cittadini? Che diventi troppo tardi anche per questa iniziativa?

martedì 29 maggio 2012

Film visti. Men in black anni '60

Men in black III
Regia di Barry Sonnenfeld. Con Will Smith, Tommy Lee Jones, Josh Brolin.

[Voto: 2 su 5]

Mib III, ovvero Men in black parte terza. Anche se questa puntata assomiglia più ad un prequel, cioè ad un antefatto, piuttosto che ad un sequel, ossia un seguito della vicenda dei cacciatori d'alieni vestiti di nero. Com'è come non è, l'arcigno agente K (Tommy Lee Jones) viene fatto fuori da un alieno cattivo cattivo che, per accopparlo "senza se e senza ma", torna addirittura indietro nel tempo. Il giovane e scanzonato agente J (Will Smith), scopre l'inghippo e si precipita nel passato anche lui per salvare il collega-amico.  La vicenda si sposta quindi nel luglio del 1969, nei giorni in cui la Nasa invia sulla Luna la prima missione umana di Neil Armstrong. Ovviamente ciò che la storia ufficiale non dice è che la Terra e il genere umano, proprio nel momento in cui si accingevano a conquistare la Luna, furono salvati dalla distruzione ad opera di una razza aliena (quelli cattivi cattivi...) proprio dall'intervento degli uomini in nero, già segretamente operativi all'epoca. In questo viaggio a ritroso nel tempo e nella memoria negli anni '60 scopriamo alcuni retroscena personali dell'agente J e dell'agente K che sicuramente torneranno buoni per futuri MIB IV o MIB V....
La verve dei protagonisti è quella di sempre, le battute e le situazioni comiche strappano risate come nei precedenti espisodi della saga dei Men in black. Anche gli alieni segretamente insediati sulla Terra e integrati agli umani continuano ad essere bizzarri e pittoreschi come da tradizione. Insomma tutto bene per gli amanti della serie e del genere fanta-comico. Tuttavia, rimane un certo sentore di dejà vu, di già visto, che permane su tutto il film. In effetti è difficile inventarsi qualcosa di nuovo arrivati alla terza puntata, tant'è che per dare una ventata di fresco alla vicenda gli sceneggiatori si sono inventati addirittura il viaggio nel tempo. Rimane comunque un film leggero e godibile per chi vuole distrarsi senza troppo alambiccarsi il cervello, perfetto per una altrimenti noiosa domenica pomeriggio.

martedì 22 maggio 2012

Strage di Brindisi. Caccia al mostro

Siamo in piena caccia al mostro di Brindisi. E purtroppo brancolando (quasi) nel buio. E' vero che esisterebbe il filmato dell'attentatore nel momento in cui schiaccia il pulsante del congegno esplosivo, ma è anche vero che gli inquirenti non sembrano avere comunque nulla di concreto in mano. Non solo. Ci sarebbe anche una divergenza di vedute tra i magistrati che seguono l'inchiesta.
Di sicuro è un uomo bianco, di circa 50-55 anni, con giacca scura, pantaloni chiari e scarpe da ginnastica. Sarebbe questo il profilo dell'autore dell'attentato davanti. Come lui appena qualche milione di individui simili tra cui cercare... Nel video, secondo quanto si legge sui giornali, si vedono le fasi precedenti all'attentato: dal momento in cui l'uomo aziona il telecomando a quando si allontana. Dalle quelle immagini offuscate però il volto del killer non sarebbe riconoscibile. Ma chissà perchè e per come, gli inquirenti hanno anche stabilito che non sarebbe straniero.
Insomma il mostro c'è, ha un aspetto e una fisionomia definiti, ma non si sa chi sia. Mi piacerebbe aggiungere "ancora". Infatti quello che più mi spaventa allo stato attuale è la reazione dell'opinione pubblica. Ieri al momento del rilascio delle due persone interrogate in Questura, una folla inferocita ha assalito la volante della polizia con calci e pugni nel tentativo di linciare i presunti colpevoli. Che invece venivano riaccompagnati a casa perchè non accusati di nulla. C'è voglia di farsi giustizia da soli, senza andare troppo per il sottile. Perfino uno come Fiorello è sceso in campo parlando apertamente di pena di morte. E chissà quanti italiani la pensano allo stesso modo.

