mercoledì 27 gennaio 2010

Il giorno della memoria

Oggi si celebra in tutto il mondo il Giorno della Memoria. Proprio il 27 gennaio di 65 anni fa il campo di sterminio di Auschwitz fu liberato dall'Armata Rossa che premeva da Est verso Berlino. Le forze alleate ebbero modo di rivelare al mondo le atrocità commesse dai nazisti su oltre sei milioni di ebrei in nome della salvaguardia della razza ariana. Una vergogna dell'intera umanità e di quanti all'epoca pur sapendo fecero finta di non sapere e non vedere.
Ancora più vergognoso è che tuttoggi ci sia chi nega l'Olocausto parlando di macchinazione storica e politica. Credo che l'ultimo in ordine di tempo a esprimersi in questi termini sia stato il presidente dell'Iran (quello col nome difficile da ricordare e pronunciare).
Tradizionalmente e storicamente si associa all'idea dello sterminio di ebrei e alla loro persecuzione il Nazismo hitleriano. Purtroppo anche noi italiani ci siamo macchiati di questa infamia. Il regime fascista si rese colpevole di analoga persecuzione, sia pure in forma minore. Ma certo questa minorità del fenomeno non può essere considerata un'esimente. Il principio era scimmiottare gli alleati tedeschi in tutto e per tutto, anche nelle nefandezze, per non essere da meno. Il Capo del Governo e del Partito Fascista Benito Mussolini fece approvare dal parlamento le leggi razziali e il Re Vittorio Emanuele III le promulgò nel 1938. La famiglia regnante Savoia fu dunque complice e correa di quelle persecuzioni.
Sarebbe bene che ce lo ricordassimo tutti e lo insegnassimo ai nostri figli e nipoti, nonostante siano passati 65 anni dalla liberazione di Auscwitz (e ben 72 dalle leggi razziali). La memoria deve essere maestra di insegnamenti e fonte di esperienza per tutti, perchè non si debbano più ripetere tragedie simili.
Anche l'Italia ebbe ilo suo campo di concentramento. La gran parte di ebrei nostri connazionali (e con essi quella che il regime fascista considerava la feccia dell'umanità, zingari, omosessuali e chiunque non fosse omologato ai caratteri ariani) furono spediti in Germania, Austria, Polonia dove si trovavano i principali campi di sterminio. Ma una parte fu concentrata vicino Trieste, nella Risiera di San Sabba. Sempre per non essere di meno dei feroci e spietati alleati germanici.
Italiani, brava gente? Non sempre e di sicuro non con gli ebrei. Non certamente il regime fascista, non certamente chi coprì e avallò questa pagina vergognosa della storia italiana.

Il tempo

Il tempo che passa è come, d'estate, l'aria smossa dalle pale di un ventilatore. A vent'anni se ne vorrebbe di più. A quaranta la si gode e si apprezza così com'è. Dai cinquanta in poi comincia a dare un tremendo fastidio sul collo fino a diventare insopportabile.
Maledizione.

lunedì 25 gennaio 2010

Film visti. Il quarto tipo


Il quarto tipo
regia di Olatunde Osunsanmi, con Milla Jovovich, Elias Koteas, Will Patton.

[Voto: 2 su 5]


Vi piace la fantascienza? Credete agli Ufo e agli extraterrestri? Credete ai rapimenti da parte degli alieni? Siete tra i fans di Scully e Mulder in X-Files?
Allora Il quarto tipo è il film per voi. Anche se più che un film lo definirei un docu-fiction sul modello di quelli che passano su History Channel o su Quark, nel senso che in buona sostanza tutto ciò che si vede nel film è una trasposizione cinematografica di testimonianze raccolte durante le indagini relative a casi di sospette adduzioni avvenute qualche anno fa in Alaska. Adduzioni o abduzioni non è che un modo diverso e più formale di parlare di sospetti/probabili rapimenti da parte di alieni. Alla documentazione originale dell'inchiesta viene affiancata una drammatizzazione da parte di attori che seguono fedelmente i contenuti della documentazione ufficiale. Dunque molto di più del classico film "ispirato ad una storia vera".
Il risultato finale è un film molto cupo che si svolge in una atmosfera angosciante e tetra. D'altronde difficilmente potrebbe essere diversamente.
Particolarità inquietante. A me è accaduto qualche mese fa di svegliarmi di notte, per due-tre notti consucutive, sempre alla stessa ora: le 3.33. Proprio come nel film. Devo preoccuparmi?

domenica 24 gennaio 2010

Ammaniti, che brutta festa!

