lunedì 26 luglio 2010

Cinema estivo, che disastro

Predators
Regia di Nimrod Antal, con Adiren Brody, Alice Braga, Lawrence Fishburne
Voto: 1,5 su 5


The Box
Regia di Richard Kelly, con Cameron Diaz, Frank Langella, James Rebhorn.
Voto 2 su 5












Il cinema d'estate si prende una pausa e va in letargo. Anzi a dire il vero sono i distributori italiani che vanno in letargo, o meglio in ferie e chiudono bottega rifilando al pubblico prodotti di scarto della stagione e B-movie in quantità industriale. All'estero non funziona così, anzi l'estate è uno dei periodi di punta. Vergognoso e offensivo per il pubblico italiano, ma è così che funziona. Purtroppo.
E dunque dopo un umese e passa di digiuno (l'ultimo film visto risaliva a metà giugno) ho resistito a lungo ma poi ho ceduto all'astinenza decidendo di tentare con i "meno peggio" disponibili. Del primo, Predators, non c'è nulla da dire se non che fa abbondantemente rimpiangere Arnold Schwarzeneggr nel film capostipite della serie di parecchi anni fa. Tutt'altra pasta, dove per pasta si intende solidità di sceneggiatura, la capacità di catturare l'attenzione e il fascino dell'interprete principale. Adrien Brody, povero cristo, sembra capitato lì per caso, proprio come il personaggio chiamato ad interpretare e con una faccia che da un momento all'altro ti aspetti che scoppi in singhiozzi o incominci a suonare il pianoforte. La cosa più interessante del film è vedere quanto ci si mette a indovinare chi alla fine si salverà e chi finirà squartato dal cacciatore alieno. Vi dico solo che personalmente, modestia a parte, ho indovinato al 100%. Ma, diciamo la verità, è stato fin troppo facile... Vedere per credere.

The box mertita un po' più di attenzione. A cominciare dagli interpeti, interessanti, gradevoli e credibili. Specie Cameron Diaz, deliziosa nel ruolo insolito di donna semplicemente normale, non la solita fatalona sciupa-maschi. Anzi con la sua brava razione di problemi quotidiani, a cominciare da una invalidità fisica, dai conti di casa e il mutuo da pagare. Segno dei tempi e della crisi che ha colpito tutti, non escluso il ceto medio americano.
Il regista è quello di Donnie Darko e lo stile è il medesimo. Cioè tendente all'allucinato, al metaforico con venature metafisiche. Insomma un mezzo guazzabuglio senza capo nè coda in cui non si capisce niente per almeno due terzi del film. Eppure lo spunto era molto interessante. Non so se il racconto da cui prende spunto (un celebre racconto di Richard Matheson) sia stato rispettato fedelmente, ma il risultato è troppo contorto ed esageratamente astruso, pur considerando il punto di partenza decisamente poco razionale. Una giovane coppia con bambino riceve la visita di un signore dai modi affettati almeno quanto la sua faccia non sia devastata da spaventose cicatrici. Che fa loro un dono bislacco e una proposta indecente: una scatola con un pulsante (the box) che se premuto avrebbe causato la morte di una persona sconosciuta in cambio di un milione di dollari in contanti esentasse. Lui, il marito, che è uno scienziato della Nasa (l'ente spaziale), ci mette poco a scoprire che la scatola è vuota e non contiene nessun meccanismo particolare. Una burla? Una trovata pubblicitaria? Un po' per sfida, un po' per leggerezza e un po' perchè il milione di dollari fa gola e la crisi economica si fa sentire, la moglie Cameron Diaz preme il bottone. Non che ci creda, tanto in fin dei conti si tratta solo di una stupida scatola vuota, ma... Da questo momento in poi succedono delle cose che sfiorano e spesso superano ogni logica. Secondo me agli sceneggiatori hanno fatto sniffare con generosità più di qualche riga di coca e dopodichè li hanno chiusi in una stanza a scrivere finchè non avessero partorito una bella ciofeca. Cosa peraltro ben riuscita (la ciofeca, non il film) con sconfinamenti tra l'esoterico, il parapsicologico e il fantascientifico (c'è di mezzo anche Marte, inteso come pianeta). Peccato, perchè come ho detto lo spunto non era niente male. Una specie di patto col diavolo, denaro in cambio dell'anima, il successo in cambio della morte di qualcuno. Come dire che chi si arricchisce lo fa inevitabilmente a discapito di qualcun altro che invece si impoverisce o addirittura ci lascia le penne. Non è forse una delle leggi non scritte, ma terribilmente vere, che regolano l'economia mondiale?
Peccato che il risultato sia un film scarsamente comprensibile e allucinato con un finale da "Grande fratello" governativo che sa tutto e sta dietro a tutto, ma nell'ombra.
The box, un film da prendere a scatola chiusa (se mi passate il gioco di parole...).

