giovedì 27 dicembre 2012

Le donne e il femminicidio, la versione di don Corsi

E' appena passato il Natale che, comunque la si pensi in tema di religione e di fede, è per antonomasia sinonimo di buoni sentimenti universali. Ma proprio per questo motivo risulta ancor più stridente e sgradevole la vicenda del prete di La Spezia che si è scagliato contro le donne che provocano pensieri lascivi negli uomini spingendoli a praticare la violenza contro di esse. Addirittura, se così non fosse, cioè se gli uomini non dovessero essere soggiogati da tali malcelate profferte sessuali, è solo perchè sono con tutta probabilità froci. Sembrano, sembrerebbero, discorsi degni del peggior bar sport di infimo livello, invece sono considerazioni che provengono dalla mente e dalla penna di un prete. Il che rende ancor più nauseante il senso dell'assurdo ragionamento. Insomma per farla breve, è colpa di certe donne dai costumi sfacciati e provocatori se poi gli uomini rompono i freni inibitori e passano alle vie di fatto usando loro violenza a sfondo sessuale. Eccola qui, papale papale, la tesi del prete spezzino che individua in un sol colpo cause, effetti e conseguenze di un fenomeno sociale e criminale che va sotto il nome di femminicidio. Perchè sprecare tempo e risorse intellettuali scomodando illustri sociologi e psicologi, criminologi, filosofi ecc. ecc. per fotografare il triste fenomeno della violenza sulle donne? Ci pensa in un sol battito di ciglia un anonimo prete di La Spezia che spiattella, urbi et orbi, la sua verità.
"Le donne e il femminicidio, facciano sana autocritica. Quante volte provocano?"

Il testo poi prosegue così: "L'analisi del fenomeno che i soliti tromboni di giornali e tv chiamano appunto femminicidio. Una stampa fanatica e deviata attribuisce all'uomo che non accetterebbe la separazione questa spinta alla violenza. Domandiamoci: Possibile che in un sol colpo gli uomini siano impazziti? Non lo crediamo. Il nodo sta nel fatto che le donne sempre più spesso provocano, cadono nell'arroganza, si credono autosufficienti e finiscono con esasperare le tensioni. Bambini abbandonati a loro stessi, case sporche, piatti in tavola freddi e da fast food, vestiti sudici. Dunque se una famiglia finisce a ramengo e si arriva al delitto (forma di violenza da condannare e punire con fermezza) spesso le responsabilità sono condivise.
Quante volte vediamo ragazze e signore mature circolare per strada con vestiti provocanti e succinti? Quanti tradimenti si consumano sui luoghi di lavoro, nelle palestre e nei cinema? Potrebbero farne a meno. Costoro provocano gli istinti peggiori e poi si arriva alla violenza o abuso sessuale (lo ribadiamo, roba da mascalzoni). Facciano un sano esame di coscienza: forse questo ce lo siamo cercate anche noi?".

Cosa dire di fronte a questa posizione che gronda retrivo maschilismo e sfacciata misoginia a piene mani? Siamo ancora in un ambito culturale in cui all'uomo-maschio viene concessa l'attenuante della provocazione se si lascia andare a reati di violenza a sfondo sessuale. La colpa non è sua, ma della donna che lo provoca. Non è la protervia di un pensiero che che attribuisce al maschio una superioità intellettuale e genetica tale da consentirgli di decidere della vita e della morte dei suoi simili di rango inferiore. Ma, attenzione, la forma è salva e la facciata diventa rispettabile allorquando nel volantino si definisce "roba da mascalzoni" la violenza sulle donne. Non è un reato ripugnante, un crimine schifoso, è una mascalzonata. Roba da sepolcri imbiancati. Non criminali, ma mascalzoni. Bricconcelli... meritereste una bacchettata sulle mani per ogni stupro che commettete per colpa della lascivia femminile!
Nauseante.

Ma è un prete impazzito e fellone a dare di matto o il fenomeno è di più vasta portata e gravità?
La lettera/volantino di don Piero Corsi affissa alla vigilia di Natale nella bacheca della parrocchia di San Terenzio non è in realtà un fenomeno isolato nell'area ecclesiale cattolica. Già, perchè in realtà il contenuto della lettera riprendeva i contenuti, già pubblicati il 21 dicembre, sul sito online della rivista integralista cattolica Pontifex che individuava nella “provocazione delle donne” l’origine della violenza maschile. Quindi è lecito pensare che il violantino spezzino sia probabilmente solo la punta di un iceberg di ben più vasta dimensione. Il parroco naturalmente è stato richiamato aspramente dal vescovo (e vorrei vedere il contrario...) e ha ritirato la lettera (forse, non è chiaro), ma non sembra aver cambiato di una virgola le sue convinzioni. Che evidentemente sono ben radicate in un certo settore della Chiesa. Nel febbraio del 2011 l'arcivescono di Foligno, Arduino Bertoldo, colpevolizzava la donna che se cammina “in modo sensuale e provocatorio qualche responsabilità nell’evento ce l’ha, perché anche indurre in tentazione è peccato”.
Siamo nel 21° secolo, l’Onu ha condannato la violenza sulle donne come crimine e grave violazione dei diritti umani. Fiumi di inchiostro sono stati scritti sulla violenza alle donne, sono stati raccolti dati, denunciato il fenomeno, ma certa parte della Chiesa cattolica sembra tuttora pervasa da uno strisciante oscurantismo di stampo medievale che alimenta pregiudizi misogini e sessuofobici. Sul tema leggevo in questi giorni delle interessanti considerazioni che spaziano nel vasto terreno della psicanalisi alla ricerca di un perchè a questi atteggiamenti così retrivi. La tesi, molto interessante, sarebbe che il senso di tale giustificazione nella provocazione da parte delle donne andrebbe ricercata in un meccanismo di difesa da contenuti inconsci che sentiamo inaccettabili e che attribuiamo ad altri: agli alieni, al demonio, alle donne, agli immigrati, ai “neri”, agli omosessuali e talvolta purtroppo persino ai bambini o alle bambine. Insomma, non sono io, maschio degenere e scellerato, che ho una mentalità deviata e sessualmente prevaricatrice, ma è colpa loro che sono donne. Il che fa il paio con una barzelletta che sentivo girare ancora ai tempi della scuola: non sono io che sono razzista, sono loro che sono negri"! Verrebbe quasi da ridere se non ci fosse soltanto da piangere.

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