Noi italiani abbiamo un vizio trasversale che ci accomuna tutti indistintamente, a prescindere da tutto: contestare l'operato di chi è chiamato a giudicare. Non parlo di libera critica o libere opinioni, ma di rifiuto di sottostare e quindi accettare il giudizio altrui, qualunque esso sia e da chiunque provenga. A cosa mi riferisco in particolare? Alla Mostra del Cinema di Venezia che si è conclusa sabato scorso con un verdetto a sorpresa. La giuria presieduta da Quentin Tarantino ha assegnato il Leone d'oro al film di Sofia Coppola "Somewhere", di cui avevo giustappunto scritto qualche giorno fa (
http://volpe56.blogspot.com/2010/09/da-qualche-parte.html). Le reazioni alla scelta della giuria (che decide collegialmente, non individualmente) sono state quasi furibonde da parte di una buona fetta dei critici che non hanno gradito affatto il film della Coppola. A me è piaciuto, gli ho dato un buon voto, anche se credo che non sia un film da Leone d'oro. Ma ciò non toglie che il giudizio della giuria vada rispettato. Dicono i signori critici, con un po' di puzzetta sotto il naso: in sala stampa il verdetto è stato accolto con bordate di fischi...., alla proiezione ufficiale il film è stato accolto tiepidamente... Dunque, se un film non piace a lor signori, non è accettabile e ammissibile che possa vincere perchè invece la giuria lo ha vaputato meritevole. E per sostenere i fischi sono state tirate fuori giustificazioni fantasiose in un delirio di dietrologia. Del tipo: Tarantino è un ex della Coppola e dunque lui ha voluto premiarla forse per tentare un riavvicinamento sentimentale. Roba da gossip puro e duro. Dei peggiori. Sono fioccate un sacco di frecciatine sulla scarsa avvenenza della Coppola, sul vestito poco glaour, sul sorriso stiracchiato per l'emozione al momento della premiazione... I signori critici non sono stati neppure sfiorati dall'idea che possa esservi un giudizio diverso dal loro. Apriti cielo poi sul fatto che nessuno dei film italiani in gara sia stato premiato. Sembra quasi che un premio debba essere riconosciuto per diritto di ospitalità. Salvo poi sciacquarsi la bocca quando a Cannes vince un film francese, accusando le giurie di giudizi di parte a favore del cinema di casa.
Ma in fin dei conti è quello che succede normalmente nello sport specie con gli arbitri del calcio che, si sa, è lo specchio fedele dei vizi di noi italiani. Contestare sempre, accettare mai. E se del caso, passare anche alle vie di fatto, tanto l'arbitro è cornuto per definizione ed ha sempre torto. Ma è natao prima l'uovo o la gallina? Ovvero è il calcio che copia dal sociale o è vero il contrario? In tema di sport mi corre l'obbligo e il piacere di citare ancora una volta il mio amato rugby, dove non vedrete mai un giocatore contestare una decisione arbitrale o rivolgersi a lui in modi poco civili. Casi difformi dalla regola si sono verificati nel corso degli anni, ma sono così pochi che si potrebbero contare sulle dita di una mano. E sono anche troppi.
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