lunedì 31 agosto 2009

Miracoli?


In questi ultimi giorni i quotidiani hanno riportato la notizia di un miracolo. A beneficiarne sarebbe stata una donna di Potenza affetta da SLA recatasi in pellegrinaggio a Lourdes. Partita in carrozzina e incapace di camminare, ha riacquistato la capacità di deambulare e ora la si vede camminare e rilasciare interviste in tv.

Di fronte a fatti del genere mi chiedo sempre perchè. Perchè accadono questi miracoli, perchè proprio a certe persone piuttosto che ad altre. Perchè queste grazie divine concesse in modo così difforme e arbitrario? Perchè a qualcuno si e a milioni di altri no? Cos'è che determina lo scattare di questo privilegio? Troppe domande e poche o nessuna risposta, se non quelle che provengono dopo aver pescato a piene mani nelle riserve di certezze derivanti dalla Fede, per chi ce l'ha. Quindi nessuna risposta, perchè le risposte della Fede non sono risposte, ma acclamazioni di postulati, dunque razionalmente indimostrabili, da prendere o lasciare a scatola chiusa.
Farsi delle domande in tema di fede è impresa disperata, fuorviante e inutile. Viene da chiedersi che dio sia questo che dispensa favori a qualcuna delle sue creature, mentre ne lascia miliardi nella sofferenza e nel dolore. Esprime sublime indifferenza verso i mortali questo dio? Ed io che in questo momento sto esprimendo questi dubbi sono un blasfemo?

Comunque la si guardi la vicenda dei miracoli è inestricabile a volerla trattare con gli strumenti della logica e della razionalità. Secondo i dati ufficiali, a Lourdes nel corso degli anni i casi di guarigione inspiegabile sono finora circa 7.000, mentre i miracoli riconosciuti ufficialmente dalla Chiesa sarebbero poco più di una sessantina. Cosa sono questi numeri di fronte ai milioni di pellegrini che visitano annualmente il santuario francese? E di fronte a tutti gli esseri umani che in qualche modo soffrono? Perchè mi viene da associare il miracolo ad un colpo di fortuna dettato dal caso?
Forse perchè la mia Fede è scarsa o assente. Ma come si fa a credere nel divino soprannaturale senza porsi delle domande?

Colpevole, colpevolissimo, anzi no


Alberto Stasi, il giallo di Garlasco, la fidanzatina massacrata senza pietà. Il mostro da sbattere in prima pagina era già bello e confezionato per i vari brunovespa della tv. Era lui, l'enigmatico e ambiguo Alberto Stasi. La prova regina? Il suo computer, che lui affermava di aver usato per tutta quella mattina del delitto, anche nel momento dell'aggressione mortale. Non gli avevano creduto, i Carabinieri del Ris avevano confermato che dall'analisi del computer non risultava alcun riscontro alla tesi difensiva. Dramma nel dramma per il giovane Stasi. Anche la famiglia della vittima lo respinge e interrompe tutti i rapporti con lui, il fidanzato-mostro, quando all'inizio invece piangevano insieme la vittima, accomunati nel dolore. Stasi era ufficialmente spacciato e i brunovespa andavano a nozze avendo per le mani il mostro.
Ma adesso la notizia bomba. Fermi tutti, contrordine, non è vero niente. Un pool di super esperti informatici ha accertato il contrario della perizia precedente. Il computer di Stasi ha lavorato alacremente quella mattina, dunque la sua versione difensiva era vera. Alberto era al computer e non poteva contemporaneamente massacrare e uccidere la fidanzata.
Il magistarto inquirente si incazza come una bestia con i Ris che gli avevano fornito la prova regina, il che dimostra che l'aura di infallibilità assegnata d'ufficio alle indagini della polizia scientifica (in senso lato, non faccio distinzione tra Polizia, Carabinieri o ...CSI) merita un forte ridimensionamento.
E intanto Stasi che fa? Beh, essendo passato dal ruolo di colpevole additato al pubblico abominio a vittima di un errore giudiziario, al minimo starà tirando un gran sospiro di sollievo e vede la prospettiva di un ergastolo allontanarsi fortemente. Chi lo ripagherà moralmente e materialmente dall'essere stato considerato un mostro malvagio? Ma di sicuro la figuraccia di approssimazione e inaffidabilità l'hanno fatta i cosiddetti investigatori super esperti e onniscenti. Vatti a fidare...

domenica 30 agosto 2009

Film visti: Chéri

Di Stephens Frears, con Michelle Pfeiffer (sempre brava e incantevole nonostante gli anni che passano), Kathy Bates (un nome, una garanzia), Rupert Friend (espressivo come una... sogliola).
Voto: 2

Frears probabilmente mirava a ripetere i deliziosi successi in costume di Le relazioni pericolose o l'asciutta contemporaneità di My beautiful laudrette. Ma sono passati molti anni da allora e qualcosa è cambiato, la mano non è più la stessa e il risultato è deludente. Chéri è un brutto film, sostanzialmente inutile e francamente mal realizzato. Colette scriveva con grande successo quasi un secolo fa dell'amour fou tra una cortigiana d'alto bordo (una escort d'antan...?) e un giovanotto slonfio e senza spina dorsale, figlio di un mondo dissoluto e che avvia quell'esperienza più per fare esperienza che altro. Ma le cose deviano verso un innamoramento reciproco non previsto e tutto va a scatafascio. Francamente di una storia di questo tenore non si sentiva granchè bisogno, non foss'altro perchè al giorno d'oggi abbiamo esempi di cronaca che superano la vicenda romanzata con diciottenni disinvolte che chiamano Papi degli ultrasettantenni assatanati. Insomma oggi la realtà supera il romanzo, altro che Colette e il feuilleton....
Il film è penalizzato da una fotografia piatta e noiosa che non rende visivamente ed emozionalmente nulla di quella che era l'atmosfera gaudente della Belle Epoque di inizio '900. Eppure sono bravi gli attori (pardon, le attrici...), belli e degni di nota i costumi, ma il risultato è irritante per quello che poteva essere e non è. Insopportabile la voce narrante fuori campo, e mi piacerebbe sapere se sia presente anche nella versione originale o si tratti di un'invenzione del distributore italiano. Non sarebbe la prima volta.
In questa estate cinematograficamente desolata e deprimente, bisognerà aspettare ancora qualche settimana per vedere qualcosa di buono. Probabilmente (speriamo) qualcosa uscirà già il prossimo week end, in concomitanza con la Mostra del cinema di Venezia, quest'anno un po' in ritardo rispetto al calendario abituale. Chissà perchè.