Che delusione. Invece che una vera festa sulla scia delle ottime prestazioni precedenti, questo nuovo romanzo di Ammaniti sembra un mezzo funerale tragicomico ammantato di ironia e umorismo forzati e costruiti a tavolino. Anni luce di distanza dai commoventi, emozionanti e coinvolgenti Ti prendo e ti porto via e Come Dio comanda.
Due sono le storie messe in campo: quella di Saverio Moneta, capo di una ridicola setta di satanisti romani "de noantri" e lo scrittore, celebre e di successo, Francesco Ciba. Il primo non possiede nulla e nulla ha da offrire, se non rabbia e risentimento verso il mondo intero. Una vita ufficiale all'ombra dell'azienda di famiglia (della moglie-tiranna) in cui è dirigente per meriti parentali; una seconda vita non-ufficiale e nell'ombra come capo spirituale di tre poveracci adoratori di satana in una dimensione più da bar sport di periferia che di autentica setta. Il secondo personaggio, Ciba lo scrittore, invece ha tutto: successo, ricchezza, donne, importanti frequentazioni, ma è in crisi su tutti i fronti a causa di una letargia della sua vena letteraria che lo condiziona. Entrambi i personaggi sono dunque alla ricerca di una svolta che Ammaniti individua nella festa del titolo. Le due trame convergono così verso il luogo focale del romanzo: Villa Ada (a Roma) che fungerà da sede della mega festa rigorosamente trash organizzata da una specie di mafioso arricchito, che si inventa una sorta di safari pecoreccio da ottavo re di Roma. Lì si decideranno i destini di tutti i protagonisti, nel bene o nel male. Tutta la situazione è condita con punte di acido sarcasmo e pungente ironia nel tentativo di dare una cifra interpretativa ai personaggi e alla vicenda. Ma sarcasmo e ironia sembrano fini a sè stessi e il risultato è deludente e grottesco (per non dire ridicolo quando entrano in scena gli ex-sovietici). I satanisti sono poco più che personaggi da fumetto e la figura dello scrittore maledetto rimane a livello di galleggiamento senza che la sua costruzione come personaggio riesca a scendere in profondità. La parte cruciale del libro, la mega festa, è poi condita da situazioni e personaggi che sembrano tutti usciti da un cinepanettone di serie B. Da un momento all'altro ci si aspetta di veder sbucare fuori Christian De Sica o Massimo Boldi. Il livello è quello. Ammaniti costruisce un castello di cartapesta e poi si limita a giraci intorno senza riuscire a trovare la chiave per scardinarne le porte. Singolare poi che abbia scelto proprio uno scrittore come personaggio principale. Lo costruisce come scrittore di successo, rampante e di grande ambizione, ma complessivamente negativo e per certi versi spregevole. Forse per differenziarsi, lui come Ammaniti, da quella figura di intellettuale modaiolo? Per sottolineare così la sua assenza -per scelta- da salotti e studi televisivi? Comunque sia il rimpianto per i personaggi sanguignamente veri e meritevoli di affetto di Come dio comanda è tanto. Tantissimo.

sabato 23 gennaio 2010

Forza, grazia, bellezza. L'atleta perfetta

Ieri sera non avevo voglia di cinema, nè di film in tv. Sul canale satellitare Eurosport mi sono imbattuto nei campionati europei di pattinaggio, che si svolgono a Tallinn capitale dell'Estonia. A me piace il pattinaggio, così come mi piacciono gli sport invernali in genere. Ho praticato lo sci di fondo e da discesa e con lo slittino ero come una bomba di cannone: inarrestabile. Ma il pattinaggio per me resta un mito, non foss'altro perchè mi sarebbe sempre piaciuto imparare a pattinare, ma non ne ho mai avuto l'occasione. Detto fra noi il deterrente principale era che è praticamente impossibile trovare dei pattini della mia misura di piede, ho il 48...  Ma tornando all'argomento del post, ieri sera mi sono gustato circa tre ore di pattinaggio di altissimo livello. Singolo femminile e doppio di artistico. Una goduria, sottolineata ed esaltata da bravi atleti e atlete italiani che si sono fatti onore, compresa la famosa Carolina Kostner. Ma sono rimasto letteralmente a bocca aperta, estasiato, assorto e ipnotizzato da una pattinatrice finlandese, Kiira Korpi, che ieri sera era seconda in classifica provvisoria proprio dietro la nostra Kostner. Questa sera la finale.
Lo sport è sempre una mirabile sintesi di forza fisica e abilità tecnica, talento naturale, esercizio, allenamento, sacrificio e volontà di riuscire a raggiungere un obiettivo.  La finlandese Kiira Korpi aggiunge a tutto questo anche una rara bellezza che rende la sua prestazione atletica uno spettacolo da godere totalmente. Avete presente la formidabile, brava e bella tennista Maria Sharapova? Ancora di più, ancora meglio, perchè il pattinaggio è uno sport che maggiormente esalta l'armonia dell'esecuzione del gesto tecnico-agonistico essendo strettamente imparentato con la danza. Una armonia tra forza, grazia e bellezza.
Kiira Korpi, l'atleta perfetta.


