martedì 18 agosto 2009

Esternazione del dolore

Telegiornale della sera (uno qualsiasi, tanto sono più o meno tutti dello stesso padrone) di un paio di giorni fa. Servizio sui funerali dei cinque italiani morti nell'incidente aereo sopra Manhattan a New York. Poveretti, morire in quel modo e spazzare via due famiglie. Chissà come deve sentirsi chi ha rinunciato a salire sull'elicottero all'ultimo istante per paura di volare. Pazzesco, forse rimpiange di essere rimasta a terra, chissà.
Ma non è questo di cui voglio parlare, un incidente in vacanza è un incidente in vacanza. Punto. Bensì sull'esternazione del dolore in questo e molti altri casi analoghi. La morte è il fatto tragico per eccellenza e viene vissuto sempre con il massimo del pathos nonostante svariate confessioni religiose considerino solo un transito la vita terrena in vista di un perfezionamento possibile o probabile in una vita futura, di qualunque tipo essa sia o sarà o potrebbe essere. Dunque non una fine e non una fine di tutto, ma un momento di passaggio e di evoluzione. Ma evidentemente nel sentire comune la morte è evento ben più forte e tragico di qualsiasi dottrina religiosa dal momento che la si vive comunemente proprio come la fine di tutto.
Insomma per farla breve, nel corso dei funerali dei morti di New York ci sono stati i soliti applausi da parte dei presenti. Io non sopporto gli applausi in un funerale. Trovo che sia un non senso vergognoso (salvo talune e categoriche eccezioni). Cosa significa l'applauso in un contesto di morte e di dolore? Un applauso è l'esternazione di una gioia, è la manifestazione di un sentimento positivo, una sottolineatura eclatante, rumorosa, clamorosa, un bisogno di comunicare che il fatto o il motivo che scatena l'applauso ha una valenza di ammirazione collettiva. Non per niente l'ambito naturale di un applauso è un teatro o un auditorio e si applaude per premiare e sottolineare la bravura o la competenza di chi si è esibito o ha manifestato il proprio pensiero (spettacolo o conferenza o assise pubblica, ad esempio). Si applaude ad una manifestazione sportiva. Applaudire ad un funerale potrebbe avere un senso qualora il defunto fosse un eroe di guerra che ha perso la vita per la patria o per il bene comune; se si trattasse di un agente delle forze dell'ordine caduto per mano di un criminale, se fosse un grande uomo o una grande donna che sono stati esempio di vita e di cultura per la comunità umana (penso ad uno statista, o ad un personaggio dello spettacolo, ad un campione sportivo). Ma i cinque morti in elicottero in vacanza a New York chi sono o cosa rappresentano per meritarsi un applauso? Cosa e chi si si festeggia con quell'applauso? Si sono immolati per la comunità? Sono figure eccellenti del genere umano? Rappresentano in qualche modo degli esempi virtuosi pubblici da seguire e imitare? Eroi di guerra che hanno dato la vita per un ideale? Con tutto il rispetto, no. E sottolineo "con tutto il rispetto" per chi ha perso la vita. Nulla di tutto questo. Erano solo dei poveretti che hanno trovato la morte in vacanza come succede migliaia di volte su qualsiasi autostrada durante il periodo di vacanza. Cosa hanno di diverso da qualsiasi altra vittima della strada? Torno a chiedermi: per quale motivo l'applauso? Non c'è un motivo. Se non il fatto che ci fossero le telecamere schierate a riprendere la scena. Una claque istintiva, e sicuramente non organizzata, ma ugualmente efficace parte e chiede l'applauso come tributo alle vittime dell'incidente. Che certamente saranno state persone buone, virtuose, generose e oneste. Si sa d'altronde che sono sempre i migliori ad andarsene. La verità è che le telecamere di qualsiasi tv, anche la più insignificante ed anonima, ormai svolgono il ruolo ufficializzato di sacralizzare e ratificare qualsiasi evento. Sono l'imprimatur ecclesiale di una chiesa del pubblico dominio a discapito della sfera privata. Cosa c'è di più intimo e riservato per il dolore per la scomparsa tragica di un familiare? La telecamera celebra un rito e lo rende visibile a tutti, alla ggente (con due G), quella che fa massa, che fa opinione pubblica, che fa numero. L'ha detto la televisione... è un'osservazione che vale ad assegnare un dogma di verità e di certezza su qualunque cosa, più di quanto potrebbe fare qualunque cattedratico o esperto o scenziato o chi volete voi. L'ha detto la televisione, l'ho visto in tv. Punto.
Ma il peggio deve ancora arrivare. Le immagini mostrano e la giornalista commenta. I presenti sono schierati ad emiciclo come quando si assiste ad una rappresentazione. Una specie di linguaggio del corpo che tradisce inconsapevolmente come in quel momento la ggente assista ai funerali, ma in realtà non vi partecipi. Ad un funerale di solito ci si stringe intorno ai familiari, alla bara del defunto; è la vicinanza a simbolizzare il cordoglio. Ci si abbraccia per comunicare proprio la vicinanza, morale e fisica. Non ci si mette a guardare a debita distanza e ad applaudire come ad uno spettacolo, attori da una parte e pubblico dall'altra. Si va avanti, siamo alla scena madre. Uno dei defunti, padre e marito eccezionale e unico, aveva acquistato un anello per la moglie in occasione del loro 25.mo anniversario di matrimonio. Uno dei congiunti a conoscenza di ciò, ha ritenuto di consegnarlo comunque alla vedova (quella che si era salvata all'ultimo istante per paura di volare). Bel gesto quello del povero marito defunto, un pensiero gentile e commovente. Solo che, guarda un po', la consegna postuma del regalo non è stata fatta con riservatezza in privato con il giusto raccoglimento che merita un gesto di affetto e di amore tra marito e moglie, ma, guarda un po', la consegna è avvenuta sul piazzale della chiesa davanti a tutto il pubblico dei presenti e naturalmente in favore delle telecamere dei telegiornali. Grande momento di televisione del dolore. Applausi, applausi, applausi.

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