Il mio timore è duplice. Primo: che come spesso accade in Italia le indagini si arenino senza portare a nulla, rimanendo formalmente aperte per decenni a carico di ignoti. Gli esempi di precedenti del genere in materia sarebbero decine e decine.
Secondo: che venga tirato fuori dal cilindro il mostro, magari solo con prove indiziarie, ma sufficienti per placare la voglia di forca che c'è in Italia oggi. Insomma un nome e una faccia da dare in pasto ai giornali. Ci ricordiamo il famigerato Unabomber, indagato e processato per decenni e poi riconosciuto non colpevole, con tanto di prove adulterate ad arte pur di incastare un colpevole? Per non parlare del delitto Cesaroni con un colpevole condannato 20-30 anni dopo e subito dopo assolto in cassazione per insussistenza di prove credibili. Risultato: due delitti senza colpevoli.
http://www.corriere.it/cronache/12_maggio_22/scambiato-per-assassino-in%20questura-un-incubo_aad3aa9a-a400-11e1-80d8-8b8b2210c662.shtml
Domanda: il nostro sistema di indagini sarà (è) in grado di affrontare presto e bene questo orrendo delitto o finirà tutto nel dimenticatoio o negli inquietanti meandri dei tribunali?

sabato 19 maggio 2012

BARBARI ASSASSINI

Una bomba a scuola con l'obbiettivo di uccidere dei ragazzi.
Qualunque sia il fine, mafia o terrorismo, sono solo barbari assassini.

La vita...


...la morte

Film visti. Hunger games, il trionfo del reality show

Hunger games
Regia di Gary Ross.
Con  Jennifer Lawrence, Elizabeth Banks, Woody Harrelson, Lenny Kravitz, Stanley Tucci.

[Voto 1,5 su 5]




Belloccia la giovane protagonista, di livello i coprotagonisti (Stanley Tucci soprattutto), debole la storia. Direi quasi al limite dell'insulsaggine. Eppure la stampa specilizzata presenta Hunger games come caso cinematografico dell'anno e campione d'incassi negli States. Sarà, ma a me è sembrato un guazzabuglio di basso livello che va a pescare a piene mani nel genere fantasy con un trionfo di reality show elevato a filosofia di vita.
In una ipotetica civiltà futura la forbice tra chi ha tutto e chi non ha niente è arrivata a livelli estremi. Lusso sfrenato, comodità, tenore di vita portato agli estremi eccessi da un lato; povertà, fame e miseria dall'altro. Ad assorbire e filtrare scontenti e tensioni sociali arriva una volta all'anno un reality show che mette di fronte le tribù (regioni, province...) in una lotta all'ultimo sangue dove la regola principale è che non ci sono regole. A vincere e ad assicurarsi ricchezza, fama e successo, sarà chi sopravviverà dopo aver fatto fuori tutti gli altri contendenti. Protagonisti del reality all'ultimo sangue sono giovani adolescenti sorteggiati in una lotteria nazionale nelle varie tribù. Insomma, per farsi un'idea: un diabolico e perverso mix di Isola dei famosi & Grande Fratello. Al posto delle nominations settimanali abbiamo ammazzamenti di ogni tipo, alleanze e tradimenti, cambio di regole in corso d'opera per pilotare i comportamenti dei concorrenti.
Il film è tutto qui: non merita credibilità chi vi vede presuntuose metafore sulla civiltà contemporanea o spunti di riflessione per le giovani leve che affollano le sale. Solo fuffa e marketing. Molto semplicemente Hunger games è un film furbetto che fa leva su un genere televisivo di successo in cui i protagonisti veri spesso si scannerebbero fra di loro pur di vincere il programma. Nell'ipotesi filmica invece si scannano tra loro per davvero. Ecco spiegato il successo sia in America che in Europa.
Ce n'era proprio bisogno?


venerdì 11 maggio 2012

Quella volta che...