martedì 20 luglio 2010

Agghiacciante

Vi invito a leggere questo articolo di cronaca tratto dal Gazzettino on line a questo indirizzo: http://www.gazzettino.it/articolo.php?id=111377
Un triste episodio di cronaca come purtroppo ne avvengono tanti, troppi, sul quale c'è poco da dire. Si commenta da solo. Un reato a sfondo sessuale commesso da un esibizionista ai danni di una donna con la sua bambina. Ma soprattutto vi invito a leggere i commenti dei lettori pervenuti al sito (elencati dopo l'articolo sulla stessa pagina). Sono letteralmente agghiaccianti per il carico di violenza, di razzismo e di chiara, esplicita apologia del reato di linciaggio.
Questo forum accesosi intorno alla notizia di sfondo è uno spaccato dell'Italia di oggi e degli italiani, un tempo popolo civile.

Per inciso sono intervenuto anch'io firmandomi Angelo. E mi sono beccato la mia dose di improperi compreso l'augurio di venire stuprato insieme a tutta la mia famiglia...
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lunedì 19 luglio 2010

Strage continua

Oggi come ieri, come la settimana scorsa, come sempre, sui giornali del lunedi si legge di motociclisti che durante il week end perdono la vita in incidenti stradali. Una vera e propria strage. Solo qui a Padova nell'ultima settimana da lunedi a venerdi ne sono morti almeno 5, più quelli del fine settimana.  Quanti da inizio anno? E quanti in totale in Italia? Decine, centinaia, migliaia.

Esiste una lunga diatriba tra motociclisti e automobilisti a proposito della responsabilità di questa strage continua. Gli uni e gli altri si accusano a vicenda senza esclusione di colpi. Ma hanno ragione entrambi, le responsabilità sono equamente distribuite tra le due categorie di guidatori.

Io vado in moto da quando avevo 18 anni e adesso ne ho 53. Non sono pochi. E vorrei continuare a farlo.  Confesso che spesso ho paura per il modo di guidare che vedo in certi motociclisti e in tantissimi automobilisti. Andando in giro vedo cose impressionanti nell'atteggiamento di guida. Gli uni non sono peggiori degli altri, perchè comunque di base non c'è rispetto per niente e per nessuno. Il codice della strada è un optional scomodo e ingombrante che pare non interessare nessuno. Numeri da circo e idiozia dilagante sia tra gli automobilisti che tra i motociclisti. Questa è la norma, questa è la vera causa della strage sulle strade. Ormai a circolare a velocità codice si passa per poveri stupidi incapaci. Rispettare un limite o un divieto di sorpasso è roba da sfigati. E' un punto d'onore correre a più non posso o sorpassare a tutti i costi.
Ma questo vale sia per chi va in moto che per va in auto. L'idiozia non fa differenze. Quante volte ho visto auto sbucare da una strada laterale senza osservare lo stop o dare la precedenza. Chi è più arrogante passa per prima e basta. Se a sbattere all'incrocio è un'altra auto, magari tutto si risolve in qualche ammaccatura sulla carrozzeria se la velocità è moderata, ma se c'è di mezzo un motociclista è la sua vita in gioco, non un paraurti. In un attimo si è sull'asfalto e troppo spesso non c'è più niente da fare. Ma è anche vero che troppo spesso certi motociclisti affrontano la strada come se fossero in pista, correndo all'impazzata. Tanti emuli di Valentino Rossi senza averne le capacità o senza una pista a disposizione. Per questo dico che è una lotta alla pari, quella dell'idiozia di chi guida senza rispettare le regole. E chi non ha rispetto per le regole non ha rispetto per sè stesso oltre che per gli altri.
La colpa è solo nostra, non delle moto o delle auto. E' nostra - siamo più o meno tutti automobilisti o motociclisti - che guidiamo in maniera scellerata dei mezzi che oggi sono 100 volte più sicuri di trentanni fa. Eppure l'assurdo anacronismo è che oggi si muore molto di più. 
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In moto!

