lunedì 31 dicembre 2012

Rita Levi Montalcini, "nemo propheta in patria"


Con il suo sorriso lieve e lo sguardo intenso se ne è andata una delle donne che - per rigore d'impegno civile e di dedizione alla ricerca e allo studio - rendono grande il nostro paese: Rita Levi Montalcini. Premio Nobel per la medicina, è deceduta ieri 30 dicembre a Roma. Aveva 103 anni.
 
Strano destino quello di Rita levi Montalcini. Grande scienziata, ricercatrice, premio Nobel per la medicina, apprezzata e stimata in tutto il mondo ha trovato proprio in Italia le maggiori resistenze al riconoscimento del suo genio. Perchè era un personaggio scomodo, sebbene semplicemente colpevole di avere delle idee e di non farne mistero, di non appiattirsi sul pensiero dominante del momento. E si sa che nel nostro paese, specie negli ultimi decenni, avere delle idee non agganciate al carrozzone politico di successo comporta automaticamente la ghettizzazione mediatica. Così è successo per la Montalcini, presa di mira dal centro destra perchè, in quanto senatrice a vita per nomina del Presidente della Repubblica Ciampi, esercitava il suo diritto di voto in parlamento. Le cronache riportano le offese e gli sberleffi a lei indirizzati dal fronte politicante di centro destra. Una delle tante vergogne della politica italiana dominante negli ultimi anni. Per quanto illustre, importante e geniale possa essere un personaggio che a livello internazionale porta lustro all'Italia e agli italiani, per certa politica è un nemico da abbattere sempre e comunque. Questa è (anche) l'Italia, purtroppo.

Rita Levi Montalcini era nata a Torino il 22 aprile 1909. Dopo aver studiato medicina all'universita' di Torino, all'età di 20 anni entra nella scuola medica dell'istologo Giuseppe Levi e inizia gli studi sul sistema nervoso che prosegue per tutta la sua vita, salvo alcune brevi interruzioni nel periodo della Seconda guerra mondiale. Si laurea nel 1936. Nel 1938, in quanto ebrea sefardita, fu costretta dalle leggi razziali del regime fascista a emigrare in Belgio con Levi, dove continua le sue ricerche in un laboratorio casalingo.
Nel 1951-1952 scopre il fattore di crescita nervoso noto come Ngf (Nerve Growth Factor), che gioca un ruolo essenziale nella crescita e differenziazione delle cellule nervose sensoriali e simpatiche. Per circa 30 anni prosegue le ricerche su questa molecola proteica e sul suo meccanismo d'azione, per le quali nel 1986 viene insignita del Premio Nobel per la medicina insieme allo statunitense Stanley Cohen. Nella motivazione del riconoscimento si legge: «La scoperta del Ngf all'inizio degli anni '50 è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos. In precedenza, i neurobiologi non avevano idea di quali processi intervenissero nella corretta innervazione degli organi e tessuti dell'organismo». E forse il segreto della lucidità e vitalità fino all'ultimo giorno della sua scopritrice si celava proprio nel Ngf: la scienziata lo assunse tutti i giorni in forma di gocce oculari per problemi alla vista.
Rita Levi Montalcini è scomparsa. Una parte d'Italia piange la grande donna e la grande scenziata, un'altra parte tira un sospiro di sollievo per un personaggio non disponibile all'asservimento in meno. Nemo propheta in patria, dicevano i latini che la sapevano lunga....

sabato 29 dicembre 2012

Libri. Solar, uno stronzo geniale...

SOLAR
di Ian McEwan

La mia esperienza con Ian McEwan prima di ora si fermava ad uno splendido romanzo, Espiazione. Poi ho preso in mano questo Solar, penultimo della sua produzione, descritto come il più riuscito. Non condivido affatto (almeno avendo come unico punto di riferimento il citato Espiazione), perchè a dire tutta la verità, mi sono trascinato a forza per le quasi 350 pagine, sperando di arrivare presto alla fine. La storia narrata, anche in questo libro, si dipana nell'arco di parecchi anni e segue il protagonista con puntigliosa meticolosità, descrivendolo nelle sue sfaccettature di genio della fisica meritevole addirittura del Premio Nobel. Ma al di là della facciata ufficiale, l'uomo è tutt'altro che una persona da prendere ad esempio. Il professor Beard è paradossale, tanto grasso quanto antipatico, tanto inetto quanto fortunato, tanto approfittarore quanto codardo. Beard è è una schifezza di uomo quasi simbolico recettore di tutte le debolezze umane che portano a giudicare il prossimo come persona sgradevole da cui stare alla larga. Nell'addentrarsi nella vicenda si è, sì, spinti a prenderne le distanze, a deprecarlo, ad assumerlo come modello negativo, ma senza mai riuscire a spezzare le catene di una narrazione piatta e senza sussulti. Si verificano situazioni impreviste (mah...), colpi di scena (insomma...), ma nessuna di queste viene presentata con un sussulto narrativo che riesca a smuovere il lettore dal torpore della lettura.
Il romanzo si articola in tre fasi distinte della vita del laido professore: nel 2000, durante il fallimento del suo quinto matrimonio; nel 2005, quando scopre quasi sessantenne di essere in procinto di diventare padre per la prima (ed unica) volta; infine nel 2009, quando è sul punto di lanciarsi un'ambigua avventura ecologico-scientifica mirata a salvare il pianeta attraverso l'attuazione di progetto di energia alternativa basato sulla fotosintesi clorofilliana. In realtà il progetto è miseramente copiato da intuizioni di altri studiosi di cui l'insigne luminare si è appropriato indebitamente. Insomma un vero stronzo le cui malefatte non si fermano qui ma arrivano a ben di peggio. Ovviamente non è il caso di approfondire troppo i dettagli. Il finale della vicenda è repentino (si sviluppa in relativamente poche pagine) e non particolarmente sorprendente. Nel complesso anche troppo verboso lo sviluppo della vicenda con frequenti flash back, anche troppo particolareggiati, che finiscono con l'appesantire il tutto.
 
 

giovedì 27 dicembre 2012

C'è ladro e ladro...!

Due notizie a confronto. Tema comune: i ladri.
Ma c'è ladro e ladro. C'è chi ruba per fame e per necessità, chi invece per pura cupidigia e voglia di arricchirsi indebitamente. Ecco due storie diverse prese dai giornali di oggi, 27 dicembre 2012. Ognuno giudichi secondo coscienza.

Notizia n. 1

Disoccupata ruba al supermercato per
Disoccupata ruba al supermercato per sfamare i figli a Natale
Protagonista una badante moldava 42enne di Vigonza, rimasta senza lavoro e pizzicata dal personale di sorveglianza, il 24 dicembre scorso, a rubare 70 euro di alimenti all'Ipercoop di via Regia. In lacrime ha raccontato la sua disperata situazione

 27 dicembre 2012
Carne, sugo e pasta. Questi gli ingredienti per confezionare il pranzo di Natale da condividere in famiglia. Fino a qui una storia di ordinaria normalità, se non fosse che quelle confezioni di carne, pasta e le scatole di sugo sono state rubate da una madre disoccupata e disperata in un supermercato la vigilia di Natale per sfamare i figli.
IL FURTO. Ne dà notizia il Gazzettino di Padova di oggi. Il fatto è avvenuto poco prima della chiusura, il 24 dicembre, all'Ipercoop di via Regia a Vigonza. Protagonista una moldava di 42 anni, badante, ma da tempo senza lavoro e con due figli minori a carico. La donna, che aveva nascosto la refurtiva sotto il giubbotto, è stata sorpresa in flagrante dal personale di sorveglianza del supermercato.
LA DISPERAZIONE. Come da prassi, sono stati avvertiti i carabinieri che, identificata la ladra, incensurata, hanno raccolto il suo sfogo. Ha riferito in lacrime di essere arrivata a tanto per lo sconforto di non sapere cosa altrimenti dare da mangiare ai propri figli. Ora la 42enne rischia una denuncia per furto.
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Notizia n. 2
 
Fondi Lazio, concessi gli arresti domiciliari a Franco Fiorito
Il gip concede gli arresti domiciliari all'ex capogruppo del Pdl, rinchiuso a Regina Coeli dal 2 ottobre scorso con l'accusa di peculato. L'avvocato difensore Taormina: "Attendiamo serenamente il giudizio perché questa vicenda sia trattata come qualsiasi altro processo"

27 dicembre 2012
Fondi Lazio, concessi gli arresti domiciliari a Franco Fiorito
Arresti domiciliari per Franco Fiorito "er batman" che lascia il carcere di Regina Coeli dove era detenuto. L’ex capogruppo del Pdl alla Regione Lazio accusato di peculato per l’ammanco di oltre un milione e 300mila euro.
Un milione e 300mila euro, è la cifra ipotizzata dalla Procura di Roma. A tanto ammonta il maxisequestro di beni di Franco Fiorito, arrestato con l’accusa di peculato il 2 settembre, che corrisponde a quanto i pm sostengono che l’ex capogruppo abbia sottratto ai fondi del Pdl della Regione Lazio. Soldi finiti sui suoi conti correnti e da lui in parte “investiti” in beni immobili. Nel decreto con cui ha ordinato il sequestro preventivo dei beni, il gip Stefano Aprile ribadisce poi quanto già scritto nell’ordinanza sottolineando che “l’esposizione degli elementi probatori non lascia spazio a interpretazioni di sorta: Fiorito ha trasferito (ha ordinato di trasferire) a proprio favore, senza lecita causa, dal conto corrente del gruppo consiliare del Pdl, del quale era presidente, la complessiva somma di 1.357.418 euro″.
 

