Lebanon
Regia di Samuel Maoz
[voto: 3,5 su 5]
Prima Guerra del Libano, 1982. Israele occupa i territori del Libano. Un carro armato dell'esercito israeliano è impegnato in una azione di pattugliamento in appoggio ad un plotone di fanteria. Prima considerazione. Quanto è diversa la guerra combattuta e vissuta dall'interno di un carro di parecchie decine di tonnellate rispetto a quella di un soldato qualsiasi che è vestito solo della sua divisa. Talmente diversa che forse c'è anche il tempo di pensare se premere il grilletto oppure no. Con addosso solo la divisa a fare da protezione si spara e basta.
Seconda considerazione. Il tanto famoso e rinomato esercito israeliano, vanto della tecnologia bellica d'avanguardia dell'epoca, visto con l'occhio della cinepresa del regista e autore Samuel Maoz, da l'impressione di essere un grande bluff. Più che un gioiello tecnologico, il vecchio carro armato "rinoceronte" sembra (è) più un ammasso di ferraglia che una tecnologica macchina da guerra.
Terza considerazione. I giovani carristi di leva che governano il carrarmato sono quanto di più scalcinato, inadeguato, improvvisato si possa pensare in tema di soldati. Giovani, inesperti, impreparati a sostenere lo stress psico-fisico derivante dall'uccidere nemici e civili innocenti sguazzano incuranti nella loro sporcizia all'interno del carro perchè non ci fanno più caso, non hanno più cura di se stessi e del loro aspetto. Non sono pronti a uccidere, nè in realtà vogliono farlo. Il pensiero dei giovani soldati israeliani va più facilmente ai primi tiramenti adolescenziali di cui sono freschi protagonisti e/o alla mamma lasciata a casa a preoccuparsi per la loro sorte, piuttosto che a eroici e impavidi comportamenti da truci guerrieri.
Questa umanità dolente e indifesa fa da contraltare alla dura e spietata legge della guerra che regna sovrana: uccidi per non essere ucciso. Ed esitare nel premere il grilletto per paura o per pietà porta comunque a conseguenze di morte che forse spostano il mirino su altre vittime, ne salva forse qualcuna ma ne condanna delle altre. L'ineluttabilità della morte e del dolore come conseguenza primaria e inevitabile della guerra è una delle dominanti dell'intero film. Non si sfugge alla regola: guerra=morte. A rendere ancora più crudele e assurda la logica della guerra c'è l'ignoranza dei protagonisti. Che in fin dei conti non sanno esattamente perchè e contro chi combattono. Si trovano in Libano e affrontano truppe siriane. Non sanno perchè, ma sono obbligati dagli eventi e da altri uomini a sparare e uccidere, spesso nascondendosi dietro falsi pudori bigotti. Le bombe al fosforo proibite dalle convenzioni internazionali si usano ma non si nominano, i caduti amici si chiamano angeli, quelli nemici sono i grilli. La pruderie bellica svela innominabili contorsioni linguistiche per non chiamare le cose con il loro nome: morte, dolore e distruzione.
Un'ultima considerazione. Il film si chiude con il carro fermo in un campo di girasoli. La torretta si apre e dal suo ventre d'acciaio si affaccia uno dei soldati che fino a quel momento abbiamo seguito all'interno di "rinoceronte". Un ammasso di ferraglia che sembra annegare in un tranquillo mare di girasoli. Il pensiero corre a Dante e Virgilio fuori dall'Inferno: "...e quindi uscimmo a riveder le stelle". Un pio auspicio, smentito purtroppo dalla storia anche contemporanea.
Pur svolgendosi interamente all'interno di un carrarmato, il film (vincitore del Leone d'oro a Venezia 2009) è paradossalmente meno claustrofobico di quello che ci si potrebbe aspettare, il che tuttavia non allenta minimamente la tensione narrativa. Al contrario un senso di frustrazione e di rabbia assale lo spettatore nel vedere i giovani soldati essere fatti letteralmente a pezzi nella mente e nello spirito, anche se non nel corpo (sono protetti dalla corazza del carro) dalla situazione che vivono attraverso il mirino di puntamento delle armi di bordo. Ciò che i soldati israeliani vedono dall'interno del carro diventa una sorta di film nel film. Con la differenza che loro non sono spettatori, ma vittime oltre che protagonisti, sebbene appartengano alla parte dei vincitori. Ma in guerra esistono davvero vincitori e vinti?
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