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Per ammirarla all'opera cliccate qui:
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martedì 19 gennaio 2010

Film visti. Avatar

Avatar
regia di James Cameron, con Sam Worthington, Sigourney Weaver, Giovanni Ribisi, Michelle Rodriguez, Zoe Soldana.

[Voto: 4 su 5]

Come in tutte le cose bisogna distinguere forma e sostanza. Il super colossal Avatar non fa eccezione, come del resto, a ben vedere, qualsiasi altro film. Forma e sostanza. Spettacolo e contenuto. L'ottimo voto riportato in alto media i due estremi, perchè c'è una bella differenza di valutazione dei due àmbiti.
Cominciamo dalla forma. Avatar è la quinta essenza dello spettacolo e della bellezza delle immagini su uno schermo cinematografico. Prendete il più bel documentario naturalista di National Geografic e moltiplicate per dieci o per cento. Per quanto ne avessi sentito parlare nei vari servizi di presentazione del film, per quanto avessi visto trailers e anticipazioni varie, l'impatto della visione del film supera qualsiasi fantasia o immaginazione. Il film è grandioso nella sua rappresentazione del pianeta Pandora su cui si svolge la vicenda. E' altrettanto immaginifico nella invenzione dei personaggi e dello spunto narrativo. Bella l'idea di creare un avatar cioè un "doppio fisico" dell'umanoide originale su cui innestare una coscienza umana. Affascinante sotto tanti aspetti anche perchè ad esempio, nel film il protagonista, che è paraplegico, di fatto riacquista un corpo perfetto attraverso la sua simbiosi con l'avatar pandoriano. Una mente innestata in un corpo diverso. Non c'è male come volo di fantasia... Magari fosse possibile.
E veniamo alla sostanza. Qui casca l'asino. Sempre che da un film del genere ci si debba aspettare chissà quali contenuti e quale spessore. Comunque diciamo subito che lo sviluppo della trama è quanto di più banale e già visto vi possa essere in ambito cinematografico. Avete presente i film di pellerossa e giubbe blu con John Wayne al comando del Settimo Cavalleggeri? Archi e frecce contro pistole e fucili? Selvaggi seminudi e urlanti contro un esercito regolare e modernamente armato? Ebbene, Avatar nell'intreccio narrativo non è altro che questo: una rivisitazione nell'anno 2154 dell'epopea della frontiera dell'America dei primi '800. Poi naturalmente a ben vedere i selvaggi non erano poi così selvaggi... e i valorosi soldati con le giubbe blu non erano poi così tanto eroici e nobili... anzi il cinema americano ha anche il merito di aver messo a nudo tante verità sulle porcate commesse dai militari ai danni dei pellirosse nativi. Avatar rispecchia in tutto e per tutto quel filone di cinema nato almeno sessant'anni fa e sviluppatosi fino a quasi i giorni nostri. Con qualche aggiustamento del caso, politically correct, of course. Esempio. Le squaw di Pandora non sono dedite esclusivamente a far da mangiare, accudire i mariti/guerrieri o ad allevare bambini, ma sono socialmente equiparate ai loro uomini, sono guerriere anch'esse con pari voce in capitolo nelle decisioni collettive. E di similitudine in similitudine troviamo i fidi mustang (cavalli selvaggi e addomesticati), le divinità della natura, gli spiriti, i luoghi sacri, le tradizioni dei padri, ecc. ecc. Tutto già visto.
Ma chissenefrega? La bellezza e spettacolarità delle immagini fa sì che si possa tranquillamente glissare sulla prevedibilità della trama che non inventa nulla di nuovo. Avatar vale senz'altro la pena di essere visto. Non riesco a immaginare qualcosa che possa essere più bello e spettacolare di questo film, almeno per i prossimi anni...
Un cenno a parte merita la visione 3D. Per me era la prima volta e devo dire che i primi dieci minuti del film li ho passati a sbalordirmi degli effetti tridimensionali. Ero diffidente e prevenuto, lo ammetto, ma devo dire che il risultato è stupefacente. In certi primi piani mi veniva quasi da allungare una mano per toccare l'oggetto che sembrava proprio lì davanti a me invece che sullo schermo a decine di metri di distanza. Incredibile.
Per concludere, una considerazione. I "selvaggi" del popolo Navi venerano una divinità che è tuttuno con la natura meravigliosa e lussureggiante del pianeta. E' una venerazione totale, assoluta. Una fede incrollabile che da loro forza e fiducia. Ma la domanda che mi è venuta in mente è questa. In questa visione della divinità Dio è Natura o Natura è Dio? Ossia, si venera la natura come espressione della creazione di Dio o viceversa la Natura assurge essa stessa a rango di divinità? Per gli alieni di Pandora la risposta è la seconda, Natura è Dio. Ma per noi umani di oggi...?