Le donne e il femminicidio, la versione di don Corsi

E' appena passato il Natale che, comunque la si pensi in tema di religione e di fede, è per antonomasia sinonimo di buoni sentimenti universali. Ma proprio per questo motivo risulta ancor più stridente e sgradevole la vicenda del prete di La Spezia che si è scagliato contro le donne che provocano pensieri lascivi negli uomini spingendoli a praticare la violenza contro di esse. Addirittura, se così non fosse, cioè se gli uomini non dovessero essere soggiogati da tali malcelate profferte sessuali, è solo perchè sono con tutta probabilità froci. Sembrano, sembrerebbero, discorsi degni del peggior bar sport di infimo livello, invece sono considerazioni che provengono dalla mente e dalla penna di un prete. Il che rende ancor più nauseante il senso dell'assurdo ragionamento. Insomma per farla breve, è colpa di certe donne dai costumi sfacciati e provocatori se poi gli uomini rompono i freni inibitori e passano alle vie di fatto usando loro violenza a sfondo sessuale. Eccola qui, papale papale, la tesi del prete spezzino che individua in un sol colpo cause, effetti e conseguenze di un fenomeno sociale e criminale che va sotto il nome di femminicidio. Perchè sprecare tempo e risorse intellettuali scomodando illustri sociologi e psicologi, criminologi, filosofi ecc. ecc. per fotografare il triste fenomeno della violenza sulle donne? Ci pensa in un sol battito di ciglia un anonimo prete di La Spezia che spiattella, urbi et orbi, la sua verità.
"Le donne e il femminicidio, facciano sana autocritica. Quante volte provocano?"

Il testo poi prosegue così: "L'analisi del fenomeno che i soliti tromboni di giornali e tv chiamano appunto femminicidio. Una stampa fanatica e deviata attribuisce all'uomo che non accetterebbe la separazione questa spinta alla violenza. Domandiamoci: Possibile che in un sol colpo gli uomini siano impazziti? Non lo crediamo. Il nodo sta nel fatto che le donne sempre più spesso provocano, cadono nell'arroganza, si credono autosufficienti e finiscono con esasperare le tensioni. Bambini abbandonati a loro stessi, case sporche, piatti in tavola freddi e da fast food, vestiti sudici. Dunque se una famiglia finisce a ramengo e si arriva al delitto (forma di violenza da condannare e punire con fermezza) spesso le responsabilità sono condivise.
Quante volte vediamo ragazze e signore mature circolare per strada con vestiti provocanti e succinti? Quanti tradimenti si consumano sui luoghi di lavoro, nelle palestre e nei cinema? Potrebbero farne a meno. Costoro provocano gli istinti peggiori e poi si arriva alla violenza o abuso sessuale (lo ribadiamo, roba da mascalzoni). Facciano un sano esame di coscienza: forse questo ce lo siamo cercate anche noi?".

Cosa dire di fronte a questa posizione che gronda retrivo maschilismo e sfacciata misoginia a piene mani? Siamo ancora in un ambito culturale in cui all'uomo-maschio viene concessa l'attenuante della provocazione se si lascia andare a reati di violenza a sfondo sessuale. La colpa non è sua, ma della donna che lo provoca. Non è la protervia di un pensiero che che attribuisce al maschio una superioità intellettuale e genetica tale da consentirgli di decidere della vita e della morte dei suoi simili di rango inferiore. Ma, attenzione, la forma è salva e la facciata diventa rispettabile allorquando nel volantino si definisce "roba da mascalzoni" la violenza sulle donne. Non è un reato ripugnante, un crimine schifoso, è una mascalzonata. Roba da sepolcri imbiancati. Non criminali, ma mascalzoni. Bricconcelli... meritereste una bacchettata sulle mani per ogni stupro che commettete per colpa della lascivia femminile!
Nauseante.

Ma è un prete impazzito e fellone a dare di matto o il fenomeno è di più vasta portata e gravità?
La lettera/volantino di don Piero Corsi affissa alla vigilia di Natale nella bacheca della parrocchia di San Terenzio non è in realtà un fenomeno isolato nell'area ecclesiale cattolica. Già, perchè in realtà il contenuto della lettera riprendeva i contenuti, già pubblicati il 21 dicembre, sul sito online della rivista integralista cattolica Pontifex che individuava nella “provocazione delle donne” l’origine della violenza maschile. Quindi è lecito pensare che il violantino spezzino sia probabilmente solo la punta di un iceberg di ben più vasta dimensione. Il parroco naturalmente è stato richiamato aspramente dal vescovo (e vorrei vedere il contrario...) e ha ritirato la lettera (forse, non è chiaro), ma non sembra aver cambiato di una virgola le sue convinzioni. Che evidentemente sono ben radicate in un certo settore della Chiesa. Nel febbraio del 2011 l'arcivescono di Foligno, Arduino Bertoldo, colpevolizzava la donna che se cammina “in modo sensuale e provocatorio qualche responsabilità nell’evento ce l’ha, perché anche indurre in tentazione è peccato”.
Siamo nel 21° secolo, l’Onu ha condannato la violenza sulle donne come crimine e grave violazione dei diritti umani. Fiumi di inchiostro sono stati scritti sulla violenza alle donne, sono stati raccolti dati, denunciato il fenomeno, ma certa parte della Chiesa cattolica sembra tuttora pervasa da uno strisciante oscurantismo di stampo medievale che alimenta pregiudizi misogini e sessuofobici. Sul tema leggevo in questi giorni delle interessanti considerazioni che spaziano nel vasto terreno della psicanalisi alla ricerca di un perchè a questi atteggiamenti così retrivi. La tesi, molto interessante, sarebbe che il senso di tale giustificazione nella provocazione da parte delle donne andrebbe ricercata in un meccanismo di difesa da contenuti inconsci che sentiamo inaccettabili e che attribuiamo ad altri: agli alieni, al demonio, alle donne, agli immigrati, ai “neri”, agli omosessuali e talvolta purtroppo persino ai bambini o alle bambine. Insomma, non sono io, maschio degenere e scellerato, che ho una mentalità deviata e sessualmente prevaricatrice, ma è colpa loro che sono donne. Il che fa il paio con una barzelletta che sentivo girare ancora ai tempi della scuola: non sono io che sono razzista, sono loro che sono negri"! Verrebbe quasi da ridere se non ci fosse soltanto da piangere.

giovedì 20 dicembre 2012

21/12/2012. Evviva Kazzenger...!

Fra poche ore secondo i sommi jettatori Maya il mondo finirà. A mezzanotte saremo nel ventunesimo giorno del dodicesimo mese del 2012 e ....puff. Niente più mondo, niente più genere umano.

Se ne sono dette tante su questo giorno che ormai si può considerare come il trionfo dei Kazzenger di tutto l'universo. Meglio buttarla in ridere.
Propongo una barzelletina (ambientata in Veneto, la mia regione):
Tre amici veneti si trovano a chiacchierare e la conversazione cade sulla profezia dei Maya e su come salvarsi la vita. Il primo: io ho prenotato un Jumbo jet e per tutto il giorno volerò a 10.000 metri di quota. Qualunque cosa succeda sulla Terra io sarò al sicuro lassù. Il secondo: io invece ho fatto costruire sotto la mia villa sui colli Euganei un bunker antiatomico dove potrò stare al riparo per almeno sei mesi. Qualunque cosa succeda sulla Terra io sarò al sicuro laggù trenta metri sottoterra. Il terzo, notoriamento un po' avaro, sfoggia la sua soluzione: io invece me ne vado a Rovigo. A Rovigooo? -chiedono meravigliati gli amici- Sì, a Rovigo, perchè lì sono sempre indietro di dieci anni.... mi salvo di sicuro!