9 maggio 1978
La morte di Aldo Moro
Non ricordo che giorno fosse quel 9 maggio. Di sicuro era un giorno infrasettimanale, perchè avevo lezione all'università. Mi sembra che fosse Diritto penale, e non ricordo nemmeno il nome dell'esimio professore che teneva la lezione. Che sia l'ingiuria del tempo che passa lento ma inesorabile a provocare questi vuoti di memoria? Sono passati 34 anni da quel giorno di maggio quando fu ritrovato il cadavere di Aldo Moro, mica pochi. Ma l'emozione di quei fatti tragici, quella no, non l'ho dimenticata.

Quei pochi brandelli di memoria rimasti mi riportano alla mente immagini di impermeabili e di ombrelli, per cui doveva essere una brutta giornata dal punto di vista meteo. Era primo pomeriggio, la lezione stava per cominciare e la bella e austera aula ad anfiteatro con i banchi in legno che scricchiolavano ad ogni minimo movimento si andava pian piano riempiendo. In attesa che passasse il solito quarto d'ora accademico ed arrivasse il professore, mi si avvicinò un altro studente con cui ogni tanto scambiavo qualche parola. Un tizio di Mestre con i baffetti e un'aria allampanata che gli davano molti più anni di quelli reali. Eravamo poco più che ventenni (erano gli anni dei jeans a zampa d'elefante...), ma qualcuno si vestiva e si atteggiava come un quarantenne o peggio. Come se questo invecchiamento precoce nei modi e nell'aspetto potesse contribuire a dare più credibilità e affidabilità ad uno studente di giurisprudenza. Ma la facoltà di Padova era famosa e apprezzata anche per quel manto di seriosità che copriva tutto e tutti. Ho già avuto modo di raccontare delle terrificanti percentuali di bocciatura del prof. Burdese (Diritto romano). Bocciature a nastro e immagine stereotipata di vecchiume erano la norma per Giurisprudenza a Padova. E se ne vantavano fieramente.

Il baffetto di Mestre viaggiava sempre in coppia con un'altra studentessa-amica (morosa?). Erano francobollati l'uno con l'altra. Era piuttosto carina, ma vestita anche lei come una quarantenne di rango, in tailleur o gonna a pieghe blù scuro e golfino di cachemire. Come la giacca e cravatta per i maschietti: divisa standard per giurisprudenza in quegli anni. Forse è per questo che non mi sono laureato. Non era il mio ambiente. Tuttavia in un posto che pullulava di neofascistelli e figli di papà, anche l'amicizia di due personaggi così democristianamente caratterizzati era apprezzabile. Per lo meno non avevano sempre quell'aria truce da "marines de noantri" degli stupidi ragazzotti con le teste rasate e gli anfibi militari ai piedi.
Il cadavere di Moro nella Renault rossa
"Lo hanno trovato" mi disse il baffetto di Mestre. Non serviva aggiungere chi o cosa. Era chiaro che si parlava di Moro. Non si parlava di altro in quei giorni. Tutti si aspettavano una fine tragica. Ma quando tutto si concluse nel peggiore dei modi, il fatto che l'epilogo fosse nell'aria non evitò lo sgomento per la notizia. In qualche modo tutti si aspettavano che finisse male, ma la concretezza di quelle immagini televisive del corpo di Moro nel bagagliaio della Renault trasformavano un'ipotesi nella peggiore realtà a cui comunque noi, gente comune, non eravamo preparati.
Arrivò il professore. Anche lui sapeva. Chiese un minuto di silenzio a tutti i presenti prima di cominciare la lezione. Tutti in piedi, con vera emozione nei cuori. Aldo Moro, la Democrazia cristiana, la maggioranza di centro sinistra dell'epoca potevano anche non piacere, si potevano anche avere idee politiche diverse, ma di fronte alla fine tragica di un uomo non si potevano fare distinguo o riserve mentali.E nessuno ne fece in quell'aula.