lunedì 18 gennaio 2010

In morte di un amico

E' mancato improvvisamente il mio amico Fulvio. Un ex rugbysta come me (un Old), ma di una generazione precedente alla  mia. Nonostante la forte differenza di età (poteva essere mio padre) ero molto affezionato a lui. O forse era proprio la grande differenza di età che mi portava ad apprezzarlo e a volergli bene. Se ne è andato via all'improvviso dopo che nel pomeriggio di sabato eravamo stati insieme alla partita di rugby del Petrarca, dopo il solito tradizionale terzo tempo, dopo esserci dati appuntamento con gli altri amici per l'indomani, come al solito con il pretesto del nostro amato rugby. Invece nella notte si è sentito male e il suo cuore malandato l'ha tradito. Un caratteraccio intrattabile che spesso scoraggiava gli incauti estranei, una scorza abrasiva e aspra, ma sotto quella scorza una brav'uomo che aveva vissuto intensamente la sua vita, aveva amato intensamente il suo lavoro di dirigente d'azienda e che adesso si godeva gli anni della pensione tra la sua passione dei viaggi e quella del rugby (per non parlare della buona tavola...).
Quando l'ho saputo non volevo crederci. Era talmente inverosimile che ho pensato ad uno scherzaccio grossolano scaturito dalla vena goliardica dei nostri compagni di squadra. La mia prima reazione è stata quella di protestare che su queste cose non si scherza e che era proprio uno scherzo del cavolo.... ma le facce degli altri amici mi hanno fatto capire che non si trattava di uno scherzo di cattivo gusto.
Caro Fulvio, hai passato la palla per l'ultima volta. E' la vita, maledizione. Che ti sia lieve la terra.
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http://www.ipetrarchi.it/index.php?s=news_dett&page=1

Film visti. La prima cosa bella

La prima cosa bella
regia di Paolo Virzì, con Valerio Mastandrea, Micaela Ramazzotti, Stefania Sandrelli, Claudia Pandolfi, Dario Ballantini.
[Voto: 3,5 su 5]

Questa è la storia di Anna e dei suoi due figli. E' la storia di una famiglia, dolorosa ma anche bella, triste e tragica ma anche gioiosa. E' la storia di un pezzo di Italia degli ultimi decenni filtrata attraverso le vicende personali dei protagonisti, povera gente sballotatta senza pietà dalle difficoltà della vita. E' anche la storia della riconciliazione di Bruno, figlio maggiore di Anna, che riesce a scrollarsi di dosso una tendenza autodistruttiva connaturata in lui già dall'infanzia. Tutte queste storie si snodano nell'arco di trentotto anni, dal 1971 al 2009, sono raccontate con affetto da Paolo Virzì. Con così tanto affetto che tale affezione viene trasmessa anche allo spettatore in maniera coinvolgente. In circa quarant'anni di onorata carriera di appassionato consumatore di cinema nonchè di aspirante cinefilo, con alle spalle centinaia e centinaia di film visti, devo dire che molto raramente mi era successo di commuovermi come in questo film di Virzì. Buon per me, significa che non ho ancora inspessito troppo la pellaccia dei sentimenti...
E' raro incappare in un film italiano che riesca a raccontare una storia degna di questo nome. Con un inizio e una fine, che sia appassionante, credibile, che risulti reale e veritiera. Senza situazioni esasperate o stereotipi stantii o tesi precostituite da dimostrare. Evviva la freschezza e la genuinità di Paolo Virzì!
Bella la prova complessiva del cast a cominciare da Stefania Sandrelli e di Micaela Ramazzotti che le rifà il verso in maniera quasi esilarante e naif, interpretandola da giovane.Mastandrea a mio avviso diventa sempre più bravo nei ruoli introspettivi e meditabondi. Insolitamente gradevole anche Claudia Pandolfi (la sorella Valeria). Buffo l'accento doverosamente toscano dei protagonisti (la vicenda si svolge a Livorno) ma inquinatoda malcelate inflessioni romanesche che tradiscono l'origine capitolina di gran parte degli attori...