giovedì 27 agosto 2009

La "sfortuna" di vincere al Superenalotto


Non è un paradosso. La fortuna e la sfortuna (ammesso che esistano) a volte combaciano, si sovrappongo e -chissà- forse finiscono per elidersi. Il superfortunato supervincitore del superpremio del superenalotto ha scritto al Corriere della Sera esternando tutta la sua paura e il suo imbarazzo. Paura, perchè evidentemente dover gestire una somma del genere è un problema che mette paura. Paura, perchè la caccia al vincitore è aperta e, se dovesse essere impallinato, il "poveretto" avrebbe letteralmente finito di vivere. Paura, perchè sbagliare e fare una mossa falsa per lui sarebbe la fine. Paura, perchè dice di vivere nascosto e di nascosto si è preso qualche ora di libertà fuori dal suo paesetto toscano. E imbarazzo. La sua riflessione è di quelle che in un certo senso fanno tenerezza: perchè proprio a me? Si definisce un modesto lavoratore senza pretese che ha sempre lavorato duramente e faticosamente e adesso si trova di fronte ad un affare più grande di lui e delle sue possibilità. Arriva a chiedere scusa a tutti se non riuscirà a fare ciò che vorrebbe con tutti quei soldi e se non riuscirà ad accontentare tutti. Umanamente ha tutta la mia comprensione e simpatia. Diciamo che questo mister X ha avuto la sfortuna di abitare e vincere in uno striminzito paese dove tutti conoscono tutti e alla prima occasione in cui farà un passo più lungo delle sue normali possibilità verrà smascherato. E già l'utilizzo del termine smascherare la dice lunga..... poveretto!
Dal che discende una considerazione. Mezza Italia, e non solo, ha giocato allegramente per vincere il montepremi del Superenalotto più alto della storia di tutti i giochi a premi. Ma il giocatore è davvero pronto a vincere? Il giocatore gioca sapendo o addirittura, inconsciamente, sperando di non vincere? Difficile rispondere, ma il dubbio che la risposta sia sì, è forte.
Naturalmente il post inviato al forum del Corriere potrebbe essere una burla o un falso. Ma comunque tutto lo sfogo del presunto vincitore mantiene una sua credibilità. Magari il vero vincitore è perfettamente tranquillo e a suo agio a pianificare cosa fare della sua montagna di milioni e a ridersela di gusto di tutti noi che elucubriamo sulla sua vincita, sulla fortuna e sulla sfortuna, sulle sue paure e i suoi imbarazzi... Accidenti, perchè non facciamo cambio? Amico toscano-superfortunato-quasi-pentito, ti offro uno scambio alla pari: la tua vincita contro un'esistenza tranquilla, un reddito da lavoratore dipendente che di certo non ti arricchirebbe ma nemmeno ti farebbe mancare nulla. Caso mai ti interessasse lo scambio, fatti vivo...

Il riccio che è in noi


Ieri, in pausa pranzo al bar vicino all'ufficio, al tavolo accanto al mio c'era una signora che stava leggendo L'eleganza del riccio, il bel libro di Muriel Barbery di un paio d'anni fa (in arrivo a breve la trasposizione cinematografica). Per inciso, la sconosciuta lettrice sembrava essa stessa proprio la protagonista del libro, la portinaia Renée. A parte i capelli spudoratamente finto-biondi sembrava proprio lei in persona, con un'aria dimessa e quasi trasandata, una corporatura tozza che portava i segni di numerose e sostanziose trasgressioni alimentari.
Inevitabile far tornare alla memoria il libro e la pletora di personaggi che davano vita al racconto. La ragazzina-genio e il suo nichilistico diario ultra erudito, gli abitanti del condominio della "Parigi-che-conta", il nuovo inquilino giapponese... Stop, mi fermo qui sennò dico troppo del libro.
L'idea della portinaia che cela sotto il suo aspetto trasandato e dimesso una cultura sfolgorante è decisamente affascinante e mi ha coinvolto fortemente durante la lettura del libro. Perchè va a colpire quel nervo scoperto che in tutti noi è rappresentato da una sana dose di esibizionismo. Chi non vorrebbe essere come Renée e al momento buono sfoderare riferimenti e citazioni dotte, precise e illuminanti? Chi non vorrebbe coltivare i suoi interessi culturali e/o personali pur mantenendo un'immagine esteriore dissimulata e anonima, salvo poi sfoderare virtute e conoscenza al momento buono? Forse sto generalizzando troppo allargando a chiunque un mio segreto desiderio-aspirazione. Però mi piace pensare che in realtà tutti noi coltiviamo in segreto un'aspirazione simile, magari che spazi in svaraiati campi (dall'arte alla cultura, dalla cucina alle competenze informatiche), ma sostanzialmente non dissimile dalla mia. In fin dei conti tutti noi siamo dei ricci che tendiamo ad attivare una barriera difensiva dal mondo esterno che ci viene di volta in volta a sfiorare e -chissà- talvolta anche a collidere, nel tentativo di celare in tutto o in parte la nostra natura, le nostre attitudini e la nostra conoscenza. Forse questo è il motivo principale della bellezza del libro, forse perchè un bel libro deve (o riesce) sempre a dirci qualcosa di noi stessi, prima ancora che dei personaggi.
Unica nota stonata -a mio modesto avviso- un non lieve sentore di ostentata saccenza che l'autrice trasmette qua e là. Specie quando di pagine e pagine di particolari approfondimenti non se ne avvertiva il bisogno nell'economia dello sviluppo narrativo. Ma è solo una mia opinione, of course.
Buona lettura, ricci!

P.S.: perchè è in uso l'espressione "scopare come ricci"? Chi è che si prende la briga di annotare la frequenza e le modalità delle abitudini sessuali dei ricci al punto da coniarne un detto popolare? Mah...