Fuori dalla facoltà, Padova continuava ad essere un campo di battaglia, nonostante la fine di Moro. Anzi, proprio la sua uccisione alimento altre furiose polemiche a livello politico e parallelamente avveleno ancora di più il clima di tensione di quegli anni di piombo. C'era chi considerava i brigatisti alla stregua di delinquenti o terroristi. Chi invece parlava di "compagni che sbagliano". Chi li fiancheggiava apertamente. In quegli anni in Italia si è visto di tutto e di più. Io li ho vissuti tutti quegli anni e ricordo benissimo la malsana curiosità con cui al mattino si compravano i giornali per leggere un vero e proprio bollettino di guerra con morti e feriti, battaglie a colpi di molotov e pestaggi. Internet non esisteva ancora. L'informazione viaggiava attraverso i telegiornali Rai o la radio. Che era comunque Rai, cioè di stato e ufficiale. Emanazione delle segreterie di partito che se la lottizzavano già allora a suon di veline (non quelle di Canale 5...).
Ecco perchè nacque la cosiddetta informazione alternativa, fatta da giornali spesso getiti da cooperative e da reti di radio locali. Un'alternativa all'informazione standardizzata e pilotata. Ma anche l'informazione cosiddetta "libera" in realtà rispondeva a logiche tuttaltro che reali e oggettive. Le manipolazioni e le forzature nella lettura dei fatti cambiavano semplicemente sponda politica e linguaggio, ma lo spirito aberrante di condizionamento era più o meno lo stesso. Brutti tempi quegli "anni di fuoco". Si lottava, si sparava e si uccideva in nome della democrazia e della libertà. Ma la prima vera vittima di quel bagno di sangue era proprio lei, la democrazia.

sabato 5 maggio 2012

Piccola storia ignobile (di provincia)

La provincia è la mia, Padova. Ci sono nato e ci vivo da sempre. La storia è quella di un litigio tra vicini finito a carte bollate in tribunale. I vicini duellanti sono il parroco Don Francesco e la dirimpettaia del campetto dell'oratorio (la signora Silvia, commercialista) dove i bambini giocano a calcio nel pomeriggio. Motivo del contendere, il disturbo arrecato alla vicina dal vociare dei ragazzini.  Il parroco è stato denunciato dalla vicina e condannato in primo grado dal giudice civile a mettere a norma il campetto in cemento del suo oratorio con un fondo d'erba sintetica e pannelli fonoassorbenti: in totale, 45 mila euro di lavori più 15 mila di spese legali. In realtà la denuncia di mancata messa a norma è solo un pretesto procedurale che mira a ben altro obiettivo. La chiusura e la fine dei giochi, non in senso metaforico. Una bella botta: «Se il giudizio d'appello, a giugno, si concluderà come il primo grado non ci resta che chiudere tutto e negare per sempre questo spazio ai giovani», confessa candidamente don Francesco, 46 anni, patavino doc.
Il parroco don Francesco
La signora Silvia ha le finestre praticamente affacciate sul campetto e, nonostante una siepe e la rete di protezione alta tre metri, lamenta di non riuscire più a dormire nè a lavorare («Il rumore che fanno i bambini supera di 19 decibel la soglia consentita mentre per legge potrebbe al massimo sforare di 3...», protesta la donna). Per capirci sul livello di distrurbo che possono arrecare quei 19 decibel fuorilegge, il tubo di scappamento di una moto è all'incirca di 90 decibel. Fate voi.  Insomma, la commercialista dirimpettaia è esasperata e da 8 anni conduce la sua battaglia in completa solitudine. Nel quartiere, infatti, ha tutti contro: a cominciare dagli altri parrocchiani che come lei hanno le case intorno all'oratorio. Loro non si lamentano. Dal 2006 il parroco don Francesco, per venire incontro alle proteste della vicina, ha limitato l'uso del campo a solo tre ore al giorno. Ma non c'è stato niente da fare. La controversia è andata avanti a suon di denunce. Le più svariate e pretestuose. Il parroco è stato denunciato per atti di terrorismo e detenzione di sostanze esplosive. Beh, volete sapere la verità? Si trattava della notte di Capodanno. E le sostanze che la signora denunciava ritenendole pericolosamente esplosive erano i petardi lanciati dai ragazzi.... E' sufficientemente chiaro il quadro della situazione?
Stanti le ingenti spese imposte dalla sentenza il campetto verrà chiuso. La signora dr.ssa Silvia C. avrà vinto la sua personale battaglia contro il parroco. Ma sarà una vittoria di Pirro. Si sarà mai chiesta (non credo...) la signora commercialista che "non può più vivere in casa sua per il chiasso infernale dei bambini" dove andranno a passare i pomeriggi quei ragazzini così insopportabili? Probabilmente per strada o in qualche sala giochi o davanti alla tv a casa loro a rimbambirsi di cartoni animati e play station. Ma la signora in compenso potrà dormire a piacimento (al pomeriggo??. Qualunque cosa, chissenefrega cosa, pur di non lasciare i ragazzini all'aria aperta a divertirsi tirando quattro calci al pallone in patronato.

