domenica 24 gennaio 2010

Ammaniti, che brutta festa!

Che delusione. Invece che una vera festa sulla scia delle ottime prestazioni precedenti, questo nuovo romanzo di Ammaniti sembra un mezzo funerale tragicomico ammantato di ironia e umorismo forzati e costruiti a tavolino. Anni luce di distanza dai commoventi, emozionanti e coinvolgenti Ti prendo e ti porto via e Come Dio comanda.
Due sono le storie messe in campo: quella di Saverio Moneta, capo di una ridicola setta di satanisti romani "de noantri" e lo scrittore, celebre e di successo, Francesco Ciba. Il primo non possiede nulla e nulla ha da offrire, se non rabbia e risentimento verso il mondo intero. Una vita ufficiale all'ombra dell'azienda di famiglia (della moglie-tiranna) in cui è dirigente per meriti parentali; una seconda vita non-ufficiale e nell'ombra come capo spirituale di tre poveracci adoratori di satana in una dimensione più da bar sport di periferia che di autentica setta. Il secondo personaggio, Ciba lo scrittore, invece ha tutto: successo, ricchezza, donne, importanti frequentazioni, ma è in crisi su tutti i fronti a causa di una letargia della sua vena letteraria che lo condiziona. Entrambi i personaggi sono dunque alla ricerca di una svolta che Ammaniti individua nella festa del titolo. Le due trame convergono così verso il luogo focale del romanzo: Villa Ada (a Roma) che fungerà da sede della mega festa rigorosamente trash organizzata da una specie di mafioso arricchito, che si inventa una sorta di safari pecoreccio da ottavo re di Roma. Lì si decideranno i destini di tutti i protagonisti, nel bene o nel male. Tutta la situazione è condita con punte di acido sarcasmo e pungente ironia nel tentativo di dare una cifra interpretativa ai personaggi e alla vicenda. Ma sarcasmo e ironia sembrano fini a sè stessi e il risultato è deludente e grottesco (per non dire ridicolo quando entrano in scena gli ex-sovietici). I satanisti sono poco più che personaggi da fumetto e la figura dello scrittore maledetto rimane a livello di galleggiamento senza che la sua costruzione come personaggio riesca a scendere in profondità. La parte cruciale del libro, la mega festa, è poi condita da situazioni e personaggi che sembrano tutti usciti da un cinepanettone di serie B. Da un momento all'altro ci si aspetta di veder sbucare fuori Christian De Sica o Massimo Boldi. Il livello è quello. Ammaniti costruisce un castello di cartapesta e poi si limita a giraci intorno senza riuscire a trovare la chiave per scardinarne le porte. Singolare poi che abbia scelto proprio uno scrittore come personaggio principale. Lo costruisce come scrittore di successo, rampante e di grande ambizione, ma complessivamente negativo e per certi versi spregevole. Forse per differenziarsi, lui come Ammaniti, da quella figura di intellettuale modaiolo? Per sottolineare così la sua assenza -per scelta- da salotti e studi televisivi? Comunque sia il rimpianto per i personaggi sanguignamente veri e meritevoli di affetto di Come dio comanda è tanto. Tantissimo.

2 commenti:

Giovanni Sonego ha detto...

Ammaniti, con una enne...
Ciao
Giovanni

Unknown ha detto...

OOOOPS. Grazie, correggo immediatamente.