mercoledì 26 agosto 2009

Come sabbia in un pugno

Ieri sera ospiti a cena. Chiacchiere e ricordi. Sembrava buona l'idea di tirar fuori dall'armadio le vecchie fotografie di parecchi anni addietro. Certo fa sempre molto piacere vedere/rivedere le facce irriconoscibili di familiari e amici com'erano un tempo. Però... il confronto è simpatico e ridanciano quando si fa sull'invecchiamento degli altri, diventa penoso e insopportabile quando lo si fa su se stessi. Mi sono rivisto com'ero una ventina di anni fa. Non sembro neppure la stessa persona, neppure quello in fotografia fosse un mio lontano parente con qualche tratto somatico in comune... Invece ero (e sono) io. Per certi aspetti (estetici) devo dire onestamente che mi piaccio di più adesso, il capello grigio ha sempre un suo fascino particolare e gli anni della maturità fanno la loro porca figura. La linea attuale è snella come mai (o quasi) lo è stata in passato. Per rivedermi con un rapporto peso/altezza abbastanza corretto devo tornare a ritroso ai tempi in cui giocavo a rugby. La mia sensazione di benessere, di forza e di salute di allora dava quasi un senso di onnipotenza e di indistruttibilità difficili da spiegare, se non "per sottrazione" in riferimento allo stato attuale. Non so se ho reso il concetto. Altri tempi..., come dicevo non sembro neanche lo stesso. Perchè adesso sono sì, magro e snello, ma malridotto fisicamente, con il cuore che da i numeri e con un sacco di stramaledetti problemi molto concreti che incidono pesantemente sul mio quotidiano, che neppure mi metto ad elencarli. Sono i segni del tempo che passa, nonostante si vorrebbe fortissimamente che non passasse. Il tempo è tiranno, si dice, e soprattutto se ne fotte di te e della tua volontà di essere come ti sentiresti dentro. Il tempo che passa ha una forza che lo rende invincibile e nulla lo può arrestare o rallentare. Non esistono palliativi, o segreti miracolosi. E' solo fumo negli occhi, una specie di gioco con se stessi in cui ci si convince di sentirsi bene e in forma come una volta, ma in realtà il tempo fa il suo corso. Che si voglia o no. Inesorabile e maledetto. Se dovessi raffigurare il tempo lo vedrei come un mano che stringe in pugno una manciata di sabbia. Attraverso le dita, per quanto forte si possano stringere, c'è sempre un rivoletto di sabbia che sfugge da ogni parte. Anzi più si stringe e più si sembra di avere il controllo della situazione, più la sabbia continua il suo percorso di dispersione. Granello dopo granello. Fino a che ci si accorge che in mano non è rimasto nulla, se non qualche residuo di sabbia. Che magari luccica anche, se colpita dalla luce. Ultimi bagliori e ultimi riflessi di quella che era un tempo la propria vita. Tempus fugit.
Vedersi in fotografia in un tempo passato e fare il confronto con l'oggi è inevitabile. La domanda è: ma sono io? Quello in foto è lo stesso di adesso? E ingenuamente mi sono messo a guardarmi attentamente, per vedere se l'immagine lasciasse trasparire qualche segnale del degrado che si sarebbe manifestato da lì a qualche anno. Ho finito per guardarmi in alcune foto in costume da bagno ad osservare com'ero prima della devastazione delle operazioni chirurgiche e di come sono adesso. Non non sono la stessa persona. Quello nella foto di allora non sono io. Oppure, è il contrario, sono io adesso che non sono quello della foto. Ma è strano, perchè soggettivamente sembra che non sia cambiato niente a livello introspettivo, che vi sia piena continuità del pensare, del riflettere. Invece non è così. Se fosse possibile davvero fare un confronto e mettere uno accanto all'altro i due soggetti, io-adesso e io-allora, chiunque si accorgerebbe che le differenze ci sono, eccome. Il fatto è che la gradualità dei vari passaggi stempera le differenze con il tempo. E' solo quando ci si va a sbattere il muso, per esempio davanti ad una fotografia, che le differenze emergono prepotenti e impietose. Io non vivo male la mia età psicologica. Il confronto con tanti miei coetanei è per me positivo, fatto salvo l'aspetto fisico. Mi piaccio tuttora, mi piace abbastanza il mio modo di ragionare, di essere. Anche se il tempo, oltre che maledetto quando ti fugge dalle mani, è anche maestro e, a voler bene ascoltare, insegna tante cose. E allora ci si rende conto inevitabilmente degli errori commessi, di tutti i percorsi fatti e che si potevano fare meglio o evitare. Peccato che sia impossibile rilevare gli errori che si commetteranno in futuro...

Il tempo, estremizzandone il concetto, significa morte. Per fortuna statisticamente e anagraficamente io sono ben distante da quel punto di arrivo. Ma ciononostante, i miei percorsi di salute mi hanno portato a cominciare a farne la conoscenza. Giusto per dire che in qualche modo non è una Signora del tutto sconosciuta. E' come se l'avessi vista passarmi vicino, giusto il tempo di farle una pernacchietta e salutarla, rimandandola da dove era venuta. Ma è una Signora che non fa paura, almeno a me non ha fatto paura. Certo incute rispetto, non ci si può scherzare troppo, se si incazza sono cavoli amari. Ma non mi ha fatto paura. La Signora rappresenta, -è-, un evento ineluttabile quanto naturale, non dipende da noi. Non esisterebbe la Morte se non esistesse la Vita. E siccome la Vita fa piacere viverla a tutti al meglio possibile, bisogna necessariamente accettare anche l'idea della Morte. Basta tenerla a distanza finchè è possibile, ma senza insistere troppo. Come dicono i saggi, non è importante quanto si vive, ma come si vive. Quando arriva l'ora, c'è poco da piagnucolare o chiedere dilazioni. La Signora è sorda da quell'orecchio...

lunedì 24 agosto 2009

Due pesi e due misure

Ho letto che la Regione Sicilia riceve il 12,25% delle somme giocate al Superenalotto nell'isola. Una regalia vera e propria da parte dello Stato. Perchè? Perchè alla Sicilia sì e ad altre regioni no? Come si giustifica questo privilegio che frutta milioni di euro senza colpo ferire, senza alcun merito particolare se non quello di avere montagne di debiti derivanti da pessima amministrazione locale (il caso Catania è, sotto questo aspetto, illuminante)?
Due pesi e due misure da parte di uno Stato che è legato mani e piedi per la sua sopravvivenza politica ai voti della Sicilia, che diventano merce di scambio per ottenere di tutto e di più. Gli alambicchi politico-elettorali resterebbero a secco senza il flusso di voti siciliani. E dunque ogni desiderio è un ordine, ogni regalia è ammessa. Una vergogna nazionale.

venerdì 21 agosto 2009

Un amico in divisa

Sono cresciuto tra le divise militari. Mio padre era sottufficiale dei Carabinieri, come lo era anche un mio zio. Un altro zio era colonnello d'artiglieria. Per casa era normale vedere amici di famiglia e/o parenti in divisa militare. Per me un agente o un poliziotto sono sempre state figure amiche a cui guardare con fiducia. Ultimamente non è così, non più, non per tutte le divise. Specie per i vigili urbani. E' troppo frequente incappare in qualche agente di polizia municipale che ha la pericolosa tendenza a mettere le mani sul portafoglio invece che costituire una positiva figura di riferimento per il cittadino. E questo senza essere delinquenti abituali, ma normali e onesti cittadini. Viene meno il rapporto di fiducia quando la figura dell'agente che rappresenta e incarna lo Stato assume le sembianze di una macchinetta mangiasoldi. Autovelox nascosti, mancanza di indicazioni chiare e precise sui limiti da osservare, multe per divieto di sosta appioppate per pochi centimetri d'errore o per una manciata di minuti di sgarro, semafori rossi e gialli che scattano con la velocità della luce e chi più ne ha più ne metta.



[Nella foto: un autovelox nascosto in un bidone dell'immondizia]





Ognuno di noi ha una serie di esperienze personali negative da portare ad esempio. Insomma un atteggiamento che sembra fatto apposta per fare cassa. Sembra? Mica tanto. Ci sono ben pochi dubbi, lo è per davvero, lucidamente e deliberatamente. Lo dicono le sentenze di condanna e gli atti inquisitori della magistratura a carico di amministratori locali in combutta con ditte private che addomesticavano fraudolentemente i dispositivi di rilevamento dei passaggi al semaforo o dei limiti di velocità. Ma forse tutto questo è destinato a finire. E' di oggi la notizia secondo cui il Ministro degli Interni Maroni avrebbe deciso di porre fine a questo stato di cose. Basta con gli autovelox nascosti, con i T-rex ai semafori, basta con i limiti di velocità sibillini o infrattati tra gli alberi lungo la strada, basta con le ditte private che facevano "società" con le amministrazioni locali mirando spoudoratamente a intascare succose percentuali sugli importi delle contravvenzioni. Basta -speriamo- a questo stato di cose in cui il cittadino automobilista è considerato alla stregua di una mucca da mungere per risanare le finanze dei comuni d'Italia.
Bravo Maroni (se la novità annunciata sarà realizzata per davvero, senza restare uno dei soliti buoni propositi di pura propaganda politica...). Se torneremo a vedere degli amici in chi indossa una divisa, sarà anche merito suo.

