lunedì 1 aprile 2013

Film visti. Due simpatici fuori-di-testa


Il lato positivo (Silver Linings Playbook) 
Regia di David O. Russell.
Con Bradley Cooper, Robert De Niro, Jennifer Lawrence, Jacki Weaver, Chris Tucker
 
[Voto: 3,5 su 5]
 
 
Se si supera indenni la prima mezzora è fatta. In questo mélange di dramma e commedia alla fine trionfa la seconda, lasciando alla prima un certo non so che di insofferente, di fastidioso e di eccessivo. Colpa soprattutto dei dialoghi, spesso irritanti, così tipicamente americani (secondo l'ottica hollywoodiana) da risultare insopportabili. Tutto quel gesticolare, strillare, parlarsi uno su l'altro con concitazione. Bleah.  Ma è difficile coniugare due generi, va detto a parziale discolpa dell'autore. Bisogna essere dei maestri del cinema e non è il caso del regista David O. Russell, che tuttavia riesce alla fine a mettere insieme un film gradevole e sufficientemente coinvolgente. Ma ci riesce perché tutta la seconda metà del film è nettamente sbilanciata sul versante commedia. Ma non solo. Gran parte del merito per la riuscita complessiva del film va ascritto all'attrice protagonista Jennifer Lawrence (non a caso premiata con l'Oscar 2013) ed anche a Bradley Cooper, che tiene botta egregiamente.
Jennifer ha una presenza scenica potente e personale. Non è una bellezza da urlo come siamo abituati a vedere in molti film americani, tuttavia riesce ad essere provocante e sensuale con estrema semplicità e naturalezza, come poche altre attrici. Brava e bella. L'avevo già vista e notata in un altro film (Hunger Games) nel ruolo di una ragazzina che si batte per sopravvivere in una ipotetica civiltà di un futuro post apocalittico. Ma da allora ne ha fatta di strada e questo film testimonia il salto di qualità con la conquista addirittura dell'Oscar quale miglior attrice protagonista.
 
Jennifer Lawrence
Due parole per la vicenda. Pat è reduce da un lungo ricovero in una casa di cura per disagi mentali. Ha picchiato di brutto l'amante della moglie di cui era ed è follemente innamorato. Il suo chiodo fisso è riconquistare sua moglie e ricominciare daccapo con lei. Tiffany è la giovane vedova di un poliziotto deceduto in servizio per un incidente. Anche lei ha un evidente disagio mentale (sesso-dipendenza), acuito dalla perdita subita. Inoltre è stata appena licenziata per condotta immorale, avendo fatto sesso con tutti i suoi colleghi di lavoro.  Ben undici, e tutti insieme. Un bel tipetto, non c'è che dire. Ma è assolutamente consapevole sia di essere considerata una troia (niente paura, ultimamente il termine va molto di moda ed ha perso la sua pesante volgarità lessicale), sia di non essere assolutamente ferita dall'epiteto. In altre parole si piace così com'è e non gliene frega niente del giudizio degli altri. Sullo sfondo dei due protagonisti, dichiaratamente alle prese con problemi psichici, c'è una galassia di personaggi "normali", dove l'uso delle virgolette sta a significare che proprio tanto normali non sono.  A cominciare dal padre di Pat (De Niro), ossessionato fino alla paranoia dal football americano e dalle scommesse. Interessanti le considerazioni che, a corollario nello sviluppo della trama, il film offre su normalità e diversità.
L'espediente narrativo per sviluppare la vicenda è che Tiffany abbia la possibilità di fare da tramite tra Pat e la di lui ex moglie, col ruolo di postina. Ma per farlo pone come condizione che Pat le faccia da spalla in una gara di ballo. Una sorta di "Ballando con le stelle". In cambio lei consegnerà le sue lettere riappacificatrici alla ex moglie.
 
L'epilogo non può qui essere raccontato anche se non occorre una perspicacia particolare per immaginarlo. Ma è piacevole il come ci si arrivi, con quali meccanismi narrativi, riuscendo così a salvare tutto il film. Ed è appunto la parte in cui la commedia trionfa sul dramma, con un che di liberatorio decisamente ben riuscito e appagante per lo spettatore.
Come dire che l'happy end paga sempre...
 

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