E per finire con una grassa risata alla faccia dei Maya (anche se in questo caso non c'entrano niente):

...con i finestrini chiusi ovviamente!
 

sabato 8 dicembre 2012

Il Lohengrin di Wagner alla Scala

Come ogni 7 dicembre, per me è un appuntamento irrinunciabile, specie da quando la prima della Scala viene trasmessa in diretta da Rai 5. L'ho detto già altre volte, è una scelta meritevole e degna del massimo risalto. Quest'anno è stata una vigilia tormentata e innevata per il capolavoro di Wagner. A cominciare dalle polemiche per la scelta dell'opera  in favore del più classico e tradizionale Verdi. Polemiche sciocche a mio avviso. Se c'è qualcosa di universale è propririo la musica in tutte le sue espressioni, opera lirica compresa. Tirar fuori polemiche su Verdi piuttosto che Wagner mi sembra proprio di una futilità assoluta. Ma tant'è di polemiche oggi si vive.
Intanto c'è stato il colpo di scena iniziale. L'influenza tiene lontano dal palcoscenico la soprano titolare del ruolo di Elsa, Anja Harteros, sia la sua "riserva" Ann Petersen, che avrebbe dovuto sostituirla. La nuova protagonista, Annette Dasch, è arrivata in tutta fretta a Milano in piena notte senza poter provare nulla se non frettolosamente e utilizzando addirittura degli abiti di scena non suoi. Tuttavia ha incantato il pubblico della Scala.  Ho fatto il tifo per lei. Ci vogliono palle per affrontare una prima alla Scala senza preavviso e senza prove. Complimenti.

Wagner non mi entusiasma, anzi a dirla tutta, lo trovo noioso e ed eccessivo. Non mi prende, non mi acchiappa. Sicuramente per limiti miei e per la mia incultura musicale, me ne rendo conto. Ma è stato difficile arrivare alla fine delle oltre 5 ore di rappresentazione. Oltretutto anche il libretto ci mette del suo con tutti quei richiami continui alla purezza. Del regno di Brabante, degli uomini nobili e probi, di Elsa, di Lohengrin stesso. Quando sento un tedesco parlare troppo insitentemente di purezza, mi vengono sempre i brividi per la schiena... Tuttavia devo riconoscere che è stato uno spettacolo all'altezza della Scala con gli assi nella manica rappresentati dagli interpreti, dal maestro Baremboin, dal coro. Unico neo, la scelta registica di Claus Guthdi di ambientare la vicenda nell'800. Proprio sbagliata. Come si fa a collocare nel XIX secolo una storia di quasi mille anni prima, fatta di dei, di eroi semidei, di uomini trasformati in cigni, di Graal e compagnia mitica cantante? No, davvero, proprio non ci siamo.
Del resto la mia diffidenza verso Richard Wagner è in buona compagnia:
"Non posso ascoltare molto Wagner. Mi fa venire voglia di invadere la Polonia.".
"Devo acquistare tutti i dischi di Wagner. E anche una motosega".
                                                                                                    Woody Allen
 
 Annette Dasch (soprano) e Jonas Kaufmann (tenore),
 protagonisti di Lohengrin
La parte del leone l'ha fatta la musica di questa opera romantica; quelli che ne capiscono dicono che è la più 'italiana' fra quelle del compositore tedesco, qualunque cosa voglia dire.... Grandi applausi a Barenboim e all'orchestra scaligera, come ho detto, ma anche tanti consensi al formidabile coro della Scala, protagonista al pari dei personaggi in scena. Mi sono commosso al termine dello spettacolo, quando il coro e l'orchestra hanno attaccato con impeto improvviso l'Inno di Mameli che ha entusiasmato l'intera sala con tutti gli spettatori in piedi a cantare. A proposito dell'inno, il protocollo prevede che l'esecuzione sia obbligatoria solo se c'è il presidente della Repubblica o un presidente straniero. Forse per questo motivo, in assenza di Napolitano, l'esecuzione è stata posticipata alla fine. Ed è stato anche più emozionante con gli applausi scroscianti per i cantanti tutti schierati in scena, piuttosto che all'inizio della serata con l'atmosfera ancora fredda e molto formale.
 

martedì 4 dicembre 2012

Un esempio dal rugby, sport di valori educativi

Il rugby. Il mio sport. Lo sport che amo. Perchè è uno sport di valori e di rispetto per gli avversari. Perchè consente a tutti di andare a vedere una partita senza timore degli avversari, di considerarli degli amici e non dei nemici da combattere. Perchè educa al rispetto reciproco e dunque all'amicizia.

Un esempio? Eccolo. Un'iniziativa rivolta ai genitori dei ragazzini che giocano a rugby. Perchè non si facciano coinvolgere in tifo esasperato scimmiottando cattivi esempi portati da altri sport. Perchè rispettino i propri figli non fecendone dei "mostri" cresciuti con il mito della vittoria a tutti i costi.

Roberto Rapetti e Matteo Farsura (ex giocatore del Petrarca Padova, ora allenatore delle categorie giovanili) hanno pensato a questo volantino per i tanti genitori che hanno i figli che giocano a Rugby; magari non hanno mai giocato e questo strumento può essere utile per ricordare loro lo spirito di questo favoloso sport. E’ disponibile una discreta quantità, se qualche genitore che condivide quanto esposto nel volantino o qualche società fossero interessati a distribuirli e a diffonderli si mettano in contatto con loro!

Matteo Farsura è rintracciabile sulla sua pagina facebook http://www.facebook.com/#!/matteo.farsura
Idem per Roberto Rapetti http://www.facebook.com/#!/roberto.rapetti.3

Naturalmente, questi consigli per i genitori dei mini rugbysti vanno benissimo per qualunque sport. Sono lo spirito dell'iniziativa e i valori educativi che sono universali.

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sabato 1 dicembre 2012

Libri. Il corpo umano, comunque dilaniato

Il corpo umano
di Paolo Giordano



Cinque anni fa esordiva con La solitudine dei numeri primi, conquistando immediatamente i favori del pubblico e della critica e aggiudicandosi il Premio Strega 2008. Paolo Giordano è tornato con il suo secondo lavoro, Il corpo umano, un romanzo ambientato tra i soldati impegnati in Afghanistan.
Si legge facilmente, lo scrivere è scorrevole, accattivante, diretto. In breve i personaggi diventano familiari e si imparano a conoscere.
Tutto bene dunque? No, non del tutto. Perchè questo libro, come il primo "dei numeri primi", che onestamente non si può non definire un bel libro, mi ha lasciato sostanzialmente freddino. Paolo Giordano non mi acchiappa, non mi entusiasma. Non è riuscito a coinvolgermi fino in fondo nonostante il tema scottante e struggente affrontato nel libro. Se vogliamo dirla in altro modo, nelle pause della lettura non sono riuscito a sentire nostalgia dei personaggi, come invece mi succede per altri autori. Per me è una efficace ed affidabile cartina tornasole nella valutazione di un libro.
Brevemente, la trama. I protagonisti sono militari, truppa, sottufficiali e ufficiali del contingente italiano inviato in zona di operazioni in una delle zone più pericolose al mondo: l'Afghanistan. Un miscuglio di varia umanità passata al frullatore della vita. Quella privata, con storie personali in parte lasciate in patria e in parte portate in zona di operazioni; quella tipicamente militaresca di soldati che vivono una fetta della loro vita in un campo militare in una terra sconosciuta, impegnati in una missione di pace con una popolazione in gran parte ostile. Missione di pace? Bella domanda. Una pace mascherata da guerra o, se volete, una guerra mascherata da pace. Più giusta la seconda, con un fulminante riferimento in un passo del libro alle caramelle distribuite dai soldati ai bambini, quasi fosse una sorta di spot pubblicitario per farsi benvolere dalla popolazione locale.
È un plotone di giovani ragazzi quello comandato dal maresciallo Antonio René. L’ultimo arrivato, il caporalmaggiore Roberto Ietri, ha appena vent’anni e si sente inesperto in tutto. Per lui, come per molti altri, la missione in Afghanistan è la prima grande prova della vita.
Al momento di partire, i protagonisti non sanno ancora che il luogo nel quale verranno destinati è uno dei più pericolosi di tutta l’area del conflitto: la Forward Operating Base (fob) Ice, nel distretto del Gulistan, “un recinto di sabbia esposto alle avversità”, dove non c’è niente, soltanto polvere, dove la luce del giorno è così forte da provocare la congiuntivite e la notte non si possono accendere le luci per non attirare i colpi di mortaio.
Ad attenderli laggiù, c’è il tenente medico Alessandro Egitto. Finito il suo periodo di missione ha scelto di rimanere in Afghanistan, all’interno di quella precaria “bolla di sicurezza”, di sua volontà, per sfuggire a una situazione privata che considera più pericolosa della guerra combattuta con le armi da fuoco.
Quella dentro la fob è una vita che non conoscono, ma che imparano ad affrontare e a sopportare, tra difficoltà ambientali e malattie, tra colpi di artiglieria che fischiano all'improvviso e le amicizie da caserma, fatte spesso di soprusi e di contrasti tra commilitoni. Ma soprattutto hanno a che fare con la nostalgia e la mancanza di affetti e di riferimenti familiari. Cercano distrazioni di ogni tipo e si lasciano andare a pericolosi scherzi camerateschi che rasentano, se non lo sono del tutto, becere espressioni di nonnismo vecchio stampo. E poi arriva la notte quando, sdraiati sulle brande o collegati via web con casa, vengono sorpresi dai ricordi. Nel silenzio assoluto della natura e del nulla che li circonda, ma che è anche il silenzio della civiltà da cui provengono, riescono ad ascoltarsi dentro, a sentire la pulsazione del proprio cuore, l’attività incessante del corpo umano.
C'è anche tra loro chi si è lasciato alle spalle situazioni difficili o irrisolte. E la lontananza diventa anche occasione di riflessione, di pausa, di interruzione dei rapporti stringenti con cui avevano a che fare a casa. Che non è sempre una cosa deprecabile.
Ma poi succede quello che tutti segretamente temevano. La chiamata all'azione, quella vera, con le armi e le pallottole che fischiano. Con i pattugliamenti sul territorio e le bombe che uccidono. L’occasione in cui saranno costretti ad addentrarsi in territorio nemico sarà anche quella in cui ognuno, all’improvviso, dovrà fare i conti la propria coscienza e con ciò che ha lasciato in sospeso in Italia. E per molti sarà una missione senza ritorno. Il maresciallo René, il tenente Egitto, e gli altri sopravvissuti ne usciranno segnati per la vita, anche se il destino ha loro salvato la vita stessa.