mercoledì 19 agosto 2009

Pagine da un ospedale (parliamo di libri)



Nelle ultime settimane ho letto, tra gli altri, due libri molto diversi tra loro, scritti da autori altrettanto diversi. Espiazione di Ian McEwan e Le campane di Bicetre di George Simenon. Dal primo è stato tratto anche un film presentato alla Mostra del cinema di Venezia nel 2008. Cosa hanno in comune dal momento che ho premesso la loro diversità? In breve, entrambi sono incentrati in tutto o in parte sullo svolgersi di una parte del racconto in un ospedale.
Due prospettive diverse e con strutture narrative diverse. Nel romanzo di McEwan la protagonista femminile Bryoni sconta un forte senso di colpa per un fatto successo diversi anni prima, quando era appena una bambina tredicenne. Cerca una specie di redenzione per aver fatto del male ad un uomo, amante della sorella, accusandolo ingiustamente di stupro. La sua espiazione passa attraverso il duro lavoro di semplice infermiera in un ospedale militare inglese durante la seconda guerra mondiale. Siamo nel periodo della disastrosa ritirata di Dunkerque con migliaia di vittime tra i militari britannici. I più fortunati salvano la pelle, ma spesso sono orrendamente feriti dai bombardamenti nazisti. La giovanissima Bryoni, ormai cresciuta e staccatasi dalla famiglia, si rende consapevole del suo errore di anni prima che ha portato in carcere un innocente, lavora febbrilmente al servizio di quei poveri feriti senza risparmio per se stessa. Sono pagine crude da cui traspare la fatica fisica e interiore di chi assiste i pazienti martoriati e dilaniati dalla guerra. Tutta la terza parte del libro è dedicata all'espiazione della colpa di Bryoni. Non dirò nulla del finale per rispetto di chi eventualmente dovesse leggere il libro. Che è un bel libro, scritto molto bene e con profondità da McEwan, che riesce a dipingere con efficacia quel mondo particolare che era (e forse è tuttora) l'alta borghesia inglese degli inizi del secolo scorso, tutta presa dal gingillarsi con le porcellane del servizio da the o dai fine settimana nelle tenute di campagna e che sembra galleggiare soavemente su tutto il resto, dalla crisi economica post '29 fino alla drammatica atmosfera politica che squassa l'Europa pre-nazista. La vicenda infatti inizia negli anni trenta e si conclude durante la seconda guerra mondiale.
Di tutt'altro tono il libro di Simenon, che si svolge interamente in una stanza d'ospedale di un piccolo borgo a sud di Parigi. L'epoca sono gli anni '60. Il protagonista, René Maugras, è l'importante e influente direttore del maggiore quotidiano francese. Un uomo in grado di influenzare la politica nazionale e di condizionare masse importanti di opinione pubblica. Un pezzo grosso, insomma. Succede che una bella sera, nel corso di una cena con amici altrettanto influenti, Maugras si senta male e si risvegli in ospedale, semiparalizzato. Da qui, da una situazione di crisi personale, nasce un momento di riflessione sulla propria vita, un'occasione per fare un bilancio della propria esistenza. Operazione a ritroso sulla memoria degli anni e delle persone, dolorosa e difficile almeno quanto quella fisica che lo obbliga a letto e all'immobilità, senza neppure poter parlare ed esprimersi, se non a sguardi. Simenon, da par suo, riesce ad accattivare il lettore senza mai diventare pesante e noioso, sebbene il tema si prestasse incredibilmente a trasformare la vicenda in una mattone drammatico insostenibile.
Per fortuna Simenon è pur sempre Simenon (la classe non è acqua, parbleu!) e il libro fila via interessante ed appassionante, con tutta una serie di personaggi di contorno, a cominciare dalla deliziosa ed efficiente infermiera personale a una moglie alcolizzata, a tutta una pletora di amici e medici che corrono al suo capezzale di ammalato grave. E' stupefacente come l'immobilità forzata e la malattia possano trasformarsi in un importante momento di riflessione e di regolamento dei conti con la propria coscienza. Il chiuso di una stanza d'ospedale finisce per diventare un mondo a parte, un familiare mondo chiuso, al punto da non far rimpiangere quello che c'è al di fuori, nella vita "normale". E posso assicurare che è vero, è proprio così. Lo dico a ragion veduta, avendo io stesso trascorso parecchi mesi in una stanza d'ospedale per gravi problemi di salute. Ma questa è un'altra storia, di cui forse vi parlerò in un altro momento.
Intanto permettetemi di consiglirvi questi due libri. Mi auguro che possano piacervi come sono piaciuti a me.

martedì 18 agosto 2009

Il mito dello sballo a tutti i costi

Una notizia su tutte in questo Ferragosto: i ragazzi morti per troppa ubriachezza (+droga) durante feste rave in spiaggia. Assurdo, allucinante, soprattutto per la ripetitività con cui queste morti si succedono. Feste rave a parte, lo sballo a tutti i costi e a qualunque costo è cosa "normale" in qualsiasi discoteca, o locale notturno. Ormai è un'onda inarrestabile, un vero e proprio culto dell'alcol e dello sballo artificiale a tutti i costi. Pare che senza ubriacarsi non ci si possa divertire, anzi se non si beve come spugne si fa la figura degli sfigati. Se non ci si impasticca si passa per deficenti sottosviluppati. Protagonisti ed eroi dello sballo, ragazzi dai 14 anni in su (ed ex ragazzi ormai trentenni o più). Le femmine come i maschi alla pari, accomunate nella ricerca dell'autodistruzione, per non essere discriminate sessualmente nemmeno di fronte all'imbecillità. Una vera e propria cultura di autodistruzione di massa in nome del divertimento trasgressivo e contro le regole di ordinario buon senso. Un fenomeno di massa dei nostri tempi che rischia seriamente di segnare gravemente una intera generazione. Giovani che fra qualche anno avranno soppiantato e sostituito l'attuale nella società civile in ogni ordine sociale sia orizzontale che verticale. Intendiamoci, alcol e droga non sono piaghe sociali nate oggi, e da sempre mietono vittime a migliaia, ma a differenza del passato sembrano essere considerati quasi un male inevitabile, una specie di segno distintivo "che fa figo", quasi da esibire con orgoglio invece che da cacciare in un angolo.

