sabato 31 ottobre 2009

In che paese viviamo?

Un corpo scheletrico martoriato, due vertebre fratturate, il viso tumefatto, l'arcata sopraccigliare rossa e gonfia in modo abnorme, un occhio rientrato, la mascella fratturata, la dentatura rovinata. Così si presentava il cadavere di Stefano Cucchi, il detenuto del carcere di Regina Coeli, morto a 31 anni nel reparto per carcerati dell'Ospedale Pertini di Roma. Era stato fermato per il possesso di 20 grammi di "fumo"; di lui non si era saputo più nulla, ai suoi genitori che reclamavano informazioni non era stato più detto nulla, salvo la notizia del ricovero in ospedale e poi della sua morte. Nulla, il vuoto. Non stiamo parlando di un paio di ceffoni per dare una lezione a qualcuno. Questo è stato un vero massacro fisico. Fatto da chi? In che circostanze? Chi era Cucchi? Un ragazzo di trent'anni come tanti altri con un debole per il "fumo"? Un balordo, uno sbandato? Un delinquente abituale o un incensurato? Il re della droga o un tizio qualsiasi incappato per caso in un controllo occasionale? Qualunque sia la risposta, la domanda da porsi è: come è possibile finire la propria vita in questo modo in un paese civile con leggi, istituzioni e garanzie costituzionali intese a regolare i rapporti tra stato e cittadini, a tutela e salvaguardia dei cittadini stessi? Otto giorni di vuoto dopo un fermo di polizia e poi la fine. Perchè e come è potuto accadere?


Tutti i telegiornali, la stampa e la rete web hanno riportato le immagini agghiaccianti diffuse dalla Procura della Repubblica di Napoli nelle quali viene ripresa la scena dell'omicidio di Mariano Bacio Terracino, avvenuto nel quartiere napoletano della Sanità. Un regolamento di conti della malavita tra malavitosi della peggior specie, situazioni che a Napoli ormai sembrano non fare più notizia. Sicuramente non suscitano più reazioni tra la gente, a giudicare dalle immagini dove si vedono i passanti scavalcare e passare sopra il corpo della vittima con assoluta indifferenza. Nessuno che si avvicini al corpo per sincerarsi delle condizioni o per prestargli un primo soccorso. La gente gli passa accanto o sopra senza neppure degnarlo di uno sguardo, come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se per terra non ci fosse un uomo, ma un mucchio di stracci da evitare.
Come si può arrivare a questo punto? Che livello di assuefazione si deve raggiungere per comportarsi in questo modo? Nelle immagini riprese all'interno del bar si vede che i presenti si voltano a guardare verso l'esterno richiamati dal rumore degli spari, ma nessuno si prende la briga di prendere nemmeno in mano un telefonino e chiamare soccorsi.
Paura, non cinismo o indifferenza. Questa è l'interpretazione fornita per giustificare o comprendere un siffatto comportamento. Paura di essere coinvolti, di vedere qualcosa che si non deve vedere o che è molto meglio per tutti non vedere. Non indifferenza, non assuefazione. Solo paura. Ma anche una grande sfiducia nelle istituzioni, oltre che una gran voglia di farsi i fatti propri.
Che Italia è questa? In che paese viviamo?

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Non ho parole e faccio mie le impressioni accorate espresse da Volpe. Bisogna continuare a credere nel cambiamento e volerlo; cercare nei nostri comportamenti quotidiani di preservare la dignità, il rispetto per gli altri, onestà intellettuale e coraggio perchè sono tempi veramente oscuri quelli che stiamo vivendo.(Lunapiena)

Anonimo ha detto...

Vorrei dire che, quella non è Italia, ma verrei tacciato di razzismo e di no so quante altre infamie - però a Napoli e giù di là di cose altrettanto gravi che nel resto del paese non accadono, fioriscono a dismisura. C'è allora da chiedersi, se sia solo colpa delle istituzioni.. o se la colpa sia della gente, non tutta per carità, del buono ce ne è anche lì troppo poco per non venire sovrastato dal marcio smisurato che esiste tutto intorno. Chiediamoci allora, sarebbe accaduta una cosa del genere anche qui da noi ? Io dico di no e allora facciano qualcosa anche loro, l'Italia che li circonda, ricca di pregi e di difetti è un'altra cosa rispetto a quell' Italia. (Attila)

Unknown ha detto...

Rispondo ad Attila.
Non credo che sia una questione di razzismo, ma della constatazione di una realtà quotidiana. Con tutto il rispetto e senza voler essere offensivo o discriminante con nessuno, la realtà che si vive nel quotidiano non è la stessa in tutta Italia.
Ciò detto non mi sentirei di attribuire le colpe alla gente di Napoli o del sud in genere. Forse bisognerebbe trovarsi a vivere quotidianamente una realtà criminosa diffusa come quella napoletana per poter dire a ragion veduta che la colpa di questo stato di cose è loro e non piuttosto che i napoletani e le popolazioni meridionali in genere non siano le prime vittime di una condizione che si trascina da secoli. Rimane il fatto che vedere delle persone scavalcare con indifferenza il cadavere di un altro essere umano a cui hanno appena sparato invece di chinarsi a vedere almeno se respira ancora, è sconvolgente. E' un argomento complesso e spinoso che non può essere affrontato a dovere in una sede come questa, ma ciò non impedisce di affrontare il tema e di esprimere tutto il nostro orrore per lo stato di cose.