Per essere l'Italia un paese che nella sua Costituzione ripudia la guerra, questo romanzo che parla invece proprio di guerra combattuta da soldati italiani suona in maniera straniante. Dirompente anzi, tale da mettere il lettore con le spalle al muro, qualora abbia cercato di non sapere e non vedere che c'è una guerra combattuta da soldati italiani in quell'angolo del mondo. Quanti sono i militari italiani caduti in Afghanistan dall'inizio della "missione di pace"? Ho perso il conto. Una trentina? Di più, probabilmente. Ormai i media ne parlano solo quando qualcuno salta su una mina. Questo è il primo libro, di cui ho conoscenza e che ho letto, che tratta di questo argomento. Onore al merito. Lo affronta da dentro, con gli occhi dei protagonisti. Non si limita a descrizioni esterne e superficiali. Paolo Giordano in Afghanistan c'è stato. Il libro è frutto di un viaggio che l'autore ha compiuto assieme ai militari italiani nel dicembre 2010, con l'idea iniziale di farne un reportage. Ma la visita alla fob “Ice”, un avamposto particolarmente isolato nel distretto del Gulistan, nel sud del paese, incontrando dei coetanei alla soglia dei trent’anni, ha fatto scattare in lui lo spunto e lo stimolo di scriverne in un romanzo che parla di corpi umani, comunque dilaniati dalla guerra o dalla vita.

martedì 27 novembre 2012

Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma

Antoine Lavoisier
La legge della conservazione della massa è una legge fisica della meccanica classica, che prende origine dal cosiddetto postulato fondamentale di Antoine Lavoisier, che è il seguente:
« Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma »
Il postulato, come detto,  è una legge fisica, dunque vale per la natura, il mondo che ci circonda, l'ambiente, il globo terracqueo, l'universo, la materia... Tutto, insomma. Per tutto ciò che abbia qualcosa di concreto, di reale e di tangibile? No, non solo. Vale anche per il mondo di internet.
Volete una prova? Eccola.

Quella che segue è una storiella che circolava in internet una quindicina di anni fa, quando il web era uno strumento di comunicazione poco diffuso, per lo più sconosciuto, sicuramente misterioso. Tanti ne parlavano, pochi ce l'avevano (a disposizione). Sono passati tanti anni, molti di più del loro valore assoluto numerico, è noto che nel mondo informatico una quindicina di anni corrispondano quasi a un'eternità. Eppure ecco che ogni tanto, periodicamente, quasi ciclicamente, la storiellina che segue torna  inesorabile a circolare, quasi fosse rigenerata da una forza occulta della natura. E il bello è che quando viene rispolverata chi la diffonde la propina sempre come fosse una novità assoluta, nuova di zecca e originalissima... Io ci sono incappato proprio oggi per l'ennesima volta. Un tempo viaggiava con le mail, come moderne catene di S.Antonio. Questa volta gira su Facebook. Strumento di comunicazione aggiornato, ma storiella vecchia e rigenerata. Ecco perchè la legge di Lavoisier calza alla perfezione anche nel web, mondo dell'immaterialità.

 Una donna bianca di 50 anni qualcosa si è accomodata al suo posto in aereo e ha visto che il passeggero accanto a lei era un uomo nero.
Visibilmente furiosa, chiamò la hostess.
"Qual è il problema, Signora?" Le chiese la hostess.
"Non lo vedi?" Disse la Signora - "Mi è stato dato un posto accanto ad un uomo nero, non posso sedere affianco a lui! Devi cambiarmi il posto!".
"Per favore, si calmi.." - Disse l'hostess.
"Purtroppo, tutti i posti a sedere sono occupati, ma possiamo verificare se ce ne sono ancora alcuni".
La hostess verifico' e poi ritornò dalla Signora.
"Signora, come vi ho detto, non c'è alcun posto vuoto in questa classe, in economy.
Ma ho parlato con il comandante e mi ha confermato che non ci sono posti vuoti in classe economica. Abbiamo solo posti in prima classe."
E prima che la Signora dicesse qualcosa, la hostess continuò:
"Guarda, è insolito per la nostra azienda consentire ad un passeggero di cambiare la classe economy con la prima classe. Tuttavia, date le circostanze, il comandante pensa che sarebbe uno scandalo far viaggiare un passegero seduto accanto ad una persona sgradevole".
E rivolgendosi al nero, la hostess disse:
"Il che significa, Signore, se lei vuole, può prendere i suoi bagagli, vi abbiamo riservato un posto in prima classe..."
E tutti i passeggeri vicini, scioccati dall'aver visto questo comportamento da parte della Signora, hanno iniziato ad applaudire, alcuni anche in piedi".

domenica 25 novembre 2012

Film visti. Argo, la magia del cinema

 Argo
Regia: Ben Affleck
Con Ben Affleck, John Goodman, Alan Arkin, Bryan Cranston, Kyle Chandler.

Voto: 3,5 su 5

Ed ecco il bel film che non ti aspetti. D'accordo, Ben Affleck è un attore di buon livello, come regista ha già dimostrato di saperci fare (vedi recensione di The Town su questo blog), il cast è interessante, tuttavia Argo è una vera sorpresa per come riesce a tirar fuori due ore di autentica suspence da una vicenda accaduta circa trent'anni fa e che ha tutte le carte in regola per giacere nel dimenticatoio della storia. Già perchè si tratta di verità storica, cioè di fatti realmente accaduti negli anni '70 in medio oriente, quando in Iran salì al potere Komeini abbattendo il sanguinario dittatore-fantoccio degli Usa, lo Scia' di Persia, Reza Pahalevi. E qui siamo di fronte ad uno dei paradossi della storia, quando la si rilegge qualche decennio dopo. Mi ricordo piuttosto bene quegli anni e quegli avvenimenti. Era il 1979, mentre la rivoluzione iraniana raggiungeva l'apice, un gruppo di militanti komeinisti entra nell'Ambasciata USA in Tehran e porta via 52 ostaggi. La potenza politica ed economica, nonchè militare, degli Usa fu tenuta in scacco per oltre un anno dai rivoluzionari. Bloccata tra il dovere morale di salvare gli ostaggi e il bisogno impellente di salvare la faccia di fronte al mondo, l'amministrazione americana aveva letteralmente le mani legate. Finì che in qualche modo, con un blitz delle forze speciali americane, gli ostaggi furono salvati, ma la credibilità degli Usa fu gravemente compromessa. Il paradosso che emerge ripensando ora a quegli avvenimenti di trent'anni fa è che l'opinione pubblica internazionale faceva apertamente il tifo per i rivoluzionari di Komeini che veniva visto come un salvatore della patria, un liberatore del popolo iraniano dall'oppressione dello Scia' di Persia. E invece sappiamo bene come andarono le cose. Il liberatore rivoluzionario si rivelò essere un integralista islamico della peggior specie. Trasformò l'intera nazione iraniana in stato-canaglia, aperto fiancheggiatore e finanziatore di gruppi terroristici sanguinari e spietati. Come dire che l'Iran, ma anche la società civile internazionale, cadde letteralmente dalla padella nella brace. Inutile dire che a rimetterci in queste situazioni è sempre il popolo, la povera gente, che per quanto cambi chi comanda, rimane sempre oppressa e sfruttata.
In mezzo al caos di quei tempi convulsi si sviluppò un'altra vicenda nella vicenda. Sei americani riescono a fuggire dall'ambasciata Usa presa d'assalto dai rivoluzionari e si rifugiano a casa dell'Ambasciatore del Canada. Ben sapendo che si tratta solo di questione di tempo prima che i sei vangano rintracciati e molto probabilmente uccisi, la CIA mette in piedi un piano rischioso per farli scappare dal paese. Un piano così inverosimile che potrebbe accadere solo nei film. E infatti... così fu fatto e così andarono davvero le cose. Argo, il nome in codice dell'operazione di salvataggio, era formalmente il titolo di un film di fantascienza di serie B che si stava progettando a Hollywood (era da poco uscito Guerre stellari di George Lucas). Per la realizzazione degli esterni la produzione aveva necessità di effettuare dei sopralluoghi in alcune location proprio in Iran e per questo motivo aveva inviato sul posto un gruppo di sceneggiatori, tecnici e autori del film. Tutto fasullo, ma funzionale al rientro sotto mentite spoglie (quelle della troupe cinematografica) dei sei ostaggi rifugiati.
La storia stessa ci suggerisce come va a finire l'avventura fanta-spionistica e dunque questo presupposto dovrebbe far cadere interesse per il finale del film. Invece qui sta il merito di Ben Affleck: la suspence, nonostante il finale sia scontatissimo, non manca fino all'ultimo istante e la tensione è in costante crescendo. Lo spettatore è tenuto inchiodato scena dopo scena fino a che non arriva l'epilogo tanto atteso, quanto scontato. Anzi, suggerisco di attendere anche i titoli di coda perchè avrete modi di confrontare i volti dei protagonisti del film con le facce dei veri ostaggi ripresi in immagini dei notiziari dell'epoca. E vi sorprenderete nuovamente, ma questa volta per l'incredibile somiglianza degli attori ai veri protagonisti. Anche questa è la magia del cinema!

mercoledì 21 novembre 2012

Guzzi California 1400 touring... bellissima!