Ma chi sono i "cattivi maestri" di questo fenomeno? Chi istruisce e istiga l'individuo-massa in maniera così palesemente suicida? Quanti sballati hanno sulla coscienza giornalisti e redattori di riviste e programmi di gossip e di "tendenza"? Ebbene sì, ancora una volta il dito va puntato sui media di massa, prodotti e venduti un tanto al chilo, quelli che fanno tendenza fra le teste vuote e indifese, quelli che sono dedicati specificatamente al pubblico giovane cioè alla fascia 14-30 anni. Prima di tutto la televisione, ma non solo. Un modello formato giorno dopo giorno a suon di programmi tv di infimo livello fatto di tronisti e troniste, di sballati che fanno dell'eccentricità deviante uno stile di vita, di grandifratelli nullafacenti e baruffanti. Feccia televisiva ed espressione di una sottocultura che vive e si alimenta dei miti del successo, della popolarità, del facile e rapido arricchimento. Miti che vediamo ogni giorno sui giornali e in televisione. Che conquistano le copertine dei rotocalchi che sguazzano in questo sottobosco e i cui santoni vengono trattati, adorati e idolatrati come guru del gossip e del vivere sfrenato. Basta passare davanti ad un'edicola o sfogliare giornali e riviste dal barbiere o dalla parrucchiera. E' sufficiente smanettare col telecomando della tv. E' tutto lì sotto gli occhi di tutti, pronto per essere consumato avidamente e ad essere trasmormato in un micidiale modello da seguire e imitare.
Il rito del Ferragosto
Posted at 09:25, 17/8/2009
E' fatta, anche per quest'anno abbiamo superato il ferragosto. Un giro di boa che segna il passare del tempo, anno dopo anno, al pari delle feste natalizie. C'è un prima e un dopo ferragosto come un prima e un dopo Natale e Capodanno. La nostra vita sociale sembra cadenzata appositamente su queste date, fisse e costanti. Per quanto mi riguarda, questo ferragosto è stato come gli altri: tranquillo e di tutto riposo. Per scelta evito le ferie in questo periodo, sia per l'eccessivo affollamento di qualsiasi località di villegggiatura, sia per i prezzi proibitivi dell'alta stagione. A casa si sta benissimo. Meno caos, meno confusione. Più tempo per le proprie passioni o i piccoli riti quotidiani. Ormai mi mancano poche pagine per finire il libro di Scerbanenco; ho goduto in tv e celebrato il trionfo del marziano Bolt nei 100 metri di atletica leggera; ho ascoltato -ahimè- le ennesime stupidaggini sull'Inno nazionale che secondo Bossi non conosce nessuno (avrei un piccolo aneddoto in proposito...); ho ascoltato le solite raccomandazioni dei telegiornali su mari e monti estivi (del tipo: non prendere il sole per docici ore di fila e non andare a passeggiare in montagna con le infradito). Insomma la solita sbobba.

P.S.: Ecco l'aneddoto sull'Inno di Mameli. Incontro di rugby internazionale di Coppa Europa (Challenge Cup, una specie di Coppa Uefa del calcio). Squadre schierate a centro campo e inni nazionali. Parte la la Marsigliese degli ospiti, una squadra francese, se ben ricordo. Tocca al nostro Inno nazionale. Ma il tempo passa e e non parte nessuna registrazione. E' evidente che qualcosa non va. Imbarazzante. Ed ecco che succede l'impensabile: il presidente degli ex giocatori ormai "pensionati" della squadra locale, il Petrarca Padova, chiama a raccolta tutti dalla tribuna e comincia a cantare "Fratelli d'Italia" a braccio, senza musica. Tutto il pubblico, guidato dal gruppo degli ex petrarchini, si accoda e canta sostituendosi alla base ufficiale. Fantastico, commovente, da pelle d'oca. Oltre un migliaio di persone, tutte insieme, spontaneamente, orgogliosi di essere italiani e accomunati dall'Inno di Mameli.
E Bossi dice che nessuno lo conosce e lo canta? Ma mi facci il piacere, mi facci!

Esternazione del dolore

Telegiornale della sera (uno qualsiasi, tanto sono più o meno tutti dello stesso padrone) di un paio di giorni fa. Servizio sui funerali dei cinque italiani morti nell'incidente aereo sopra Manhattan a New York. Poveretti, morire in quel modo e spazzare via due famiglie. Chissà come deve sentirsi chi ha rinunciato a salire sull'elicottero all'ultimo istante per paura di volare. Pazzesco, forse rimpiange di essere rimasta a terra, chissà.
Ma non è questo di cui voglio parlare, un incidente in vacanza è un incidente in vacanza. Punto. Bensì sull'esternazione del dolore in questo e molti altri casi analoghi. La morte è il fatto tragico per eccellenza e viene vissuto sempre con il massimo del pathos nonostante svariate confessioni religiose considerino solo un transito la vita terrena in vista di un perfezionamento possibile o probabile in una vita futura, di qualunque tipo essa sia o sarà o potrebbe essere. Dunque non una fine e non una fine di tutto, ma un momento di passaggio e di evoluzione. Ma evidentemente nel sentire comune la morte è evento ben più forte e tragico di qualsiasi dottrina religiosa dal momento che la si vive comunemente proprio come la fine di tutto.
Insomma per farla breve, nel corso dei funerali dei morti di New York ci sono stati i soliti applausi da parte dei presenti. Io non sopporto gli applausi in un funerale. Trovo che sia un non senso vergognoso (salvo talune e categoriche eccezioni). Cosa significa l'applauso in un contesto di morte e di dolore? Un applauso è l'esternazione di una gioia, è la manifestazione di un sentimento positivo, una sottolineatura eclatante, rumorosa, clamorosa, un bisogno di comunicare che il fatto o il motivo che scatena l'applauso ha una valenza di ammirazione collettiva. Non per niente l'ambito naturale di un applauso è un teatro o un auditorio e si applaude per premiare e sottolineare la bravura o la competenza di chi si è esibito o ha manifestato il proprio pensiero (spettacolo o conferenza o assise pubblica, ad esempio). Si applaude ad una manifestazione sportiva. Applaudire ad un funerale potrebbe avere un senso qualora il defunto fosse un eroe di guerra che ha perso la vita per la patria o per il bene comune; se si trattasse di un agente delle forze dell'ordine caduto per mano di un criminale, se fosse un grande uomo o una grande donna che sono stati esempio di vita e di cultura per la comunità umana (penso ad uno statista, o ad un personaggio dello spettacolo, ad un campione sportivo). Ma i cinque morti in elicottero in vacanza a New York chi sono o cosa rappresentano per meritarsi un applauso? Cosa e chi si si festeggia con quell'applauso? Si sono immolati per la comunità? Sono figure eccellenti del genere umano? Rappresentano in qualche modo degli esempi virtuosi pubblici da seguire e imitare? Eroi di guerra che hanno dato la vita per un ideale? Con tutto il rispetto, no. E sottolineo "con tutto il rispetto" per chi ha perso la vita. Nulla di tutto questo. Erano solo dei poveretti che hanno trovato la morte in vacanza come succede migliaia di volte su qualsiasi autostrada durante il periodo di vacanza. Cosa hanno di diverso da qualsiasi altra vittima della strada? Torno a chiedermi: per quale motivo l'applauso? Non c'è un motivo. Se non il fatto che ci fossero le telecamere schierate a riprendere la scena. Una claque istintiva, e sicuramente non organizzata, ma ugualmente efficace parte e chiede l'applauso come tributo alle vittime dell'incidente. Che certamente saranno state persone buone, virtuose, generose e oneste. Si sa d'altronde che sono sempre i migliori ad andarsene. La verità è che le telecamere di qualsiasi tv, anche la più insignificante ed anonima, ormai svolgono il ruolo ufficializzato di sacralizzare e ratificare qualsiasi evento. Sono l'imprimatur ecclesiale di una chiesa del pubblico dominio a discapito della sfera privata. Cosa c'è di più intimo e riservato per il dolore per la scomparsa tragica di un familiare? La telecamera celebra un rito e lo rende visibile a tutti, alla ggente (con due G), quella che fa massa, che fa opinione pubblica, che fa numero. L'ha detto la televisione... è un'osservazione che vale ad assegnare un dogma di verità e di certezza su qualunque cosa, più di quanto potrebbe fare qualunque cattedratico o esperto o scenziato o chi volete voi. L'ha detto la televisione, l'ho visto in tv. Punto.
Ma il peggio deve ancora arrivare. Le immagini mostrano e la giornalista commenta. I presenti sono schierati ad emiciclo come quando si assiste ad una rappresentazione. Una specie di linguaggio del corpo che tradisce inconsapevolmente come in quel momento la ggente assista ai funerali, ma in realtà non vi partecipi. Ad un funerale di solito ci si stringe intorno ai familiari, alla bara del defunto; è la vicinanza a simbolizzare il cordoglio. Ci si abbraccia per comunicare proprio la vicinanza, morale e fisica. Non ci si mette a guardare a debita distanza e ad applaudire come ad uno spettacolo, attori da una parte e pubblico dall'altra. Si va avanti, siamo alla scena madre. Uno dei defunti, padre e marito eccezionale e unico, aveva acquistato un anello per la moglie in occasione del loro 25.mo anniversario di matrimonio. Uno dei congiunti a conoscenza di ciò, ha ritenuto di consegnarlo comunque alla vedova (quella che si era salvata all'ultimo istante per paura di volare). Bel gesto quello del povero marito defunto, un pensiero gentile e commovente. Solo che, guarda un po', la consegna postuma del regalo non è stata fatta con riservatezza in privato con il giusto raccoglimento che merita un gesto di affetto e di amore tra marito e moglie, ma, guarda un po', la consegna è avvenuta sul piazzale della chiesa davanti a tutto il pubblico dei presenti e naturalmente in favore delle telecamere dei telegiornali. Grande momento di televisione del dolore. Applausi, applausi, applausi.

