domenica 10 gennaio 2010

La violenza non è mai accettabile. Ma ne siamo sicuri?

La violenza non è mai accettabile. Ma ne siamo sicuri?
[dal blog di Giovanni Sonego]

Subito dopo l’attentato a colpi di souvenir moltissime persone (soprattutto politici) hanno stigmatizzato l’uso della violenza dichiarando: “La violenza non è accettabile, mai!”
Una levata di scudi e una condanna della violenza su giornali, TV, blog (ad esempio "Berlusconi, la violenza no" di Angelo Volpe),e social media, talmente generalizzata da far passare chi non la vede nello stesso modo per un pericoloso estremista.
In questo periodo mi è capitato di riflettere su questa frase, su questa inaccetabilità della violenza, sempre e comunque e di chiedermi se in questo rifiuto generalizzato ci poteva essere qualche cosa di sbagliato e se, qualche volte, la violenza è accettabile oppure addiriturra il comportamento più giusto.
Mi sono fatto alcuni esempi, ponendomi delle domande.
Per esempio: sarebbe stato giusto uccidere Hitler? Se misuro l’eticità di un’azione in base al numero di morti, beh, nel caso di Hitler ammazzandone uno se ne sarebbero salvati milioni… Forse sarebbe stato un’azione giusta o addirittura meritoria!
Oppure, secondo esempio. Una buona parte delle persone conviene che la legittima difesa sia giusta. In questo caso un’ipotetica vittima di una uno stupro se si ribella ribellarsi può – anche legalmente – uccidere l’assalitore.
Un terzo esempio: immaginiamo un campo di prigionia, tipo Abu Ghraib. Se uno dei prigionieri, oggetto delle odiose vessazioni, si fosse ribellato e fosse riuscito a ferire o ad uccidere un proprio aguzzino avreste considerata ingiusta o inappropriata la violenza?
Quarto esempio: quello che sta succedendo in questi giorni a Rosarno. Alcuni immigrati sfruttati si sono stufati di essere oggetto di violenza da parte dei locali. Avrebbero potuto rivolgersi alle forze dell’ordine, allo Stato, ma la loro condizione di clandestini li avrebbe costretti a pagare un prezzo troppo alto: l’espulsione. E allora si sono ribellati in modo violento.
E’ interessante osservare come – in questo caso – la condanna della violenza non sia stata così unanime. Ad esempio, alcuni miei amici blogger hanno avuto una valutazione tollerante della violenza praticata “dagli schiavi”. (Vedi Rosarno, Italia di Angelo Volpe e Dalla parte dei più deboli, di Orso Marsicano).
L’unico elemento comune nei casi che ho riportato come esempi di “violenza accettata” è il forte squilibrio dei rapporti di forza, con un elemento forte che vessa e sottomette un elemento più debole, enormente più debole. Hitler era più potente dei suoi attentatori; le guardie carcerarie di Abu Ghraib sottomettevano completamente i loro prigionieri; chi tenta un stupro è fisicamente più forte della vittima; e gli italiani che si sono divertiti a vessare ed aggredire gli immigrati a Rosarno, erano in una posizione di privilegio.
Sembra quasi che la violenza praticata dal più debole nei confronti del più forte sia più tollerabile delle violenza in altre situazioni. In certi casi viene percepita addirittura come giusta.
Non sono arrivato ad una conclusione, ma ormai mi sono convinto che non è vero che l’uso della violenza non sia mai giustificato. Ci sono dei casi in cui la violenza è giustificata e giusta.
E’ possibile definire una regola generale, una casistica che permette di considerara le violenza una soluzione accettabile? Non lo so, ma avendo già trovato quattro casi che aprono la strada a parecchi dubbi credo possano esser i molti i casi forse sarebbe il caso di rivedere l’affermazione “La violenza non è mai accettabile”. [Giovanni Sonego]