Con l'arrivo della bella stagione, da aprile in poi, ho ripreso la bella abitudine del giro in moto nel fine settimana. L'ultimo in ordine di tempo, quasi a festeggiare degnamente l'anniversario della caduta del 2006, è di sabato scorso. Al mattino mi sentivo piuttosto bene e allora, senza pensarci troppo per evitare ripensamenti, ho preparato tutto l'abbigliamento, ho fatto il pieno e via... La meta non l'avevo fissata, l'ho scelta un po' a caso dove mi portava la "belva". La quale belva (la mia Aprilia Caponord) era giustamente orgogliosa di sfoggiare le borse laterali nuove, montate giustappunto in settimana. Questo mi permette di avere più spazio per il fabbisogno: tuta antipioggia, giubbetto leggero per quando fa molto caldo, giubbo pesante per quando si sale di quota e scende la temperatura,  gonfia-e-ripara in caso di foratura, scorta d'acqua, eccetera, eccetera.
La mattina presto col fresco è un gran bel viaggiare, è un gran bel viaggiare anche andare su di quota in montagna nelle ore centrali della giornata e quindi più calde, ma scendere in pianura e sbattere contro un vero e proprio muro di caldo e afa è qualcosa di indescrivibile, nonostante l'aria addosso.
Il percorso è stato il seguente: Padova - Piovene Rocchette - Asiago (1.000 m.) - Altopiano per Gallio ed Enego - Primolano - Arsiè - Monte Grappa (1.500 m.) - Bassano del Grappa - Padova. Totale circa 270 km, gran parte su strade di montagna (più o meno 170). Un bel saliscendi nel verde e nel fresco. Bellissimo. Piacevole sosta in rifugio per ora di pranzo a Cima Grappa con degustazione di gnocchi fatti in casa e tosella ai ferri. Pausa sigaro e poi ripartenza a scendere verso Bassano. E qui arriva la parte più difficile del giro: dai 22 gradi di temperatura del rifugio sul Grappa ai 39 di Bassano in pianura. Micidiale. Giuro che ho rimpianto di non essere in macchina con l'aria condizionata a palla. Inutile svestirsi eliminando il giubbo da moto. In maglietta a maniche corte la sensazione era quella di sentirsi bruciare la pelle dalla calura insopportabile. Provvidenziale uno scroscio d'acqua a pochi km dall'arrivo. Normalmente la pioggia in moto non mi piace e non la sopporto, ma questa volta è stata quasi una benedizione.
Al rientro ho sentito tutta la stanchezza accumulata, perchè l'entusiasmo mi porta ad esagerare dimenticando che fisicamente non sono più quello di una volta. Somaro che sono. Infatti poi la pago cara. Domenica passata interamente buttato in divano per recuperare.... Accidenti!, se penso che in passato mi sono fatto i 1.000 km di Padova-Lecce tutti di seguito in un giorno solo e con pioggia continua da Ancona a Foggia... Ma, piccolo particolare che non riesco a ficcarmi bene in testa, avevo 20 anni. Una vita fa e anche più.
Ma sabato prossimo si parte daccapo.