Come gestirei la vincita al Superenalotto (se mai vincerò)

Niente sei. I miei compagni di giocata ed io non siamo diventati milionari neanche questa volta ...si fa per dire, era la prima volta che giocavamo in gruppo; sarebbe stato eccessivo pretendere di vincere al primo colpo. Ma sulla mia personalissima schedina, un sistemino da pochi euro, ho fatto tre volte tre. Devo aver recuperato almeno le spese e ci scappa pure l'aperitivo (parco) con gli amici. Meglio accontentarsi.

Comunque, siccome i sogni non costano niente, avevo cominciato a programmare cosa fare dei soldi vinti. Non tutti i 131 e passa milioni, ma la mia quota della giocata collettiva con gli amici rugbysti. Vale a dire poco meno di 10 milioni a testa.
Non ditemi che sono un illuso o che vivo nel mondo delle nuvole. Al contrario penso di avere i piedi ben fermi sulla terra, ma questo non mi impedisce di lasciar andare la fantasia.
Intanto 9-10 milioni sono una cifra eccezionale, ma "umana", nel senso che permette un cambio radicale nella vita di quasi tutti, ma non al punto di perdere la testa. Procediamo con ordine e cechiamo di programmare una gestione ragionata.
Capitolo casa. Consideriamo che comprarsi un appartamento come si deve costa ormai, coi fiocchi e controfiocchi, sui 3-400 mila euro. Quindi, quando ne acquisti uno per ciascun figlio e uno per la famiglia una bella fetta è già andata. In casa siamo in quattro, diciamo circa un milione. Capitolo figlie. Io ho due figlie con relativi morosi. Dovranno mettere su famiglia anche loro, prima o poi. Magari non proprio con gli spasimanti attuali (l'amore, si sa, è volubile), ma è da mettere in conto. Che si fa, gli si danno i soldi in mano e arrangiati? Roba che a poco più di vent'anni danno via di testa. No, meglio usare la prudenza e assicurare loro una rendita costante che dia sicurezza ma non consenta lussi sfrenati. Ho pensato ad una formula di investimento assicurativa che garantisca l'intangibilità del capitale e un rendimento annuo sicuro, sebbene non eccelso. Io lavoro per Poste Italiane e in azienda abbiamo proprio ciò che fa al caso nostro. Capitale garantito e rendimento certo, alla faccia di qualunque crisi economica. E' il principio della formichina piuttosto che della cicala. Vabbè, pazienza. Ma è una signora formichina.... Il che significa che 2.5 milioni a testa a ciascuna delle due figlie fruttano circa 80.000 euro all'anno sicuri. Il capitale rimane lì per usi futuri e la rendita consente una vita più che agiata. Magari li avessi io 80.000 netti all'anno..... per loro, ventenni, andranno più che bene.
Riepilogo: 1 milione per tre appartamenti + 5 milioni per il futuro delle figlie= 6 milioni. Ne rimangono 3,7.
Capitolo amici. Ognuno di noi ha una ristretta cerchia di amici a lungo coltivati e selezionati. Magari sono amicizie che si perdono negli anni oppure sono recenti. Ma in ogni caso sono amici veri, di quelli con la A maiuscola con cui c'è un legame affettivo forte, particolare e tendenzialmente esclusivo. Vogliamo dimenticarci di loro? Dopo aver sbandierato a tutti: se vinco ti regalo...... tot? Nooo. E' giunto il momento di dimostrare che non erano frasi fatte di circostanza. Un bel regalo ci vuole. Diciamo un centone a testa. Personalmente di amici con la A maiuscola ne ho due-tre, mia moglie penso un altro paio, quindi in tutto sono più o meno cinque. Altri 500.000 euro.
Riepilogo: 1 + 5 + 0,5= 6,5 milioni.
Capitolo beneficenza/aiuto. Importante, importantissimo. Dopo anni e anni vissuti con lo stipendio e con il mutuo incombente non ci si può dimenticare di tutto. La mia idea non è quella della beneficenza anonima e un po' "pelosa" di facile autoassoluzione per alleggerirsi la coscienza. Bensì quella mirata ad un obiettivo e ad un beneficiario. Quante volte si legge di qualcuno che è in crisi, ha perso il lavoro e non sa dove sbattere la testa e magari vive e dorme in macchina. Li vogliamo chiamare vittime del sistema economico, disperati o semplicemente sfortunati? Poco cambia. L'importante è che sia gente onesta e lavoratrice. E non ne faccio un problema di colore della pelle o di nazionalità. Quando uno ha bisogno disperato di un tetto o di lavorare per mangiare non valgono distinzioni di nessun tipo. I casi della vita sono tanti e spesso la sola onestà e voglia di fare non basta. Penso ad una malattia invalidante, per esempio. Di casi così ce ne sono una miriade, che a volte trovano visibilità sui giornali, ma tante troppe altre volte rimangono nel cono d'ombra dell'indifferenza generale. Ma penso anche a qualcuno, specie se giovane, che voglia avviare una propria attività. Magari gli bastano 10-15 mila euro e in banca non glieli danno neanche a supplicare. Quanti casi del genere ci sono? Tanti. Mettiamo in conto per tutto il capitolo beneficenza/aiuto un uso al bisogno difficile da quantificare a priori. Diciamo che accantono 500 mila euro per questo scopo.
Riepilogo: 1+5+0.5+0.5= 7 milioni.
Capitolo "io e mia moglie". Insomma ci siamo anche noi. Abbiamo tirato avanti la famiglia con i nostri stipendi, giorno dopo giorno. Non ci manca niente se non il superfluo o il non strettamente necessario e forse è arrivato il momento di concedercelo. Una casetta in montagna? Una specie di "buen retiro" per i prossimi anni a venire? Per me la montagna vuol dire Dolomiti, in solo un paio d'ore di auto sono tra le vette più belle del mondo. Spesa: trecentomila. Riepilogo: 1+5+0.5+0.5+0.3= 7.3 milioni
Capitolo "spese inutili, cazzate, voglie represse, viaggi, divertimenti ecc.". Moto nuova: per me Harley Davidson King Road 25 mila, sempre per me scooter per la città: Gilera a tre ruote 10 mila, per la moglie la Vespa sport che le piace tanto 5 mila; parco auto da rinnovare: Range Rover 60 mila, Toyota iQ per la città 15 mila, Fiat Cinquecento per la moglie 15 mila, Mini minor per mia figlia minore 25 mila, Golf per la maggiore 25 mila, viaggi, vacanze, capricci vari vecchi o nuovi da inventarsi (una barchetta?) e chissà che altro mi verrà in mente... Naturalmente da non dimenticare il contributo per il rilancio della mia ex squadra di rugby (ma insieme a tutti gli altri amici del superenalotto). Quanto fa in tutto? diciamo 400 mila.
Riepilogo: 1+5+0.5+0.5+0.3+0.4= 7.7 milioni.
Capitolo lavoro. Col cavolo che torno al lavoro. Un sogno nel sogno è poter sparire nel nulla non presentandosi in ufficio un bel giorno e addio. Si dice di solito che si andrebbe dal proprio capo per mandarlo affan... ma io non ho conti in sospeso con nessuno, al massimo poca stima per qualcuno, ma comunque nulla da giustificare insulti o rivalse. Con i due milioni che avanzano compro mini appartamenti, box auto, garage, locali per negozi e metto tutto a reddito in affitto. Rendita annua 150.000 euro. Sono una persona semplice ( e anche mia moglie per fortuna), una cifra così basta e avanza per vivere bene e senza problemi.