giovedì 14 gennaio 2010

Film visti. Il mondo dei replicanti

Il mondo dei replicanti
Regia di Jonathan Mostow, con Bruce Willis, Radha Mitchell, Rosamund Pike.
[voto: 1,5 su 5]

Che ciofeca!
Potrei fermarmi qui senza aggiungere altro; il termine "ciofeca" è abbastanza espressivo da solo, ma due parole vale la pena di aggiungerle. Interessante e stimolante lo spunto: l'idea di avere qualcuno che vada a lavorare al posto mio mi affascina e mi appassiona. Pensate che bello fare la bella vita, scegliere di occuparsi solo di quello che ci interessa e lasciare un robot a farsi il mazzo tutto il giorno al posto nostro...! E quando finisce le batterie si mette in carica da solo. Vabbè forse ci costerà un po' in bolletta ma vuoi mettere la libidine?
Tra il ridicolo e il grottesco il robot che figura come alter ego del protagonista Bruce Willis. Pelle perfetta, lineamenti giovanili, non una ruga, non un brufoletto. sempre tirato a lucido, fresco e riposato. Indistruttibile e resistente a tutto. Talmente finto che ricorda in maniera impressionante il nostro presidente del consiglio Berlusconi incipriato con il suo cerone di rappresentanza. Un incrocio tra la Barbie e Cicciobello. Un bijoux!

domenica 10 gennaio 2010

La violenza non è mai accettabile. Ma ne siamo sicuri?

La violenza non è mai accettabile. Ma ne siamo sicuri?
[dal blog di Giovanni Sonego]

Subito dopo l’attentato a colpi di souvenir moltissime persone (soprattutto politici) hanno stigmatizzato l’uso della violenza dichiarando: “La violenza non è accettabile, mai!”
Una levata di scudi e una condanna della violenza su giornali, TV, blog (ad esempio "Berlusconi, la violenza no" di Angelo Volpe),e social media, talmente generalizzata da far passare chi non la vede nello stesso modo per un pericoloso estremista.
In questo periodo mi è capitato di riflettere su questa frase, su questa inaccetabilità della violenza, sempre e comunque e di chiedermi se in questo rifiuto generalizzato ci poteva essere qualche cosa di sbagliato e se, qualche volte, la violenza è accettabile oppure addiriturra il comportamento più giusto.
Mi sono fatto alcuni esempi, ponendomi delle domande.
Per esempio: sarebbe stato giusto uccidere Hitler? Se misuro l’eticità di un’azione in base al numero di morti, beh, nel caso di Hitler ammazzandone uno se ne sarebbero salvati milioni… Forse sarebbe stato un’azione giusta o addirittura meritoria!
Oppure, secondo esempio. Una buona parte delle persone conviene che la legittima difesa sia giusta. In questo caso un’ipotetica vittima di una uno stupro se si ribella ribellarsi può – anche legalmente – uccidere l’assalitore.
Un terzo esempio: immaginiamo un campo di prigionia, tipo Abu Ghraib. Se uno dei prigionieri, oggetto delle odiose vessazioni, si fosse ribellato e fosse riuscito a ferire o ad uccidere un proprio aguzzino avreste considerata ingiusta o inappropriata la violenza?
Quarto esempio: quello che sta succedendo in questi giorni a Rosarno. Alcuni immigrati sfruttati si sono stufati di essere oggetto di violenza da parte dei locali. Avrebbero potuto rivolgersi alle forze dell’ordine, allo Stato, ma la loro condizione di clandestini li avrebbe costretti a pagare un prezzo troppo alto: l’espulsione. E allora si sono ribellati in modo violento.
E’ interessante osservare come – in questo caso – la condanna della violenza non sia stata così unanime. Ad esempio, alcuni miei amici blogger hanno avuto una valutazione tollerante della violenza praticata “dagli schiavi”. (Vedi Rosarno, Italia di Angelo Volpe e Dalla parte dei più deboli, di Orso Marsicano).
L’unico elemento comune nei casi che ho riportato come esempi di “violenza accettata” è il forte squilibrio dei rapporti di forza, con un elemento forte che vessa e sottomette un elemento più debole, enormente più debole. Hitler era più potente dei suoi attentatori; le guardie carcerarie di Abu Ghraib sottomettevano completamente i loro prigionieri; chi tenta un stupro è fisicamente più forte della vittima; e gli italiani che si sono divertiti a vessare ed aggredire gli immigrati a Rosarno, erano in una posizione di privilegio.
Sembra quasi che la violenza praticata dal più debole nei confronti del più forte sia più tollerabile delle violenza in altre situazioni. In certi casi viene percepita addirittura come giusta.
Non sono arrivato ad una conclusione, ma ormai mi sono convinto che non è vero che l’uso della violenza non sia mai giustificato. Ci sono dei casi in cui la violenza è giustificata e giusta.
E’ possibile definire una regola generale, una casistica che permette di considerara le violenza una soluzione accettabile? Non lo so, ma avendo già trovato quattro casi che aprono la strada a parecchi dubbi credo possano esser i molti i casi forse sarebbe il caso di rivedere l’affermazione “La violenza non è mai accettabile”. [Giovanni Sonego]