Ok, le Harley Davidson avranno il loro fascino yankee, le Bmw avranno la loro consolidata tradizione teutonica, le Honda e tutte le moto giap saranno tecnologicamente innovative...
Ma la Guzzi California è semplicemente un
MITO A DUE RUOTE!
E una Guzzi si valuta soprattutto col cuore e con gli occhi. Guardate che spettacolo...!


 
 
Eccola finalmente!
La Moto Guzzi California Touring 1400 offre di serie fari supplementari cromati, valigie laterali da 35 litri, parabrezza, kit paramotore e paravaligie. Non mancano ABS, Traction Control e possibilità di selezionare tre differenti mappature per il motore.
Questa volta, e lo dico a costo di essere tacciato di patriottismo (che comunque non è un'offesa...), le aspettative sono state addirittura superate, avendo fatto la conoscenza con una moto tanto coerente nelle forme con gli storici modelli che l'anno preceduta, quanto completamente inedita nella sostanza, dove è evidente il travaso di tecnologia da parte di altri Marchi del Gruppo Piaggio (Aprilia su tutti) ma anche e soprattutto la voglia di proporre una moto capace di segnare un nuovo punto di partenza per Moto Guzzi.

Tradizionale, classica, ma modernissima
Basta una semplice occhiata per capire però il taglio netto col passato, a cominciare dalle finiture eleganti e lussuose fin nel più piccolo dettaglio passando poi per la dotazione ricercata come mai prima d'ora. Un esempio? La raffinata strumentazione circolare, dal design chiaramente "old style" che ingloba un completo riquadro LCD con tutte le informazioni relative ai sistemi elettronici di mappatura del motore e del controllo della trazione. Già perché è proprio l'elettronica, assieme al rinnovato propulsore da 1380 cc, ad impressionare: "mutuata" direttamente dalle maxi sportive del Gruppo, comprende acceleratore ride by wire, Traction Control regolabile su tre differenti livelli e e tre mappe per il motore ("Veloce", "Turismo" e "Pioggia", rigorosamente in italiano). Il tutto è di serie, così come l'ABS e il Cruise Control.
Il motore è incastonato all'interno del telaio in tubi d'acciaio grazie a un nuovo sistema di supporti elasto-cinematici: l'obiettivo è di riproporre la caratteristica oscillazione del propulsore al minimo ma senza l'influenza delle vibrazioni che si trasmettono al pilota, e per ottenere questo i tecnici Guzzi hanno optato per l'impiego di un fissaggio composto da una biella frontale, due biellette laterali e tamponi di gomma. L'interasse è chilometrico: 1.685 mm.
Il grosso twin eroga 96 CV e ben 120 Nm di coppia a soli 2.750 giri/min. Grazie all'adozione di un singolo corpo farfallato da 52 mm e a diverse migliorie alla trasmissione (con cambio a sei marce), la Casa dichiara un abbattimento dei consumi che arriva al 20% rispetto alla più recente versione del conosciuto 1200 cc "Quattrovalvole". 


 
 

Come si guida?
I 337 kg a secco e i volumi "importanti" della California 1400 Touring traggono decisamente in inganno. Appena lasciata la frizione, peraltro morbida e modulabile, la maxi cruiser Moto Guzzi si rivela straordinariamente facile da gestire anche alle basse velocità, e se non fosse per l'ingombro delle valige laterali e l'ampia impugnatura del manubrio a corna di bue ci si potrebbe divincolare nel traffico alla stregua di moto ben più "smilze". Bilanciata e con un baricentro basso da terra, il peso complessivo si avverte solo nelle manovre da fermo, dove comunque la buona distribuzione dei pesi contribuisce a rendere i movimenti sufficientemente agili.
In città e nel traffico poi ci ha convinto il cambio, morbido e preciso negli innesti oltre che dotato del comodo comando a bilanciere, che rivela però qualche limite nei passaggi tra i rapporti alti, sotto forma di qualche piccolo impuntamento tra quarta, quinta e sesta marcia quando il motore lavora a regimi più elevati sul veloce. Poco male comunque, visto che la poderosa coppia del bicilindrico permette di sfruttare un arco di erogazione utile davvero ampio, con la sola accortezza di dover tenere il bicilindrico sopra la soglia dei 2.500 giri, limite sotto il quale si avverte una certa ruvidità nell'erogazione. Oltre questo regime la spinta diventa corposa e costante, seppure mai brusca. Decisamente azzeccate le modalità di mappatura selezionabili, che se nelle opzioni "Veloce" e "Turismo" regalano tutta la cavalleria di cui è capace il motore (con solo una curva di potenza più arrotondata nel secondo caso) nella variante "Pioggia" si dimostra azzeccata per l'uso urbano grazie al taglio avvertibile delle prestazioni e alla conseguente migliore sfruttabilità.


 La ciclistica è un altro mondo rispetto a diversi precedenti modelli Moto Guzzi: facile, precisa ed estremamente maneggevole (in relazione alla stazza), in confronto ad altre protagoniste del settore maxi cruiser la California segna un nuovo standard per quel che riguarda il piacere di guida. Peccato solo per il precoce sfregamento delle pedane sull'asfalto, il quale comunque contribuisce a ricordare al pilota come le caratteristiche da apprezzare di questa moto siano in realtà altre …
La buona protezione aerodinamica e il livello delle vibrazioni praticamente inesistente (si avvertono solo viaggiando a bassa velocità nel traffico) contribuiscono a rendere la nuova California 1400, un'ottima compagna di viaggio per i lunghi spostamenti. 


 
Ovviamente io la nuova Guzzi California 1400 touring non posso che sognarla, visto il prezzo che ha... quasi 20.000 euro! Ma se vinco al superenalotto ve ne accorgerete. Eccome!

Il testo e le foto sono tratti da:
http://www.dueruote.it/anteprime/articolo.cfm?codice=400705


 

 

sabato 17 novembre 2012

Film visti. Red lights, il trucco c'è ma non si vede

Red Lights
Regia di Rodrigo Cortés.
Con Cillian Murphy, Sigourney Weaver, Robert De Niro.

Voto: 1,5 su 5






Regista col botto al tempo del suo esordio con il claustrofobico Buried (quello del tizio sepolto vivo in una bara nel deserto). Red lights offre un bel cast, importante e di grido. Legittime attese per coltivare l'aspettativa di vedere un buon film, su un tema intrigante. Ahimè, una delusione.

La Weaver (azzimata e dall'aria un po' depressa), lasciati i panni dell'eroina di fantascienza alle prese con mostri alieni, è una scienziata di successo che dedica la sua attività allo smascheramento di ciarlatani chiaroveggenti, medium, sensitivi e compagnia bella. La coadiuva in questo lavoro-missione un devoto assistente (Murphy). Implacabili con chiunque vanti doti extrasensoriali, si imbattono in una vecchia conoscenza del settore, Robert De Niro, che campa brillantemente sfoggiando doti paranormali di grande effetto. Organizza veri e propri spettacoli teatrali nel corso dei quali dà sfoggio delle sue abilità. Due particolari a rendere sfidanti per i due ricercatori le sue performances: 1) la recidiva, essendo già stato oggetto di indagine da parte della scienziata in un lontano passato (con svelamento della frode); 2) essere cieco. Un cieco che fa il veggente è un colpo ad effetto, ammettiamolo, ed è proprio questa la sfida che il redivivo De Niro le lancia tornando alla ribalta mediatica che, dimentica dello sbugiardamento pregresso, lo accoglie come un vero fenomeno.
La coppia di scienziati si butta a capofitto nell'indagine fino a quando.... Colpo di scena, anzi due e gran botto finale quando si scopre che....