Cara signora Silvia invece di adoperarci per levare i ragazzini dai pericoli della strada o dal rimbambimento televisivo ce li mandiamo apposta per non sentire i loro disdicevoli schiamazzi per tre ore al pomeriggio e solo se c'è bel tempo. Poi ci lamentiamo se crescono col mito nefando del Grande Fratello.
Bene, brava, complimenti!

venerdì 4 maggio 2012

Libri. Ildefonso Falcones, non tutte le cattedrali riescono col buco!

La cattedrale del mare
di Ildefonso Falcones


Lo dico subito senza girarci intorno. La cosa migliore del libro è il pomposo nome dell'autore del libro stesso, tanto da sembrare uno pseudonimo coniato ad arte. Difficile, dopo aver letto anche solo qualche pagina di questa storia non andare con la mente a rincorrere l'epica vicenda de I pilastri della terra di Ken Follet.  Con il risultato che tra i due romanzi non c'è lotta. Vince I Pilastri per ko alla prima ripresa. Il perchè è semplice: manca il pathos, la capacità di coinvolgere il lettore e farlo sentire parte del racconto. Manca l'affetto per i protagonisti che rimangono sempre figure abbozzate sulla carta senza mai acquisire una corporeità individuale che spinge il lettore ad amarli e prenderne le parti.
Santa Maria del Mar - Facciata
La cattedrale eretta sulla carta mattone dopo mattone da Ken Follet  è in grado di spingere qualche lettore a cercare la mitica Kingsbridge sulla carta geografica della Gran Bretagna. Non trovandola ovviamente, è una creazione della fantasia di Follet. Onestamente dubito che Santa Maria del Mar (esiste veramente: http://it.wikipedia.org/wiki/Santa_Maria_del_Mar ) possa guadagnare molti visitatori in più per merito di Ildefonso Falcones. Manca il magico quid che fa la differenza e distingue un grande libro (e un grande scrittore) da un mediocre e scontato romanzo di un autore di mediocre talento.
Un test sempre valido. Man mano che ci si avvicina alla fine di un libro e le pagine ancora da leggere diminuiscono, vi sentite addosso un certo disagio che da un lato vi spinge a rallentare la lettura per non terminare troppo presto e dall'altro vi stimola ad accelerare per vedere al più presto come va a finire...? Ecco, applicate il test a Ildefonso e a Ken e mi saprete dire la differenza...

Tuttavia, il libro ha avuto un buon successo di pubblico. Evidentemente a molti è piaciuto. Mi viene il dubbio però che non abbiano mai letto il vecchio Ken...