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Do volentieri spazio a questa riflessione del mio amico Giovanni pubblicata sul suo blog.
E’ vero, la materia del discutere è stimolante e problematica. Ho scritto “la violenza non è mai accettabile”. Ne sono fermamente convinto e lo confermo come principio, come valore etico e morale, come scelta di vita. Ma ci sono delle limitazioni alla valenza assoluta dell’affermazione che mi vengono suggerite dal buon senso. Non condivido la scelta della violenza come atto volontario e deliberato, ma la ammetto se si tratta di una scelta obbligata e senza alternativa valida e praticabile. Insomma io personalmente non userei mai la violenza come atto di mia volontà, ma se dovessi farlo per difendermi allora non avrei esitazioni. Non voglio banalizzare il discorso, ma vorrei portare l’esempio del rugby. Esperienza per quanto mi riguarda altamente formativa nelle cose spicciole come in quelle importanti. Uno sport che molti, non conoscendolo a fondo, ma solo superficialmente, considerano uno sport violento. Per la mia esperienza di ex giocatore posso dire che in parecchi anni di gioco non ho mai usato la violenza contro un avversario su mia iniziativa per intimorirlo, sopraffarlo o fargli del male. E posso assicurare che fisicamente me lo sarei potuto permettere senza grosse difficoltà. Invece quando era il mio avversario a tentare di usare il gioco violento e intimidatorio nei miei confronti, in mancanza di una tutela da parte dell’arbitro, ho risposto colpo su colpo fino a che il mio contendente non si è piegato “a più miti consigli”. In altre parole l’uso della forza o della violenza in presenza di determinate condizioni può essere legittimo e giustificato. Mi viene in mente una reminescenza dei tempi di scuola. Terza legge di Newton (o III principio della dinamica): ad ogni azione fa seguito una reazione uguale e contraria. Ecco, questo sintetizza bene ciò che penso dell’uso della forza e della violenza.

sabato 9 gennaio 2010

Rosarno, Italia.