Detto così forse il film potrebbe sembrare interessante, ma in realtà nessuno scommetterebbe una lira fuori corso su chi vincerà il duello finale tra scienza e chiaroveggenza, ed è proprio per questo che gli autori si inventano il super botto finale a sorpresa. In discussione non è chi vincerà tra gli scienziati e il veggente, ma il come ci si arriverà. Ma nonostante tutto questo lavorio autoriale, il film non decolla mai. Anzi finisce per essere piuttosto noioso e prevedibile. Visto il genere, anche gli effetti speciali risultano essere deludenti. In una parola: bocciato.

domenica 11 novembre 2012

Quella volta che... L'estate di San Martino

L'11 novembre ricorre la festa di San Martino, che è anche il santo patrono di Belluno. Ma è anche il giorno della tradizionale estate di San Martino, ossia di un periodo di tempo mite e soleggiato che si innesta nel mese di novembre che è tradizionalmente il più piovoso dell'anno. Uno spicchio di sole e di temperature tiepida che costituiscono l'ultimo spiraglio di tepore prima dell'arrivo definitivo della brutta stagione. Fin qui la tradizione popolare. Ma naturalmente le tradizioni, le ricorrenze statistiche, i racconti dei nonni sono fatti apposta per essere smentiti dalla realtà. Infatti oggi dalle mie parti, in Veneto, diluvia e tira vento. Ed è così anche per trequarti d'Italia. Effettivamente non fa freddo, siamo intorno ai 15 gradi, ma di tutto si può parlare tranne che di "estate" con o senza riferimenti mediati dall'intercedere del santo protettore.
Quando da bambino andavo a scuola, in questo periodo dell'anno era consuetudine consolidata studiare la poesia di Carducci che si intitola proprio San Martino. La ricorrenza dell'evento e la ripetizione ad ogni anno scolastico della poesia (elementari soprattutto, ma anche alle medie) hanno fatto sì che sia una delle poche poesie che ricordo tuttora a memoria.

La nebbia a gl'irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;

ma per le vie del borgo
dal ribollir de' tini
va l'aspro odor dei vini
l'anime a rallegrar.

Gira su' ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l'uscio a rimirar

tra le rossastre nubi
stormi d'uccelli neri,
com'esuli pensieri,
nel vespero migrar.


Certo, a ben vedere la tanto decantata poesia carducciana non è che una serie di immaginette edulcorate, di stereotipi tipicamente autunnali in rima, al giorno d'oggi lo vedremmo come uno spottone dell'ente turistico di una qualsiasi regione italiana da utilizzare per fare pubblicità a qualche liquore amaro d'erbe o a qualche azienda agrituristica. Eppure io e la mia generazione siamo cresciuti con queste immagini di donzellette campagnole, di Silvie intente all'opre giovanili, di tini ricolmi di mosto e di cacciatori dediti, come passatempo serotino, ad ammirare stormi d'uccelli tra nuvole rossastre. Tutto sommato immagini serene e rasserenanti, simboli di una natura e di un'Italia contadina concilianti e rassicuranti, come lo può essere uno spicchio d'estate calato nell'umido e grigio autunno novembrino. Ricordi d'infanzia e di altri tempi quando ancora quei provincialotti di italiani non festeggiavano Halloween, anzi "dolcetto o scherzetto" non sapevano nemmeno cosa fosse...

sabato 3 novembre 2012

Film visti. 007, morte e risurrezione di un mito


SKYFALL - 007
Regia: Sam Mendes
Con: Daniel Craig, Javier Bardem, Ralph Fiennes, Berenice Marlohe, Naomie Harris, Albert Finney, Judi Dench.

Voto: 3.5 su 5



Daniel Craig e' tornato a vestire i panni di James Bond 007 in Skyfall, la 23ª avventura della piu' lunga saga cinematografica di tutti i tempi. Ma è anche l'anno del 50° compleanno del Mito, che quasi inevitabilmente comincia a sentire il peso degli anni e l'accumulo delle fatiche di mille battaglie. Succede che M (il capo dell' Intelligence britannica) arriva a decretarne l'eliminazione in nome della ragion di stato. Mica roba da ridere, tuttavia Bond non se la prende più di tanto, consapevole che il ruolo di spia comprende anche l'essere sacrificati. 007 viene messo brutalmente di fronte alla realtà di un mondo contemporaneo che è molto diverso da quello, quasi romantico, degli inizi. E' lo stesso problema su cui va a sbattere la stessa M, al punto che viene messa sotto accusa e spinta con decisione al pensionamento. Bond viene dato per morto con tanto di necrologio ufficiale, quando all'improvviso riappare in circolazione, malconcio ma vivo. Certo un mito come 007 non può certo morire e infatti la reale possibilità della scomparsa di James Bond non dura che il tempo di poche sequenze. Nessuno tra gli spettatori in realtà ci crede. Infatti... ecco profilarsi una nuova oscura minaccia cui bisogna far fronte per salvare la baracca e tutto l'apparato spionistico di Sua Maestà britannica. E chi se non Bond, nonostante gli acciacchi, l'età e la mano malferma che fa cilecca nei test di tiro, può opporsi al cattivo di turno?

In Skyfall, il nemico da abbattere veste i panni di un ex agente dell'MI6 (un inquietante e sublime Xavier Bardem) sacrificato a sua volta da M in nome della ragion di stato, solo che a differenza di 007 la cosa non gli va giù e decide di vendicarsi. Un avversario che conosce quindi tutti i segreti dell'establishement di cui faceva parte. Non la solita Spectre o l'ennesima organizzazione criminale che vuole arricchirsi malvagiamente o domiunare il mondo. Qui c'è in gioco un regolamento di conti e la vendetta per un tradimento subito e questa volta -ohibò-  il traditore (la traditrice) è proprio M.
 Il bello e innovativo di questa ultima avventura di Bond è il cambio degli schemi, la rigenerazione del personaggio, la sua rinascita dopo la morte presunta, l'umanizzazione di un killer al servizio di Sua Maestà. Il regista Sam Mendes gioca tutto su questo rinnovamento che diventa un nuovo inizio per il personaggio e per il mito di 007. Non a caso l'epilogo della vicenda si gioca a Skyfalls, terra natia di Bond nella fredda Scozia, nella casa della sua giovinezza dove sono sepolti i genitori. Che James Bond avesse un passato, degli affetti famigliari, un  vissuto personale che non fossero il Martini extra-dry agitato e non shekerato è la vera novità del film. Ma anche i dettagli cambiano. Per esempio, l'armiere che normalmente riempie Bond di mille ritrovati tecnologici e armi modernissime, questa volta gli fornisce semplicemente una pistola (non la solita Beretta) e una mini radio trasmittente. E con la raccomandazione di riportare indietro la misera dotazione  intatta.
Anche la mitica Aston Martin riveste un ruolo da cimelio storico-nostalgico, che però al momento buono torna utile nonostante l'obsolescenza. Tutto il resto è materia informatica, elettronica, di rete web, di hacker e di super computer. E' il segno che le guerre, anche spionistiche, si combattono ormai schiacciando dei bottoni davanti ad un monitor.
L'unico punto dolente di questa avventura di 007 è a mio avviso la Bond-girl di turno. Berenice Marlohe è francamente una mezza delusione che non riesce a far breccia neanche negli sceneggiatori che le assegnano una particina marginale e la liquidano dopo poche scene e qualche primo piano molto intenso. Troppo poco, quasi a lasciar intendere che anche sotto il profilo di sciupafemmine, Bond segni fatalmente il passo. Segno dei tempi e dell'età che avanza?

Skyfall è tutto questo, con una spolverata di nostalgia che tocca il suo culmine nella scena finale con un ritorno alle origini che, naturalmente, non svelerò. Ma resta il consiglio di andare a vedere questo film, che siate o no dei fans di 007.

giovedì 1 novembre 2012

Amour. Un film che (mi) fa paura


Ho quasi paura di andare a vederlo. Il tema della vecchiaia, della malattia e della fine progressiva di vivere è inquietante (eufemismo...).  I legami con le persone, con gli affetti, con le proprie passioni si sfilacciano e si recidono uno ad uno, lentamente, ma inesorabilmente. E poi è la fine.

Andare o non andare a vederlo? Un conclamato, premiato e bellissimo film d'autore con depressione assicurata all'uscita dal cinema? Rimpiangere di non averlo visto o farsi (probabilmente) del male vedendolo? This is the problem.
No. Francamente di questi tempi ho bisogno di qualcosa di meno cupo. Di depressione ce n'è anche troppa in giro.



Amour è un film di Michael Haneke. Con Isabelle Huppert, Jean-Louis Trintignant, Emmanuelle Riva. Un grande regista e tre icone del cinema francese ei internazionale. Buona fortuna.

mercoledì 31 ottobre 2012

Licenziati all'improvviso, e senza saperlo...