Vabbè, basta con i vaneggiamenti. Non abbiamo vinto una beata m....., ma se son rose fioriranno e se sono cachi.....

Ho giocato al superenalotto!

Sai che novità, ci gioco quasi tutte le settimane. Questa volta lo abbiamo fatto in gruppo, una vera ammucchiata che, nelle speranze di tutti i giocatori, si vorrebbe finisse in un'orgia di soldi.
Alla solita cena del mercoledi ieri sera eravamo meno del solito, visto il periodo di vacanze agostane. In internet ho cercato una smorfia on line per scegliere i numeri collegandoli a qualcosa di particolare, altrimenti si finisce sempre per giocarsi le date di nascita dei figli, per chi ce li ha. Essendo il gruppo costituito tutto da "malati" di rugby, il tema conduttore non poteva che essere il nostro amato sport. Alla fine tra uno sghignazzo e l'altro abbiamo partorito. Questa mattina sono andato a giocare il sistema nella solita tabaccheria. La tabaccaia è sbiancata in volto quando la macchinetta ha determinato l'importo della giocata. Non aveva il coraggio di ripetermi la cifra davanti agli altri clienti per la conferma della giocata e quindi me l'ha detta un numero alla volta. Mi vede spesso in bottega per giocare la schedina (o per fare rifornimento di toscani), ma mai per cifre che siano superiori a pochi euro. Per rassicurarla che non fossi improvvisamente impazzito le ho spiegato che era una giocata collettiva con gli amici...
CENTOTRENUTOMILIONICINQUECENTOMILAEURO. Inevitabile fantasticare cosa fare con tutti quei soldi. Sebbene il montepremi teorico sia da dividere fra tutti gli amici partecipanti, nel caso uscisse il fatidico 6 si tratterebbe di gestire poco meno di dieci milioni a testa.
Intanto abbiamo deciso che tutti insieme rileveremmo la nostra ex squadra di rugby in cui tutti in gioventù abbiamo giocato. Non che adesso siamo vecchi decrepiti, ma certamente non siamo più giovanotti. Per l'esattezza andiamo dai quaranta fino agli ottanta anni, anno più anno meno. Tutti abbiamo giocato a rugby e la società attualmente attraversa un periodo di crisi. La crisi economica, la recessione c'è dappertutto e quindi colpisce alnche lo sport che vive di sponsor. Niente sponsor, niente soldi. La società ce la compriamo noi e la finanziamo alla faccia della crisi e degli sponsor che non ci sono più. Ristrutturazione generale, cambio di dirigenti, campagna acquisti mirata su pochi ma buoni giocatori e il resto della squadra fatta dai giovani del vivaio. Un bel programma, vero?
Ecco chi siamo: Fulvio, Roberto, Leo (Leonardo), Angelo, Paolo R., Ivano detto àivanò, Paolino DL., Manrico, Vittorio, Fabrizio detto Barbi, Paolo Z., Gianni, Alessio, Lea (Leandro?), Sandro.
Quindici splendidi candidati al jackpot milionario. A stasera...

George Clooney, come amante una schiappa

Questo è il giudizio lapidario che ne da una sua ex fiamma. Mi sorge spontanea una domanda. Ma dall'alto di quale cattedra vengono emessi sentenze e giudizi siffatti? Esiste un dottorato in prestazioni sessuali tale da abilitare al giudizio? E se il problema non fosse George, ma la sua partner di turno? Mai venuto il benchè minimo dubbio in proposito?
Care signore/signorine che vi cimentate in giudizi spietati e disinvolti, a letto si è in due e se le cose non vanno bene o come si vorrebbe, forse una parte di responsabilità spetta anche alla partner.

Superenalotto, oppio dei popoli

Milioni e milioni di montepremi, gli italiani (compreso il sottoscritto) sognano di vincere e di risolvere i propri problemi economici per se stessi e per le prossime generazioni di discendenti. Centotrentamilioni di euro sono una cifra difficile da immaginare concretamente e ancor più difficile da gestire. Cosa farsene di tutti quei soldi? Come investirli, come usarli senza sperperarli o farseli fregare da qualcuno? Esiste un uso "intelligente" di una cifra del genere? Solo una minima parte dei giocatori e potenziali vincitori saprebbe in realtà cosa fare, ma ciò non impedisce di continuare a sognare. E si può sognare ugualmente puntando a montepremi ben più "poveri", non necessariamente ai centotrentamilioni attuali... forse che vincere solo una decina di milioni sarebbe cosa disprezzabile? Ti cambia ugualmente la vita e forse quei "pochi" milioni darebbero meno problemi di ingombro!

