domenica 13 gennaio 2013

Film visti. Cloud atlas, filosofeggiando a spasso nel tempo

Cloud atlas

Regia: Tom Tykwer, Andy Wachowski, Lana Wachowski

Con Tom Hanks, Hugo Weaving, Ben Whishaw, Halle Berry, Jim Sturgess, Susan Sarandon, Hugh Grant e altri...

[Voto: 3.5 su 5]



Cluod atlas è un film che può piacere o non piacere, annoiare o commuovere, ma certamente non lascia indifferenti. E' anche un film di difficile approccio perchè impegnativo e complicato da seguire nella trama che interseca più vicende in un arco temporale di circa cinquecento anni sviluppando molteplici rami narrativi paralleli collocati dal XIX al XXIV secolo (anni 1800-2300). Passato, presente, futuro.
Sei storie si svolgono in parallelo anche se ambientate in sei epoche diverse, come se fossero presenti in un'unica dimensione senza tempo. Il montaggio le propone alla visione dello spettatore alternate l'una all'altra senza un ordine preciso. A metà ottocento un avvocato americano si adopera contro la schiavitù, negli anni '30 un giovane compositore bisessuale viene incastrato da un famoso autore prossimo al pensionamento presso il quale lavora, a San Francisco negli anni '70 una giornalista cerca di svelare un complotto per la realizzazione di un reattore nucleare, ai giorni nostri in Inghilterra un anziano editore viene incastrato e internato in una casa di cura da cui cercherà di fuggire, nella Seul del 2144 un clone si unisce ai ribelli antigovernativi e scopre il triste destino che attende lei e le sue simili e infine nel 2321 in una Terra ridotta all'età della pietra da una non ben identificata apocalisse un uomo entra in contatto con i pochi membri di una civiltà tecnologicamente avanzata e si ribella alla sanguinaria tribù dominante. Facile comprendere perchè ho parlato di film difficoltoso e impegnativo... Il montaggio delle diverse storie infatti non è per nulla regolare e salta di storia in storia, alle volte lasciando diversi minuti ad ognuna, altre rimanendo con essa solo pochi secondi. Faticoso, ve lo garantisco.
Ma come se non bastasse, a rendere più ingarbugliata e ardua l'esposizione risulta determinante la scelta registica di utilizzare gli stessi attori per più e più ruoli. Giocoforza riveste un ruolo fondamentale il trucco con il quale gli interpreti impersonano i diversi ruoli nelle diverse epoche. Un impegno in più per lo spettatore. I titoli di coda (per chi avrà la pazienza di attardarsi in sala) rivelano anche chi siano gli interpreti di ruoli secondari col risultato che si scopre che sono sempre gli stessi dei ruoli principali. Impresa camaleontica. Ho cominciato a capirci davvero qualcosa in tutto l'intreccio di storie e situazioni solo dopo metà film (dura circa tre ore...!). Una faticaccia. La regia è affidata a un team di ben tre autori che si dividono i compiti. Tom Tykwer si occupa delle storie che si svolgono negli anni '30, '70 e nella contemporaneità, mentre i fratelli Wachowsky (ricordate la saga di Matrix?) hanno scelto le due storie future e quella che si svolge nel XIX secolo. Il risultato è una mancanza di omogeneità e un taglio differente che certamente non giovano al film. Molto più fantastici e onirici i Wachowsky, più elementare e pragmatico Tykwer.
Ma qual'è il filo conduttore che lega tutta la matassa enorme di storie e di personaggi? Incominciamo col dire che l'atmosfera è molto new age, molto metaforica e filosofeggiante. Personalmente non lo considero esattamente un pregio.... anzi il sapore che rimane a film finito è piuttosto pretenzioso. Esagerato in tutto, col risultato di essere alquanto indisponente per i miei gusti.  Nell'arco del tempo della lunga narrazione gli esseri umani di ogni epoca sono comunque sempre occupati a lottare tra di loro, ad aggredirsi e/o a difendersi. Pesce grande mangia pesce piccolo, sempre e comunque. Anche l'idea del perseguimento della libertà permea le varie storie, dal marinaio nero ridotto in schiavitù nell' America dell'800, ai cloni usati per il benessere (e non solo) degli esseri umani "geneticamente normali" nel XXIV secolo. “La nostra vita non ci appartiene. Da grembo a tomba, siamo legati agli altri", un legame indissolubile marcato registicamente dall'uso degli stessi attori che finisce per acquistare un che di trascendente. Una porta aperta su reincarnazione, metempsicosi e vita nell'aldilà (dice ad un certo punto un personaggio: "Per me la morte è una porta che si apre su un'altra porta e poi un'altra ancora...."). Tutto è connesso, recita il sottotitolo italiano. Ma così come ci viene mostrato nell'arco di cinque secoli in cui la  spietata storia di lotta e sopraffazione si ripete è facile immaginare che così sarà per sempre anche in futuro. In definitiva Cloud atlas si può leggere come il pretenzioso racconto della Storia dell'Uomo (con le lettere maiuscole!) con un'opera cinematograficamente immane che coniuga spazi e tempi diversi, tra passato, presente e futuro. Francamente un po' troppo, per i miei gusti. Ma forse (forse!) a legittimare il sospetto che sia effettivamente eccessivo come proposito, ci viene in aiuto una riflessione sul titolo stesso del film (ma anche del libro di David Mitchell). Cloud atlas, atlante delle nuvole, è un'invenzione, un artificio, un non-oggetto. Le nuvole sono per definizione l'evanescenza assoluta, impalpabili, immateriali, volubili. Un soffio di vento, una corrente ascensionale, una variazione termica e le nuvole si modificano, si spostano, si dissolvono o addirittura si trasformano in pioggia. Potranno mai essere mappate su un atlante?
P.S.:  Halle Berry è di una bellezza che riempie gli occhi....

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