"Signorina, il mio badge non funziona"
I licenziamenti brutali di Ubs a Londra


Pensate cosa deve essere scoprire di essere stati licenziati solo nel momento in cui il proprio badge non funziona. Arrivi davanti al lettore come ogni mattina, lo passi una volta, poi un'altra, cominci a pensare che si sia smagnetizzato o danneggiato. Poi riprovi, lo sfreghi sulla manica per dargli una pulita, non si sa mai che ci sia un po' di sporco. Niente da fare, non ne vuol sapere di funzionare. Magari ti scappa anche un'imprecazione. Eccheccazzo! Poi arriva un collega d'ufficio e anche lui succede la stessa cosa. Comincia ad insinuarsi un dubbio: che succede? Ma la verità è un'altra e in breve viene fuori in tutta la sua crudezza: ti hanno licenziato. Maledetti, maledetti, maledetti. Nenache una lettera, neanche una convocazione per avere il coraggio di dirtelo in faccia. Il tuo capo ha fatto finta di niente fino alla sera prima, quando vi siete salutati come sempre. Bastardo. E ai piani alti sapevano ovviamente tutto. E nessuno ha detto niente. Bocche cucite, ...lecchini, venduti, bastardi vigliacchi.! Tutti, dal primo all'ultimo.

E' andata proprio così. Non è una fantasia malsana o un incubo. E' quello che è successo a Londra quando un centinaio di dipendenti del colosso bancario svizzero UBS hanno scoperto di essere stati tagliati quando ieri, cercando di entrare al lavoro, si sono accorti che i loro tesserini non funzionavano più.
Auguro di cuore a quei top manager che hanno architettato questa vigliaccata di provare a loro volta cosa significhi essere schiacciati come una mosca noiosa con un semplice gesto della mano. Ma il guaio è che i top manager quando vengono lasciati alla porta (succede anche a loro) hanno contratti di ferro che li tutelano e spesso il licenziamento in tronco si trasforma in un fiume di denaro come liquidazione o buonuscita o bonus.  E' proprio vero che la merda galleggia sempre. Maledetti.

[fonte: http://www.repubblica.it/economia/2012/10/31/news/signorina_il_mio_badge_non_funziona_i_licenziamenti_brutali_di_ubs_a_londra-45648239/?fb_action_ids=3732712632520&fb_action_types=og.recommends&fb_source=aggregation&fb_aggregation_id=288381481237582]

sabato 27 ottobre 2012

Film visti. Killing them softly (ma mica tanto)


KILLING THEM SOFTLY
Regia: Andrew Dominik
Con Brad Pitt, Ray Liotta, James Gandolfini

[Voto: 1,5 su 5]

Pollice verso per questo noioso e sciatto film di Andrew Dominik che si era fatto notare qualche anno fa per  L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, altro lavoro trascurabile almeno quanto la lunghezza del titolo. La storia è cupa e strascicata nel sottobosco di una malavita americana fatta di mezze tacche e buoni a nulla, strafatti o senza capacità criminali. Il periodo storico in cui si colloca la vicenda si può desumere dai continui spezzoni di campagna elettorale per la presidenza Usa che si vedono continuamente in tv. E' il duello tra Bush e Obama di 4 anni or sono (le nuove elezioni sono alle porte) che si svolge nel momento in cui la grande crisi economica prende corpo e comincia a deflagrare in tutta la sua devastante forza. Una crisi che si annida anche nel mondo della malavita, al punto di indurre la mafia del gioco clandestino a tirare sul prezzo delle prestazioni dei killer professionisti.
Un film dai dialoghi insopportabili e "sporchi" come i protagonisti, brutti sporchi e cattivi. Tutto il film è eccessivamente verboso e questo si riflette negativamente su tutta la vicenda che si sviluppa lentamente e forzatamente. La vicenda è scarna: tre balordi rapinano una bisca clandestina gestita dalla mafia locale andando a pestare i piedi a chi non avrebbero mai dovuto molestare. Comincia la resa dei conti che coinvolge tutti, a cominciare dalla vittima stessa della rapina, cioè il gestore della bisca, solo perchè sospettato di aver organizzato segretamente il colpo. Vediamo un distinto emissario mafioso in limousine e la fobia del fumo passivo che tratta con un killer professionista (un Brad Pitt piuttosto moscio) l'eliminazione dei colpevoli. Eliminazioni che il regista Dominik ci mostra con molto realismo sanguinolento e uso spregiudicato del rallenti. A lavoro effettuato l'emissario mafioso tira anche sul prezzo, proprio a causa della crisi che colpisce tutti, civili e mafiosi. Se voleva essere una metafora politico-economica dei tempi che viviamo, francamente non riesce ad emozionare granchè nè a suscitare particolari riflessioni.
Innsomma "Killing them softly" è un film assolutamente pleonastico e insignificante, da evitare con cura. Come se non bastasse risulta anche girato  con approssimazione e sciatteria. Un esempio? Fate attenzione al montaggio del lungo monologo di James Gandolfini (il killer alcolizzato). I bicchieri di birra e di Martini con olivetta che si scola a raffica sono di volta in volta mezzi pieni, poi vuoti e poi nuovamente pieni senza alcuna logica temporale e senza che il cameriere ne serva degli altri. Dettagli? Non direi proprio...

martedì 23 ottobre 2012

Se la scienza non è infallibile

I sette condannati per il terremoto a L'Aquila
Il tribunale de L’Aquila ha condannato a sei anni sette componenti della Commissione Grandi Rischi, rei di non aver previsto e annunciato il terremoto dell’Aquila. Il verdetto, compresa l'interdizione perpetua dai pubblici uffici, colpisce i sette membri della Commissione all'epoca in carica, che avrebbe fornito false informazioni circa l'improbabilità della forte scossa che la notte del 6 aprile 2009 causò la morte di 309 persone.

Attenzione, la chiave di tutto questo pasticcio sta nella parola "IMPROBABILITA'". Improbabile non significa impossibile, dunque non esclude l'eventualità infausta che un certo evento possa accadere. Sembra un concetto talmente banale e di comune comprensione da sembrare del tutto superfluo chiarirne o approfondire il significato. E invece proprio intorno a questo termine si gioca la sentenza di condanna dei giudici aquilani. Che hanno evidentemente interpretato in modo conclusivo ed esclusivo l'uso del termine "improbabile" da parte di quel comitato di scienziati come se avessero tassativamente escluso che esistesse il rischio di terremoto. Che invece ci fu e provocò centinaia di morti.

Che cosa si vuole da uno scienziato, che cosa ci si aspetta dalla scienza? La sensazione è che si voglia o si pretenda la certezza assoluta senza margini di errore. Altrimenti non si spiegherebbe l'incriminazione e la condanna dei sette scienziati. Ipotesi, incertezze o imponderabilità non sono gradite, anzi diventano un reato perseguibile. Come infatti è successo a L'Aquila. Semplicemente assurdo. Non mi pare che occorra aggiungere altro, talmente lapalissiani sono gli opposti concetti di probabilità/improbabilità e di possibilità/impossibilità. E verrebbe da chiedersi come avrebbero dovuto comportarsi i sette condannati per evitare i guai con la giustizia. Ordinare un'evacuazione di massa? Dove, in quali località? L'Aquila, tutto l'Abruzzo, il centro Italia? Seminare il panico diffondendo la notizia (falsa e non dimostrata) che ci sarebbe stato un forte terremoto? E quando?

Mi viene in mente un episodio che si perde negli anni passati. Era il 1976, a maggio. Il giorno 6, verso le 21 ci fu la terribile scossa di terremoto del Friuli che portò anche in quell'occasione morte e distruzione. Mi ricordo benissimo l'episodio perchè l'ho vissuto sulla mia pelle, sebbene fortunatamente non abbia avuto alcuna conseguenza diretta o personale. Ma la paura, lo sconcerto e il disorientamento di quei momenti sono stampati nella mia mente. E li rivivo ogniqualvolta succeda di sentire la terra tremare, non escluso il sisma dell'Emilia della primavera scorsa. Un episodio curioso, che all'epoca era una battuta che faceva ridere e serviva a sdrammatizzare l'atmosfera terribile di quella sera maledetta. Pochi minuti dopo la scossa delle 21 una delle radio private locali, Radio Padova, aveva dato l'annuncio del fatto. Ma naturalmente ancora non si aveva un quadro della situazione di quanto era successo a duecento km di distanza, in Friuli. La battuta sentita alla radio era questa: "Forte scossa di terremoto in città, ma l'epicentro è molto più a nord, in Friuli. I carabinieri sono sulle tracce dei responsabili!". Una battuta infelice quanto disarmante nella sua stupidità. Ebbene, 36 anni dopo quel 1976, una sentenza del tribunale condanna un comitato scientifico per non aver saputo prevedere il terremoto de L'Aquila. La realtà supera la fantasia. Assurdo, ma è così.

