lunedì 28 gennaio 2013

Libri. Diambarne de l'ostia...!

Non tutti i bastardi sono di Vienna
di Andrea Molesini

Questo romanzo di guerra è ambientato a Refrontolo, comune in provincia di Treviso, e per la precisione a Villa Spada (esiste davvero, accanto alla chiesa del paese), nei 12 mesi dell’invasione austro-tedesca del 1917-1918 seguenti alla disfatta di Caporetto. Uno dei periodi più bui della storia d'Italia, tanto che il termine è passato in uso nel vocabolario comune per indicare una disfatta sia morale che materiale. L'esercito italiano fu travolto dai reparti austro-ungarici rinforzati anche da truppe d'elite germaniche. I nostri soldati furono fatti a pezzi e il comandante in capo Generale Cadorna non trovò di meglio che accusarli di viltà di fronte al nemico. Fulgido esempio di scaricabarile e rifiuto delle responsabilità. Il Friuli e il Veneto fino alla linea del Piave furono invasi dalle forze nemiche e i territori occupati e saccheggiati come bottino di guerra. In questo romanzo di Andrea Molesini (Premio Campiello) si intrecciano orgoglio, patriottismo, odio, amore: passioni vere, naturali e antiche che si mescolano e si scontrano tra loro sotto il dominio di truppe nemiche. La vicenda, narrata in prima persona dal giovane Paolo, si svolge pressochè interamente a Villa Spada, dimora signorile di un paesino a pochi chilometri dal Piave, nei giorni compresi tra il novembre 1917 e l'ottobre 1918: siamo nell'area geografica e nell'arco temporale della disfatta di Caporetto e della conquista austriaca. Nella villa vivono dei signori del posto: il nonno Guglielmo Spada, il capofamiglia che però lascia gestire tutto a sua moglie "nonna" Nancy, colta e ardita; la zia Maria, che tiene in pugno l'andamento della casa; lo stesso Paolo, diciassettenne, orfano, nel pieno dei furori dell'età; la giovane Giulia, procace e un po' folle, con la sua chioma fiammeggiante. E si muove in faccende la servitù: la cuoca Teresa, dura come legno di bosso e di saggezza stagionata; la figlia stolta Loretta, e il gigantesco custode Renato, da poco venuto alla villa. La storia, che il giovane Paolo racconta, inizia con l'insediamento nella grande casa del comando militare nemico. La villa viene requisita per l'alloggio degli ufficiali e per farne il quartier generale. Il paese viene saccheggiato di senza pietà. Un crudo episodio di violenza su fanciulle contadine del villaggio accende il desiderio di rivalsa. Una reazione si impone per contrastare per quanto possibile l'occupazione degli invasori. I personaggi delineano in pieno la loro personalità di fronte alla situazione. Ma su tutto domina il senso di impotenza e di umiliazione nel vedere la propria casa occupata e oltraggiata. I signori e padroni della villa diventano ospiti in casa propria: a comandare sono gli invasori e non resta che adeguarsi, almeno in apparenza. Infatti la reazione patriottica e di rivalsa orgogliosa degli occupati c'è, dapprima segreta e strisciante, per poi uscire alla luce del sole ed è quella che poi porta all'epilogo tragico della vicenda. Un conflitto dove a comandare sono amore e odio, rispetto e vittoria. E resta un senso di impotenza e di oppressione di fronte alla forza delle armi che si arroga il diritto di vita e di morte.
Per chi come me vive in Veneto, l'ambientazione di questo romanzo aggiunge un pizzico di sale alla semplice narrazione, laddove si descrivono luoghi e circostanze. Tutti veri e reali. Le più grandi battaglie della Prima Guerra mondiale si sono svolte proprio in questa terra lasciando una scia di sangue terribile, testimoniata da monumenti eretti a ricordo di quelle vittime e di quegli eroi che persero la loro giovane vita per opporsi al nemico.
Vedi anche: http://volpe56.blogspot.it/2011/05/in-moto-pd-rovereto-valli-del-pasubio.html