Cosa sta succedendo a Rosarno? Rivolta di massa, manifestazioni di protesta, scontri per strada, agguati, gambizzazioni, tutta la gamma della violenza di piazza è sciorinata senza risparmio. E' l'effetto-spumante, il tappo della bottiglia che esplode sulla spinta dei gas accumulati e poi fa il botto. Questo sta succedendo a Rosarno. Scontri fra polizia, extracomunitari e cittadini; tutto nato quando gli immigrati sono scesi per le strade esasperati, dopo che due di loro erano stati feriti. La comunità extracomunitaria a Rosarno e nella zona reggina sono bassa manovalanza da sfruttare con il sistema del caporalato gestito dalla malavita, dalla 'ndrangheta, dalla mafia. Dodici ore di lavoro nei campi a 25 euro al giorno, di cui 5 vanno al "caporale". Finchè i neri immigrati hanno subito in silenzio, a Rosarno andava tutto bene, al punto che la gente del posto si è vantata davanti alle telecamere dei tg di essere ben disposta verso di loro e di averli trattati bene. Salvo il particolare delle condizioni subumane in cui vivono e di un paio di fucilate contro due di loro, cosa che hanno avuto il cattivo gusto di non gradire scendendo per le strade. Scene di guerriglia urbana, polizia in assetto antisommossa per cercare di fronteggiare i manifestanti infuriati, auto distrutte, vetrine dei negozi infrante. L'aggressione ai due extracomunitari ha fatto esplodere la rabbia delle centinaia di immigrati che vivono in zona e la reazione dei cittadini di Rosarno che adesso li vogliono cacciare via. Il bilancio degli scontri è pesante: 38 feriti (ad oggi), di cui due gravissimi in coma. Bilancio pesante come il clima che si respira. Tutti contro tutti: gli immigrati protestano per le condizioni disumane in cui vivono e lo sfruttamento che subiscono con il caporalato; lo Stato italiano contro gli immigrati disperati che sono scesi per le strade a manifestare; i cittadini di Rosarno contro gli immigrati a cui rinfacciano la disponibilità con cui sono stati accolti; la polizia contro sia gli immigrati che quella parte di cittadini che hanno imbracciato le armi e i bastoni e hanno aggredito gli immigrati. Il caos totale, un girone dantesco.
Il ministro degli interni Maroni, da bravo politico, non si è fatto sfuggire l'occasione per addossare le colpe di tutto alla sinistra, colpevole di avere un atteggiamento troppo morbido verso gli immigrati. L'unica cosa giusta che mi sento di sottoscrivere in pieno è che i reati commessi saranno perseguiti e non saranno lasciati impuniti. C'è da sperare che il ministro si riferisse indistintamente a tutti i reati, anche quelli di chi sfrutta e schiavizza il lavoro altrui. Il dubbio è legittimo, si sa che andare a toccare gli interessi della 'ndrangheta è sempre molto rischioso, anche politicamente. Non mi pare di aver letto una sola parola pronunciata da Maroni sulle condizioni  reali ed oggettive in cui vivono gli immigrati e sul fatto che siano sfruttati come schiavi per il lavoro nei campi. La reazione ha sempre all'origine un'azione uguale e contraria. Ma questo pare essere ignorato dai politici di governo. Una riduzione e costrizione in schiavitù modello anni 2000. Perchè il ministro Roberto Maroni pare non avere dubbi: dietro la guerriglia urbana degli immigrati per protestare per il ferimento dei loro connazionali c'è il "lassisimo" delle politiche immigratorie dei precedenti governi di sinistra. Ovvero il solito scaricabarile: autoassoluzione totale invece di ammettere che quanto è successo è comunque la si voglia vedere una vergogna per Rosarno, per la Calabria, per lo Stato italiano, per i politici italiani (di qualunque schieramento), per tutti. Un'autoassoluzione invece di ammettere che lo Stato non è in grado di imporre e garantire il rispetto della legge a cominciare dalla regolarità dei rapporti di lavoro. Lo Stato si è fatto vedere solo con la presenza della polizia per le strade e solo nel momento in cui gli immigrati sono scesi per le strade per disperazione ed esasperazione. Invece di controllare, verificare, regolare il reclutamento dei lavoratori, invece di garantire un giusto contratto di lavoro agli immigrati, invece di impedire abusi e soprusi, invece di impedire lo sfruttamento e la schiavitù. Forse gli immigrati avrebbero ricevuto più attenzione e visibilità se si fossero rivolti al Gabibbo. Uno straccio di telecamera sarebbe arrivata a Rosarno per documentare su Striscia la notizia le condizioni di quei poveretti. Adesso a cose fatte, a situazione compromessa e destabilizzata, adesso che ci sono due immigrati in coma e in pericolo di vita, si combattono gli schiavi e non gli schiavisti.
Questa è la situazione a Rosarno, Italia, paese membro del G8, dell'Onu e cofondatore dell'Unione europea. Un paese che nell' A.D. 2010 si autodefinisce paese leader tra le nazioni del mondo civile e globalizzato.

giovedì 7 gennaio 2010

La "sua" casalinga di Voghera in lutto

Beniamino Placido ci ha lasciato e con noi la "sua" casalinga di Voghera che lo piangerà inconsolabile.
Intellettuale e professore universiatario; critico televisivo e cinematografico fine, elegante, ma non per questo meno tagliente e graffiante. Scrittore, giornalista e perfino attore una tantum per Nanni Moretti.
Per me è stato un modello di riferimento, sia sotto il punto di vista linguistico che di contenuti. Leggere un suo articolo, uno qualsiasi, era come partecipare ad una lezione di giornalismo. In quegli anni la lettura quotidiana di Repubblica cominciava sempre dalla sua rubrica televisiva “A parer mio” prima ancora che dal fondo di Scalfari.
Aveva il dono dello scrivere come pochi altri abbia mai avuto occasione di leggere e apprezzare. Ineguagliabile quella sua prosa personalissima e inconfondibile. Rapida, scattante, mai banale, ironica, approfondita ma non prolissa e sempre in grado di andare a fondo dei concetti. Un talento unico. Era un vero piacere leggerlo. Pace a lui e condoglianze sentite alla casalinga di Voghera, sua creatura letteraria.