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Do volentieri spazio a questa riflessione del mio amico Giovanni pubblicata sul suo blog.
E’ vero, la materia del discutere è stimolante e problematica. Ho scritto “la violenza non è mai accettabile”. Ne sono fermamente convinto e lo confermo come principio, come valore etico e morale, come scelta di vita. Ma ci sono delle limitazioni alla valenza assoluta dell’affermazione che mi vengono suggerite dal buon senso. Non condivido la scelta della violenza come atto volontario e deliberato, ma la ammetto se si tratta di una scelta obbligata e senza alternativa valida e praticabile. Insomma io personalmente non userei mai la violenza come atto di mia volontà, ma se dovessi farlo per difendermi allora non avrei esitazioni. Non voglio banalizzare il discorso, ma vorrei portare l’esempio del rugby. Esperienza per quanto mi riguarda altamente formativa nelle cose spicciole come in quelle importanti. Uno sport che molti, non conoscendolo a fondo, ma solo superficialmente, considerano uno sport violento. Per la mia esperienza di ex giocatore posso dire che in parecchi anni di gioco non ho mai usato la violenza contro un avversario su mia iniziativa per intimorirlo, sopraffarlo o fargli del male. E posso assicurare che fisicamente me lo sarei potuto permettere senza grosse difficoltà. Invece quando era il mio avversario a tentare di usare il gioco violento e intimidatorio nei miei confronti, in mancanza di una tutela da parte dell’arbitro, ho risposto colpo su colpo fino a che il mio contendente non si è piegato “a più miti consigli”. In altre parole l’uso della forza o della violenza in presenza di determinate condizioni può essere legittimo e giustificato. Mi viene in mente una reminescenza dei tempi di scuola. Terza legge di Newton (o III principio della dinamica): ad ogni azione fa seguito una reazione uguale e contraria. Ecco, questo sintetizza bene ciò che penso dell’uso della forza e della violenza.

4 commenti:

Giovanni Sonego ha detto...

Ti ringrazio di aver riportato il mio scritto. Commento che hai introdotto un altro elemento estremamente interessante.

Nel tuo esempio sul rugby scrivi che non sei stato mai violento. Le uniche occasioni in cui ti è capitato di esserlo è stato in occasione di soprusi (confermando l'esistenza di una violenza considerata "accettabile") e "in mancanza di una tutela da parte dell’arbitro", individuando così un fattore scatenante della violenza stessa.

Cioè, quando una persona ritiene di aver subito un sopruso, in mancanza di un arbitro, tende a far giustizia da sè. Ma in questo caso, sappiamo tutti, che il forte coinvolgimento emotivo espone ad errori, a eccessi nella difesa, a cattive interpetazioni.

Per questo motivo la società ha sviluppato organismi super partes che amministrano la giustizia con dovuto distacco e professionalità: le forze delle ordine e la magistratura.

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Volendo fare un parallelo con quanto è avvenuto con B., ci troviamo in una situazione in cui la sensazione (magari sbagliata) di avere un uomo di governo prepotente e che commette soprusi è piuttosto diffusa. Insieme abbiamo avuto un'opera di distruzione della credibilità operata da B. stesso.

E' quasi inevitabile che, in un contesto di questo tipo, individui come Tartaglia possano reagire violentemente.

Credo che tra i tanti danni provocati da Berlusconi alla società italiana, la deleggitimazione della magistratura sia uno dei più gravi e con le conseguenze più pericolose.

Unknown ha detto...

Attenzione. Una cosa è reagire ad un attacco diretto e concreto (a un pugno eventualmente rispondo con un pugno se non ho possibilità di ricorrere a chi di dovere); altra cosa è valutare una gestione politica di un governante come fosse un atto violento. E' una bella forzatura. Non si possono sovrapporre le due cose e considerarle sullo stesso piano. Ad un atto politico non condiviso e giudicato inopportuno o iniquo le risposte devono essere di tipo politico e rimanere in un ambito civile non violento. Le sedi sono quelle previste dalla Costituzione o la protesta pubblica e civile, non certo la violenza. Nel caso di Berlusconi-Tartaglia si è trattato di un malato di mente e dunque al di là di una valutazione razionale.

Giovanni Sonego ha detto...

Sono abbastanza d'accordo. Ma che dire di uno stato che preleva il soldi del tuo TFR per coprire i buchi?

E ancora: se le sedi previste dalla costituzione vengono private della necessaria autorevolezza e messe in condizione di non lavorare, come si fa ad avere giustizia?

Unknown ha detto...

A questo dovrebbero provvedere le regole del confronto democratico e la dialettica politica. La minoranza e l'opposizione parlamentare dovrebbero servire anche a questo. Gli elettori dovrebbero far sentire il proprio dissenso al momento del voto, i giornali dovrebbero fare il loro mestiere invece di leccare il deretano ai potenti di turno, i sindacati dovrebbero mobilitare i lavoratori... Ma mi rendo conto che si scivola inevitabilmente nell'accademia pura, nella retorica se non nell'utopia. Il discorso si farebbe complesso, complicato e troppo articolato per essere affrontato in questa sede. Ma in sintesi la conclusione ritorna al punto di partenza. La scelta della violenza è sempre da respingere salvo poche, rare, giustificate e non altrimenti evitabili eccezioni citate nel corso della nostra discussione.