File:Battle of Caporetto IT.svg
Mappa dello spiegamento di forze nella battaglia di Caporetto

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Cadorna, è vero, addossava spesso e volentieri la colpa degli insuccessi alle truppe e/o agli ufficiali responsabili. I siluramenti di questi ultimi, durante il periodo bellico, si contano ad oltre 200. Tuttavia nel caso di Caporetto vi furono delle inadempienze e anche degli ordini non rispettati che facilitarono lo sfondamento austrio-tedesco. Ci fu chi si ritirò senza sparare un colpo (armata del Gen. Badoglio) che mise in crisi tutta la linea difensiva.
L'Esercito italiano non fu cmq fatto a fettine, tanto è vero che Cadorna riuscì a ricomporre la linea difensiva sul Piave. Questo sì fu un merito del generalissimo: riuscire a riorganizzare un esercito in ritirata ed allo sbando (si parla di centinaia e centinaia di migliaia di uomini che per la maggior parte erano convinti che la guerra fosse oramai persa)è stato senza dubbio, se non un miracolo, un esempio di mente assai lucida ed anche di evidenti capacità. Poi si sa che nel conflitto 15-18 la vita umana valeva 0, ma era una regola che valeva su tutti i fronti d'Europa. Quello era il modo di combattere,. e le armi non erano certo quelle dei giorni d'oggi.

Unknown ha detto...

A documentarsi un po' sul Generale Luigi Cadorna c'è da rabbrividire. Le biografie consultabili in rete parlano di una severità disumana nel tenere una ferrea disciplina tra i soldati. La decimazione (morte per fucilazione alla schiena di un soldato ogni dieci scelto in maniera assolutamente casuale!)era cosa accettata e frequente. Allucinante.
Vedi: http://cronologia.leonardo.it/biogra2/cadorna.htm

Anonimo ha detto...

Da appasionato, o meglio interessato, agli eventi bellici 14-18, nemmeno io riesco a leggere un libro sull'argomento senza inorridire. A volte faccio fatica a continuare la lettura.

Cmq è vero, tanto che qualche mese fa si parlava di "squalificare" il gen. cadorna, definito una specie di sanguinario. Gli si volevano togliere le vie a lui intitolate, le scuole, ed altro a lui dedicato. Tuttavia non si può assolutamente non tener presente che il comportamento adottato dal generalissimo, ma anche praticamente da tutti gli altri generali od alti ufficiali, era comune in tutti gli eserciti delle altre nazioni coinvolte nel conflitto (Francia, Inghilterra, Germania,...). Fosre meno dall'Austria in quando, essendo stata attaccata dall'Italia (e dalla Russia), doveva solo difendersi, quindi senza attacchi sanguinosi da parte loro. Ma proviamo a pensare come si poteva fare, con le armi di allora, andare alla conquista di una trincea difesa da reticolati, mitragliatrici, bombe a mano.... Si doveva per forza mandare un'ondata dietro l'altra e su 1000, sperare che magari 100 riuscissero ad occupare la trincea o la posizione. Allora non c'erano armi sofisticate, era l'uomo che doveva compensarle. E' ovvio che un soldato della prime ondate era quasi sicuro di andare incontro alla morte. C'era logicamente chi non lo accettava ed allora o si suicidava (e accadeva) oppure andava incontro a un probabile plotone d'esecuzione. Secondo me, ci sono stati casi di comandanti veri macellai, ma anche se non ci fossero stati, ci sarebbe stato ugualmente da inorridire, perchè diversamente non si poteva fare.
Purtroppo la guerra di quel tempo si combatteva così. I veri colpevoli sono quelli che hanno voluto entrare in quel conflitto, che volendo poteva essere evitato, almeno da parte italiana. Le guerre sono sbagliate, sempre, ma questo è il solito vecchio discorso.