La Cina è vicina

Libri: Il cinese di Henning Mankell - Marsilio Editori

La Cina è vicina, anche nei libri. Che il colosso asiatico abbia acquistato un ruolo di primaria importanza, sia in campo economico che finanziario oltre a quello storico in campo politico, è un fatto acclarato. E anche la narrativa di largo consumo se ne è accorta. Un esempio di questo interessamente viene da questo notevole e piacevole romanzo, un po' thriller e un po' no, di Henning Mankell. Di Mankell mi sono già occupato parlando di scrittori svedesi insieme al fenomeno Stig Larsson e del suo Millennieum. http://volpe56.blogspot.com/search/label/Henning%20Mankell%3B%20Sjowall%20e%20Wahloo
Mankell  si muove sempre in ambito poliziesco (di gran successo il commissario Kurt Wallander protagonista di molti suoi romanzi), sia pure senza le esasperazioni tipiche del settore e questo è uno dei motivi per i quali lo apprezzo e lo leggo volentieri. Lo spunto è semplice: una strage feroce e assurda sconvolge il piccolo villaggio di Hesjövallen, nel nord della Svezia. Il giudice Birgitta Roslin non crede al gesto di uno squilibrato e, in nome del legame di parentela che la unisce ad alcune delle vittime, decide di occuparsi del caso, sia pure in veste non ufficiale. Da qui il dipanarsi di una vicenda che porta il lettore in altri luoghi e in altre epoche. La Cina per l'appunto, con approfonditi excursus storici molto piacevoli e interessanti nella metà dell'800, ma anche con una finestra sull'America pionieristica di quel periodo. Un respiro amplissimo dunque, che costituisce a mio avviso il pregio maggiore del libro. Manning spazia nel tempo e nei luoghi con grande disinvoltura e padronanza, dalla Svezia alla Cina, dal Nord America all'Inghilterra. Non disdegna analisi storico-politiche sulla Cina di Mao e sui riflessi che quei fenomeni hanno avuto sulla formazione di una cultura europea in materia. Il filo conduttore di natura poliziesca diventa alla fine il pretesto per raccontare una storia che avrà un epilogo in verità piuttosto deludente sotto il profilo del thrilling. Ed è questo il punto debole del libro, perchè con un inizio di grande effetto (l'inspiegabile strage nel paesino svedese) sarebbe stato lecito aspettarsi uno sviluppo all'altezza. Invece il libro "migra" sull'aspetto storico e politico per confezionare l'antefatto che porta alla strage, ma poi  si perde senza concludere l'aspetto poliziesco in maniera adeguata. Resta comunque ul libro interessante che si fa leggere con piacere nonostante le quasi 600 pagine.

Film visti. Il riccio

Il riccio
regia di Mona Achache, con Josiane Balasko, Garance Le Guillermic, Togo Igawa.
[Voto: 3.5 su 5]

Dopo il grande successo del libro (vedi il commento su questo blog: http://volpe56.blogspot.com/search/label/eleganza%20del%20riccio) arriva il film. E' uno dei rarissimi casi in cui il film è forse migliore del libro (già di ottimo livello, sia pure non esente da qualche pecca). Infatti la narrazione è asciutta, senza compiacimenti saccenti ed esageratamente eruditi, snella e dotata di un elegante umorismo nella presentazione dei personaggi. Simpaticissima la ragazzina, che nel film diventa anche abilissima nel disegno. Il personaggio di Renée, la portiera (o portinaia?) è anch'esso ben calibrato.
Vi confido un segreto. Nel leggere il libro mi sono raffigurato il suo personaggio con le sembianze di Rosy Bindi...


Balotelli, da vittima a colpevole?

Pare che il caso del giorno su tutti i giornali, i tg e compagnia cantante sia lo sfogo di Balotelli, calciatore italiano di colore che puntualmente si becca caterve di insulti razzisti negli stadi di calcio di tutta Italia. Ieri ha reagito dicendo che il pubblico veronese razzista che lo insulta gli fa schifo. Sarebbe più giusto dire che ha "osato" reagire agli insulti...

La cosa assurda e paradossale è che da vittima di insulti razzisti pare si debba giustificare se ha osato reagire e dire la verità. Verità che tutti dovrebbero proclamare a gran voce invece di minimizzare /o far finta di non sentire. Il pubblico razzista fa schifo, il razzismo nello sport fa schifo, il razzismo in ogni sua manifestazione fa schifo.

Balotelli ha ragione da vendere, sarebbe ora di smetterla e di prendere seri e duri provvedimenti. Invece finirà come già si intuisce, nel calcio toccare i tifosi è sempre tabù. Finirà come sempre in una bolla di sapone e l'unico ad essere punito, direttamente o indirettamente, sarà proprio Balotelli. E' già alla gogna. Il sindaco di Verona (Lega...) ha rincarato la dose definendolo immaturo e presuntuoso. Per aver detto ciò che andava detto: razzisti fate schifo!