P.S. su come gestire una vincita milionaria ci devo pensare un po'. Poi caso mai vi dico...
P.P.S.: detto fra noi, mi andrebbe bene anche un semplice "cinque". Sono modesto, mi accontento anche di 30-40 mila euro!

Allucinante ingorgo

Ieri (1/8/09) era giornata di massimo esodo estivo. O uno dei maggiori della stagione. In autostrada sul "passante" di Mestre c'erano 30 km di coda. Allucinante. Dall'alba fino a tardo pomeriggio. Tre corsie di marcia affiancate, quindi 90 km di auto messe in fila, una dietro all'altra. Motivo: una diabolica strozzatura del flusso di marcia dei veicoli. Il nuovo passante atteso per 30 anni e costato 896 milioni di euro, concepito e costruito per evitare la strozzatura della tangenziale di Mestre-Venezia, compie un giro di 32 km attorno a Mestre e confluisce nella vecchia autostrada A4 Venezia-Trieste. In quel punto di confluenza, da tre corsie di marcia si passa a due soltanto. Un imbuto dove è inevitabile che si imbottiglino tutte le vetture dell'esodo. Ci vuole un genio a capire e prevedere in fase di progettazione che quello che ci sta in tre corsie non può starci in due? Non solo. Nei 32 km del nuovo passante non esiste neppure un'area di sosta e rifornimento, un autogrill insomma. Un budello di 32 km senza possibilità di fermarsi per rifornirsi o rinfrescarsi e senza uscite. Motivo? Il veto degli ambientalisti che ritenevano dannosa per l'ambiente la creazione anche di una sola zona di sosta.
Allucinante.

Senza ritegno

La notizia è del Gazzettino.it, versione on line del quotidiano veneto. Chi volesse leggere l'articolo può farlo cliccando sul collegamento http://www.gazzettino.it/articolo.php?id=67431&sez=NORDEST . Qui mi limito a riportare solo il titolo.

Rovigo. Sesso nel bagno del ristorante, denuncia lo stupro ma il video la incastra
20enne sorpresa dal fidanzato con 4 ragazzi. Lei denuncia la violenza ma il filmato del cellulare rivela che era consenziente
Insomma le cose sono andate così: lei si apparta in bagno con quattro amici (due alla volta) e con loro fa sesso di gruppo in maniera molto libera e disinvolta. Il fidanzato scopre tutto, ma la ragazza per giustificarsi dice di aver subito violenza. Uno dei quattro partner ha ripreso le performances amorose con il telefonino e può dimostrare che la "fidanzatina" era consenziente scagionando se stesso e gli altri. Per la ragazza una denuncia per simulazione di reato.
Lungi dal voler fare del facile moralismo, ogni ulteriore commento è superfluo, salvo la considerazione, niente affatto marginale, che senza un provvidenziale telefonino la vicenda avrebbe avuto ben altro epilogo: quattro mostri violentatori e una "povera vittima", con tutto quel che ne consegue.
Ma questa gentile signorina che non si ferma davanti a nulla e che non mostra inibizioni di sorta non meriterebbe una punizione da non dimenticare?
Un'amara riflessione. Da una parte una vera imbecille, senza scrupoli e pronta a mentire spudoratamente pur di trovare una via d'uscita da una situazione imbarazzante, dall'altra tante donne che invece subiscono davvero violenza da parte di uomini vigliacchi e senza dignità che troppo spesso riescono a farla franca. In questa società c'è qualcosa di marcio.

Un'estate anomala

Mi aspetto che succeda da un giorno all'altro. Ogni momento è buono, le task force televisive di cronisti d'assalto sono pronte e i motori sono accesi pronti a ruggire. Microfoni lucidati e telecamere ben oliate. I telegiornali in questa estate 2009 sfoderano il solito repertorio con roghi devastanti (sai che novità!), ondate di caldo africano (siamo in estate o no?), turisti stranieri truffati e spennati nei ristoranti. Unica novità, la psicosi del superenalotto multimilionario con la "gggente" che "prende d'assalto" le ricevitorie (con o senza elemetto?). Attenzione, però. Manca all'appello il top dei top di ogni luglio/agosto che si rispetti: il giallo dell'estate. Un bell'omicidio torbido e misterioso, possibilmente a sfondo sessuale, con coinvolgimento tra i sospettati di fidanzati o parenti della vittima (preferibilmente una giovane donna, carina e in procinto di sposarsi). Di quelli che necessitano di essere sviscerati e analizzati dieci volte al giorno in ogni edizione dei TG e con la solita, classica, tremenda, inevitabile domanda: "Cosa prova in questo momento"? Manca il solito esperto che ci erudisce su DNA, mancano il soliti RIS dei Carabinieri senza dei quali ormai pare impossibile svolgere un'indagine degna di questo nome...E se non arriva il classico giallo dell'estate di cosa si occuperanno Porta a porta e Matrix per tutta la prossima stagione autunno inverno?Qui si rischia seriamente di doversi occupare di temi e problemi importanti e vitali per il paese. Ma stiamo scherzando? Chi glielo dice a Vespa...?

BENVENUTI!




Benvenuti su questo blog. "C'ero una volta, io" è il mio blog e questo è il primo inserimento. Il primo in assoluto, non avendo mai avuto un blog personale prima di questo. C'è sempre una prima volta...

Perchè fare un blog? Domanda che si saranno posti tutti coloro che lo hanno fatto prima di me. Domanda che si porranno certamente quanti leggono abitualmente un blog. Me la sono posta anch'io.
La risposta, pur banale, non è facilissima. Direi, in buona sintesi, per appagare un desiderio di testimonianza e/o più semplicemente di comunicazione. Non ho la presunzione di elargire perle di saggezza o rivelare verità assolute; aprire questo blog risponde alla voglia di esprimere delle idee e delle opionini e di lasciarne una traccia. Possibilmente anche di discuterne con chi (i miei dodici lettori....) avrà la benevolenza di leggermi e intervenire con un commento. Naturalmente dall'esprimersi pubblicamente discende inevitabilmente l'obbligatorietà di sottoporsi al confronto e al giudizio degli altri. Una condizione da accettare, sperando di trovare degli interlocutori che, pur dissentendo, possano mantenere le obiezioni nell'ambito di un confronto civile, pur se vigoroso.

C'era una volta è il classico incipit delle favole di ogni tempo, quelle che impariamo a conoscere e ad amare fin da bambini. Forse un blog, di pagina in pagina, di post in post, finisce con l'essere una narrazione di una storia fatta di tanti tasselli di un mosaico complessivo. La storia a puntate di chi scrive.
Volpe56 è uno pseudonimo, nenanche tanto difficile da interpretare. Quindi questa è anche un'occasione per salutare gli amici che mi riconosceranno sotto questo alias.

Grazie a tutti coloro che vorranno concedermi la loro attenzione.