venerdì 11 maggio 2012

Quella volta che...

9 maggio 1978
La morte di Aldo Moro
Non ricordo che giorno fosse quel 9 maggio. Di sicuro era un giorno infrasettimanale, perchè avevo lezione all'università. Mi sembra che fosse Diritto penale, e non ricordo nemmeno il nome dell'esimio professore che teneva la lezione. Che sia l'ingiuria del tempo che passa lento ma inesorabile a provocare questi vuoti di memoria? Sono passati 34 anni da quel giorno di maggio quando fu ritrovato il cadavere di Aldo Moro, mica pochi. Ma l'emozione di quei fatti tragici, quella no, non l'ho dimenticata.

Quei pochi brandelli di memoria rimasti mi riportano alla mente immagini di impermeabili e di ombrelli, per cui doveva essere una brutta giornata dal punto di vista meteo. Era primo pomeriggio, la lezione stava per cominciare e la bella e austera aula ad anfiteatro con i banchi in legno che scricchiolavano ad ogni minimo movimento si andava pian piano riempiendo. In attesa che passasse il solito quarto d'ora accademico ed arrivasse il professore, mi si avvicinò un altro studente con cui ogni tanto scambiavo qualche parola. Un tizio di Mestre con i baffetti e un'aria allampanata che gli davano molti più anni di quelli reali. Eravamo poco più che ventenni (erano gli anni dei jeans a zampa d'elefante...), ma qualcuno si vestiva e si atteggiava come un quarantenne o peggio. Come se questo invecchiamento precoce nei modi e nell'aspetto potesse contribuire a dare più credibilità e affidabilità ad uno studente di giurisprudenza. Ma la facoltà di Padova era famosa e apprezzata anche per quel manto di seriosità che copriva tutto e tutti. Ho già avuto modo di raccontare delle terrificanti percentuali di bocciatura del prof. Burdese (Diritto romano). Bocciature a nastro e immagine stereotipata di vecchiume erano la norma per Giurisprudenza a Padova. E se ne vantavano fieramente.

Il baffetto di Mestre viaggiava sempre in coppia con un'altra studentessa-amica (morosa?). Erano francobollati l'uno con l'altra. Era piuttosto carina, ma vestita anche lei come una quarantenne di rango, in tailleur o gonna a pieghe blù scuro e golfino di cachemire. Come la giacca e cravatta per i maschietti: divisa standard per giurisprudenza in quegli anni. Forse è per questo che non mi sono laureato. Non era il mio ambiente. Tuttavia in un posto che pullulava di neofascistelli e figli di papà, anche l'amicizia di due personaggi così democristianamente caratterizzati era apprezzabile. Per lo meno non avevano sempre quell'aria truce da "marines de noantri" degli stupidi ragazzotti con le teste rasate e gli anfibi militari ai piedi.
Il cadavere di Moro nella Renault rossa
"Lo hanno trovato" mi disse il baffetto di Mestre. Non serviva aggiungere chi o cosa. Era chiaro che si parlava di Moro. Non si parlava di altro in quei giorni. Tutti si aspettavano una fine tragica. Ma quando tutto si concluse nel peggiore dei modi, il fatto che l'epilogo fosse nell'aria non evitò lo sgomento per la notizia. In qualche modo tutti si aspettavano che finisse male, ma la concretezza di quelle immagini televisive del corpo di Moro nel bagagliaio della Renault trasformavano un'ipotesi nella peggiore realtà a cui comunque noi, gente comune, non eravamo preparati.
Arrivò il professore. Anche lui sapeva. Chiese un minuto di silenzio a tutti i presenti prima di cominciare la lezione. Tutti in piedi, con vera emozione nei cuori. Aldo Moro, la Democrazia cristiana, la maggioranza di centro sinistra dell'epoca potevano anche non piacere, si potevano anche avere idee politiche diverse, ma di fronte alla fine tragica di un uomo non si potevano fare distinguo o riserve mentali.E nessuno ne fece in quell'aula.

Fuori dalla facoltà, Padova continuava ad essere un campo di battaglia, nonostante la fine di Moro. Anzi, proprio la sua uccisione alimento altre furiose polemiche a livello politico e parallelamente avveleno ancora di più il clima di tensione di quegli anni di piombo. C'era chi considerava i brigatisti alla stregua di delinquenti o terroristi. Chi invece parlava di "compagni che sbagliano". Chi li fiancheggiava apertamente. In quegli anni in Italia si è visto di tutto e di più. Io li ho vissuti tutti quegli anni e ricordo benissimo la malsana curiosità con cui al mattino si compravano i giornali per leggere un vero e proprio bollettino di guerra con morti e feriti, battaglie a colpi di molotov e pestaggi. Internet non esisteva ancora. L'informazione viaggiava attraverso i telegiornali Rai o la radio. Che era comunque Rai, cioè di stato e ufficiale. Emanazione delle segreterie di partito che se la lottizzavano già allora a suon di veline (non quelle di Canale 5...).
Ecco perchè nacque la cosiddetta informazione alternativa, fatta da giornali spesso getiti da cooperative e da reti di radio locali. Un'alternativa all'informazione standardizzata e pilotata. Ma anche l'informazione cosiddetta "libera" in realtà rispondeva a logiche tuttaltro che reali e oggettive. Le manipolazioni e le forzature nella lettura dei fatti cambiavano semplicemente sponda politica e linguaggio, ma lo spirito aberrante di condizionamento era più o meno lo stesso. Brutti tempi quegli "anni di fuoco". Si lottava, si sparava e si uccideva in nome della democrazia e della libertà. Ma la prima vera vittima di quel bagno di sangue era proprio lei, la democrazia.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Più o meno ho la tua età e ricordo anch'io quel giorno in cui morì Moro. Mi riconosco in quello che racconti perchè il clima di quegli anni era proprio quello. Una lotta di due schieramenti con una larga fetta di gente in mezzo in balia degli eventi e della follia altrui.
La definizione "anni di piombo" è perfetta.

Michele