sabato 20 ottobre 2012

Film visti. Total recall, fotocopia aggiornata

TOTAL RECALL
di Len Wiseman. Con Colin Farrell, Kate Beckinsale, Jessica Biel


Voto: 2 su 5




Si può fare il remake di un film di successo senza cambiare nulla di significativo, a parte gli interpreti e gli effetti speciali aggiornati alla tecnologia di oggi? Sì, si può. E' esattamente il caso di questo inutile e piatto Total recall (Atto di forza, in Italia) che riprende pari pari il precedente di grande successo di Paul Verhoeven con  Arnold Schwarzenegger. Tanta azione, tante sparatorie, tanti morti ammazzati, tanti effetti speciali. Troppo di tutto, fino a lasciare le briciole ai contenuti, assolutamente da non sottovalutare, del racconto originale di Philip Dick da cui sono tratti i due film. Già, perchè di spunti ce ne sarebbero e anche parecchi. Tutto un discorso sulla realtà e sulla verità, nella loro oggettività e su come invece ci appaionio o ci sono presentate. Un discorso sul potere e sulla credibilità e onestà dei governanti. Temi di scottante attualità, oggi come sempre. Ma di tutto questo allo spettatore arriva ben poco, sopraffatto com'è da quintalate di mitragliate e lotte furibonde. Colin Farrell vale Arnold Schwarzenegger? La faccia di pietra dell'austriaco ex governatore della California è assolutamente la quinta essenza dell'inespressività, al cui confronto l'irlandese Colin Farrell sembra addirittura un maestro dell'arte recitativa. Fate un po' voi. Invece di nuovo rispetto alla prima versione ci sono due personaggi femminili anche loro scatenate e distruttive in piena sintonia con il tenore del film. Kate Beckinsale e Jessica Biel fanno a gara per il premio di "più bella e dannata" della pellicola. Una bella lotta, a voi il giudizio finale.
Per tutto il resto, meglio lasciare questo Total recall nel dimenticatoio.

giovedì 11 ottobre 2012

Il bimbo di Padova, una storia ignobile

Prima di tutto dico come la penso: i protagonisti adulti di questa vergognosa storia hanno tutti torto marcio. E adesso vediamo perchè.

Non è un criminale, ma un bimbo di 10 anni
Ovunque oggi impazza il video del bambino portato via dalla scuola elementare di Cittadella in provincia di Padova. http://video.corriere.it/bambino-prelevato-agenti/560742d4-137b-11e2-ad6a-6254024087b3
Le immagini mostrano degli uomini (agenti di polizia in borghese?) che con l'uso della forza trascinano il bimbo decenne per  infilarlo in una macchina. Il suo destino è di essere parcheggiato ad una istituzione in attesa dell'affido al padre separato. Lo trascinano sull'asfalto mentre cerca di divincolarsi e si dibatte disperato. Urla, chiede aiuto e si aggrappa a qualunque appiglio per non farsi portare via. Bisogna guardare e riguardare il filmato più volte per capacitarsi di quello che è successo perchè alla prima visione sembra tutto così irreale e impossibile da accettare. Quello che stupisce è l'accanimento violento su quel povero bambino. Senza escludere nessuno, dai poliziotti ai genitori, ai parenti, alla nonna, alla zia e chissà quanti altri che hanno partecipato o -peggio- organizzato l'indegna gazzarra con tanto di telecamera pronta allo scopo di riprendere la scena. Che nessuno mi venga a dire che tutta quella gente era lì per caso, intruppata e urlante, armata di telecamera. Da quanto si legge, la gazzarra si sarebbe scatenata al momento in cui il nonno e la zia del bambino hanno aggredito gli agenti. Forse facendo finta di ignorare che più clamore e più urla accompagnate da strilli e imprecazioni avrebbero comportato per il bambino una robusta razione di terrore aggiuntivo? Nessuno dei parenti ha pensato che creare quel pandemonio avrebbe solo peggiorato le cose? Nell'interesse di quel povero bambino, figlio, nipote non avrebbe dovuto svolgersi tutto con il minor danno emotivo possibile? Ma, soprattutto, la responsabilità dell'accaduto va addebitata a chi ha autorizzato un'azione del genere, neanche si fosse trattato di un pericoloso criminale mafioso. Nessuno degli attori  istituzionali di questa triste storia ha un figlio o un nipote o semplicemente un fratellino o sorellina minore? Se si fosse trattato del loro figlio o nipote i poliziotti si sarebbero comportati allo stesso modo in virtù di un ordine ricevuto? Psicologi, psichiatri e altri supposti esperti del settore hanno consigliato e/o autorizzato un comportamento del genere o si è trattato di una situazione sfuggita di mano agli agenti? E nessuno di loro ha sentito la necessità di fermarsi senza arrivare a tali eccessi?
Ma su tutto e su tutti la domanda di fondo è come sia possibile che certi genitori pur di scannarsi tra loro usino il proprio figlio per raggiungere lo scopo di distruggere l'ex coniuge? Non si fermano nemmeno di fronte ai danni che procurano al loro figlio?  A che danni va incontro quel bambino maltrattato e trattato con tanta inutile e gratuita violenza? In tutta questa vicenda è questo disprezzo per il bimbo la cosa che più mi fa indignare.
Si legge in serata, come ciliegina sulla torta, che il capo della Polizia ha chiesto scusa per l'operato degli agenti. Scuse che non risolveranno nulla.

domenica 7 ottobre 2012

Film visti. Amore e handicap senza falsi pudori


Un sapore di ruggine e ossa
Regia di Jacques Audiard
Con Marion Cotillard, Matthias Schoenaerts

Voto: 3.5 su 5



Lui è un tipo rozzo e problematico con un figlio piccolo e tanta miseria con cui fare i conti ogni giorno. Lei è una donna di successo, semplicemente splendida e con un lavoro interessante. Lui è povero e marginale, lei è bella e sicura di sé. Non hanno niente in comune. Lui lascia il nord della Francia in cui vive per spostarsi al sud, Lei subisce un drammatico incidente (è istruttrice di orche in un parco acquatico) che le lascia dei moncherini al posto delle gambe e un conto in sospeso con la vita. I due si incontrano e, sebbene così diversi, qualcosa cambia per entrambi. Ciascuno a modo suo e non sempre felicemente, tra i due nasce qualcosa, sia pure tra una ostentata indifferenza al limite dell'insensibilità per Lui e una malcelata sofferenza affettiva per Lei. Malcelata sì, ma che soltanto Lui non vede. Le attenzioni di Alì per Stephanie danno sempre l'impressione di essere in bilico tra la compassione e il non aver niente di meglio da fare. Lei si capisce che forse vorrebbe qualcosa di più che la semplice "ginnastica riabilitativa" (qualunque significato si voglia dare al termine). Tuttavia, sia pure con questa differenza di sensibilità e atteggiamenti, Stephanie riesce con l'aiuto di Alì a trovare la forza di reagire fino ad accettare l'utilizzo di protesi meccaniche per ricominciare a camminare ed avere una vita in qualche modo normale. Non mancano certo gli incidenti di percorso che offrono l'occasione al regista di riflessioni sul tema dell'handicap. Lo spettatore combatte tra la spiazzante insensibilità dell'uno (Alì) e la grande tenerezza che ispira l'altra (Stephanie), che pure lo supporta e lo sopporta nella bieca attività di lottatore da scommesse clandestine. Una bella lotta tra rozzezza e superficialità contro sensibilità e voglia di tenerezza. Fino al drammatico epilogo della vicenda che naturalmente non è giusto rivelare.

Facile andare a cercare confronti e paragoni con uno dei successi della passata stagione cinematografica, quel "Quasi amici" che addirittura rappresenterà la Francia agli Oscar del 2013. Storia di un tetraplegico ricco sfondato e del suo badante fuori di testa e dalle regole che lo porta a dare una svolta alla sua vita di invalido rassegnato e depresso. Atmosfere e personaggi del tutto diversi. Leggero e divertente quel film, sebbene niente affatto banale nella trattazione del tema dell'handicap, duro e drammatico questo lavoro di Jacques Audiard. E coraggioso quando riesce ad affrontare il tema scabroso e delicato della sessualità per il portatore (portatrice) di handicap. Argomento da sempre tabù da evitare o da prendere con le molle. Audiard invece lo affronta di petto e senza false ipocrisie, il che rende ancora più apprezzabile il film. Che è un bel film, va detto chiaramente. Merito, come detto, del regista che riesce a narrare una storia non facile col suo stile rude e diretto senza manierismi e compiacimenti. Merito dei due protagonisti: il ruvido e impenetrabile Matthias Schoenaerts; la brava, bella e adorabile Marion Cotillard. L'attrice francese, sebbene ormai diva internazionale conclamata, si mette coraggiosamente in gioco interpretando un ruolo difficile, quella della protagonista invalida, e soprattutto rischioso professionalmente. Rischioso perchè facilmente sarebbe potuto scadere nella trita recitazione di maniera della sfortunata handicappata. Al contrario, riesce ad essere molto personale e rigorosa, senza banali compiacimenti. ...E che bella che è Marion Cotillard, senza un filo di trucco, al naturale. Vi sono donne dotate di un fascino innato e una bellezza semplice, senza artifici, che non hanno bisogno di trucco e parrucco per emergere con prepotenza. Marion è una di queste.