venerdì 16 luglio 2010

Come ti distorco l'informazione

La notizia è di qualche giorno fa, letta sul quotidiano veneto Il Gazzettino.
Cronaca locale, titolo di prima pagina: "Gli nega l'elemosina e le distrugge la macchina". Articolo nelle pagine interne: "Macchina distrutta per un'elemosina negata". Il tenore del messaggio lanciato dal giornale è dunque chiarissimo e inequivocabile. Titolone ad effetto che getta una luce drammatica sul clima di paura che si vive in città a causa del problema dell'accattonaggio incontrollato. Zingari e miserabili di ogni genere agli angoli delle strade sono un pericolo pubblico e il cittadino subisce la loro violenza. Stando così le cose bisogna pensarci su due volte prima di rifiutare un obolo a chi lo chiede. Non si mai come può andare a finire. Cosa fanno le forze dell'ordine invece di vigilare? Bla bla bla....
Ma le cose stanno davvero così? Per scoprirlo basta leggere l'articolo senza fermarsi al titolone. Eccone uno stralcio:
«Stavo andando negli uffici dell'Ulss per prenotare una visita medica. Ho parcheggiato il mio Mercedes e sono scesa. Dovevo andare al parchimetro a prendere il biglietto per il parcheggio. Si è avvicinato un uomo. Mi ha chiesto soldi. Gentilmente ho risposto che non potevo, che non navigo neppure io nell'oro. Il mendicante non gradisce il rifiuto e le urla qualcosa. A quel punto, spaventata, la donna si è rivolta ai portieri del palazzo dell'Ulss raccontando quanto le era capitato. È stata tranquillizzata. Le è stato detto che il mendicante non aveva mai fatto male a nessuno. Che era a loro noto. Mezz'ora dopo la beffa: «Sono uscita per tornare a casa e la mia portiera era rigata. Forse con una chiave o un chiodo. Ho chiamato subito la polizia. Gli agenti hanno fatto uno splendido lavoro di indagine e l'altra mattina attraverso un riconoscimento fotografico, ho segnalato l'uomo che mi ha fatto del male moralmente e ha danneggiato la mia auto».  
Insomma l'auto distrutta del titolo, nel racconto della vittima, si è rivelata essere soltanto rigata sulla portiera (come si intuisce nella foto). Ma allora perchè titolare in quel modo? Per quale motivo gonfiare un fatto spiacevole, da condannare e che certamente non dovrebbe accadere, ma che comunque ha conseguenze limitate a un graffio sulla vernice fino a farlo diventare la distruzione di una macchina? Perchè distorcere fino a questo punto l'informazione? La risposta purtroppo è piuttosto semplice.
Ci sono almeno due o tre argomentazioni in proposito:
1) il titolo ad effetto fa vendere più copie, specie se finisce sulle "civette" delle edicole (come in effetti è stato);
2) gettare discredito sull'amministrazione comunale di centrosinistra (in questo caso: Padova) porta acqua all'area politica di riferimento dell'editore del giornale (centrodestra);
3) dare addosso all'untore è sempre la strada più semplice e comoda da seguire. Il mondo dei diversi e degli emarginati è un serbatotio inestinguibile a cui attingere per chi vuole rimestare nel torbido e stuzzicare i peggiori istinti perbenisti. Possono essere di volta in volta stranieri, extracomunitari, slavi, romeni, rom, omosessuali o negri, il risultato non cambia. La feccia è feccia e va trattata da feccia. In base a questo principio uno sgarbo deprecabile, antipatico, insolente, maleducato come lo striscio sullo sportello si trasforma e si distorce nella distruzione della macchina e quindi merita la prima pagina.

Dunque il quadro che emerge è quello desolante in cui sguazza quasi tutto il giornalismo italiano, sia esso della carta stampata o televisivo: ricerca a qualunque costo dello scoop urlato e sfacciato servilismo politico. Tutt'altra cosa del solito aneddoto che ci propinano i giornalisti furbi: il cane che morde l'uomo non fa notizia..., ma l'uomo che morde il cane sì. Il discorso non è questo. Si tratta di onestà intellettuale e di distorsione dell'informazione per secondi fini. Ma questi a ben vedere non sono altro che i valori cui si ispirano buona parte degli italiani sul buon esempio di larga parte della classe politica; questa è l'Italia di oggi e a ben vedere l'informazione non fa che rispecchiare questi valori dominanti: apparire e servire. Apparire ad ogni costo e servire la parte giusta. Con buona pace della professionalità e della deontologia che dovrebbe ispirare qualsiasi buon giornalista.
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lunedì 12 luglio 2010

Amanti di provincia

La camera azzurra
di Georges Simenon

Capita di leggere  libri non esaltanti o non del tutto convincenti. Lasciano un certo amaro in bocca come quando, mangiando delle belle ciliege e facendo una-tira-l'altra, ne capita una ammaccata e un po' marcia che rovina il piacere del palato. Allora è d'uopo soffermarsi a sceglierne almeno 3-4 di ottime, dolci e succose, per rimettersi in pari. Succede così anche con i libri. Quando voglio rifarmi di qualche passo falso con libri non precisamente esaltanti, mi butto su Simenon o su Camilleri. Sono le mie ciliege prelibate per rifarmi la bocca. Riconciliato con l'arte dello scrivere sono poi pronto a ricominciare.

Il Simenon "refugium peccatorum" di turno questa volta è La camera azzurra, scritto più o meno negli anni 60 e ambientato nella profonda provincia francese, dalle parti di Poitiers. Un romanzo breve e asciutto nello stile, ma eccezionalmente bello. E' la storia "a posteriori" di due amanti (Tony e Andrée) percorsa a ritroso attraverso la testimonianza resa davanti al giudice istruttore. Dunque, alla base del racconto, oltre alla storia d'amore galeotta c'è anche un intreccio a sfondo poliziesco. Qualcuno ha commesso un reato per il quale è indagato e interrogato. Lui è Tony, figlio di italiani emigrati in Francia, che ha avviato una soddisfacente attività economica, si è fatto una famiglia con Gisèle e la figlia Mariane e sembra poter vivere agli occhi di tutti in pace e in serenità. Lei è la voluttuosa Andrée, sposata con un macilento e ignaro droghiere. Finchè un brutto giorno...
L'apertura del libro è di rara crudezza nel descrivere i due amanti nella camera dell'albergo che custodisce il loro segreto. Una camera azzurra che sembra essere uno scrigno dove racchiudere le vicende di Tony e di Andrée, la sua amante. Uno scrigno perchè non trapeli nulla all'esterno, nel segreto della vita di provincia. Man mano che le pagine scorrono e la storia prende forma animandosi di personaggi che sembra quasi di poter visualizzare e toccare con mano talmente vivida è la loro descrizione, ci si affeziona a Tony e al paesino dove si svolge la vicenda, al giudice istruttore che sembra simpatizzare per lui e per questo non intende accanirsi morbosamente sfruttando la grande risonanza presa dalla vicenda. Non va in cerca di facile pubblicità e di titoli sui giornali e sembra quasi aver preso a cuore quel povero diavolo di italiano. Finchè non arriva il giorno del processo...
La camera azzurra è anche l'occasione per affrontare il tema della verità e della giustizia. La verità come viene percepita dai diversi attori di una vicenda, quella che circola di bocca in bocca tra i paesani che non si fanno mai i fatti loro, quella che si legge sugli atti istruttori di un procedimento penale. E' anche un libro su come un uomo possa reagire di fronte ad un evento più grande di lui e verso il quale si rassegna a rimanere inerte, senza avere la forza di urlare la propria verità. Perchè ci sono avvenimenti che annichiliscono la volontà di un uomo e fanno sembrare tutto senza importanza, tanto ormai non si può più tornare indietro.
Un grande Simenon che con mano particolarmente felice dipinge i suoi personaggi con la stessa bravura analitica di un Carvaggio. Da on perdere. Buona lettura.
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domenica 4 luglio 2010

La gente mormora...

"Il nuovo fenomeno del thriller svedese. Arriva anche in Italia la giovane autrice considerata l’erede di Stieg Larsson".
Così recita l'ultima di copertina di questo bel libro dell'esordiente Camilla Lackberg che, con il pretesto del filone poliziesco, ci racconta uno spaccato molto realistico della società svedese. Forse è prematuro paragonare Camilla a Stieg Larsson, ma le premesse ci sono tutte.
Innanzitutto prima di parlare più approfonditamente del libro facciamo un passo indietro e pensiamo ad uno dei più diffusi luoghi comuni che riguarda noi italiani e il meridione d'Italia in particolare. "Chissà cosa dice la gente..."; "La gente mormora..."; "In paese tutti sanno tutto di tutti..." e via dicendo. Insomma si tratta di quello stereotipo molto piccolo-borghese e provinciale secondo il quale nulla deve trapelare all'esterno, i panni sporchi vanno lavati in famiglia e se lo si venisse a sapere in giro, scoppierebbe uno scandalo. Pensate a a quante volte ci siamo imbattuti in considerazioni come queste leggendo fatti di cronaca, un libro o guardando un film. Ci sono situazioni drammatiche, tragiche, comiche e grottesche legate alla gente che mormora invece di farsi i fatti propri. Ebbene che sia un luogo comune tipicamente italiano è del tutto da sfatare. Ce lo dimostra Camilla Lackberg con il suo libro, il cui intreccio narrativo (totalmente ambientato in Svezia) è tutto legato al timore di portare allo scoperto i fatti personali. Non dico di più per non levare il piacere a chi lo volesse leggere di districare la matassa del poliziesco svedese, ma la Svezia che ne viene fuori è sì di ghiaccio perchè tutta l'ambientazione si dibatte tra rigide temperature e neve a quintalate, ma anche sorprendentemente curiosa, chiacchierona e impicciona oltre ogni modo. E l'unico modo di contrastare questa morbosa curiosità per i fatti altrui è quello di non far trapelare nulla di quanto succede tra le mura domestiche.
I personaggi del libro sono parecchi e tutti piuttosto ben delineati e caratterizzati, ma quello principale è indiscutibilmente Erika, giovane scrittrice alle prime armi che si trova coinvolta nella morte di una sua vecchia amica d'infanzia. La storia comprende un arco temporale di circa 25 anni, il che contribuisce a dare un certo respiro alla vicenda che non risulta circoscritta e costretta nello spazio esiguo di una indagine della polizia.Sebbene la polizia svedese sia dipinta nel complesso come scalcinata, arrogante e incapace. Anche questo (l'efficienza dei freddi nordeuropei) è un altro mito da sfatare...
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