domenica 13 giugno 2010

Film visti. Il segreto dei suoi occhi

Il segreto dei suoi occhi


Regia di Juan José Campanella, con Javier Godino, Pablo Rago, Ricardo Darín, Soledad Villamil.
Premio Oscar 2010 come miglior film straniero (Argentina).


[Voto: 3 su 5]


Ma quali saranno mai le qualità di questo film giudicate superiori al bellissimo Baarìa del nostro Giuseppe Salvatores, al punto da essergli preferito per l'Oscar? Il film non è male, intendiamoci. Anzi, averne di film così. Specie nella prima parte fino a quando non viene preso l'assassino della giovane moglie del bancario Morales; di lì in poi perde ritmo e asciuttezza narrativa, quasi che abbandonare lo sfondo più prettamente poliziesco facesse perdere lucidità al regista Campanella (per me sconosciuto). Guardando il film ho pensato a quanto poco so o, in genere, si sa del cinema che non sia come al solito quello americano o mittleuropeo. Esiste invece una cinematografia molto evoluta e spesso anche superiore al di fuori di questi due ambiti. In questo senso l'Oscar per il miglior film straniero è un utile strumento di conoscenza. A patto che questi film trovino un distributore per l'Italia. Cosa niente affatto scontata.
Torniamo al film per dire che la vicenda si svolge su due piani narrativi: uno negli anni '70 (circa il 1974) e uno venticinque anni dopo, quindi nel 2000 o giù di lì. I personaggi sono di continuo sbalzati da un piano all'altro supportati da un buon lavoro di trucco per invecchiarli e ringiovanirli al bisogno. La vicenda non è però vissuta con il metodo del flashback tipico (dissolvenze, bianco e nero, ecc.), bensì si passa da una situazione all'altra senza tanti fronzoli o stratagemmi formali. L'Argentina degli anni '70 era quella che si lasciava alle spalle il periodo peronista ed entrava a grandi passi in quel buco nero della democrazia e della legalità sotto il potere dei militari. Il periodo dei desaparecidos e delle contestazioni di piazza finite nel sangue e nella repressione più dura e sanguinaria ad opera delle squadracce della morte colluse e conniventi con il potere ufficiale. In questo sfondo storico e politico si innesta la vicenda di Benjiamin e Irene, due funzionari della magistratura federale argentina, che si trovano ad indagare sulla cruenta morte di una giovane donna, moglie di un mite bancario innamoratissimo della sua bella moglie. Le indagini sul delitto sono prese particolarmente a cuore da Benjiamin che si trova anche ad essere osteggiato dalla incapacità e cialtroneria delle forze di polizia rappresentate in maniera impietosa in un quadretto tipicamente sudamericano. Uno stereotipo, come se una vicenda italiana fosse ambientata tra pizza, mafia e mandolino. Ma evidentemente la realtà dei fatti, come ci viene descritta dal regista -argentino lui stesso-, non dev'essere molto difforme dallo stereotipo classico. Taccio ovviamente il finale del film, per non levare il piacere della visione a chi lo andrà a vedere. Il retrogusto che lascia nello spettatore è che alla fine in un modo o nell'altro la giustizia trionfa. Irene pronuncia ad un certo punto una frase quasi premonitrice, parlando del proprio lavoro come magistrato, che suona più o meno così: Il mio lavoro è è funzionale alla giustizia. Non so se sia la Giustizia (con la G maiuscola), ma è comunque giustizia. Ed è quanto, alla fine del film, succede.
Oltre alle vicende poliziesche e storico-politiche, si innesta nel film un piano di lettura legato alla storia sentimentale -piuttosto intrigante- che si dipana per tutti i venticinque anni della vicenda fra Benjiamin e Irene. Un amore mai dichiarato, ma chiaramente percepito da entrambi i personaggi che, sotto sotto, con garbo e tenacia, riesce a coinvolgere anche lo spettatore. Non male neanche questo aspetto del film esplicitato dal regista Campanella con sguardi e silenzi molto espressivi e grande uso di primi piani. Merita una citazione particolare il bel piano sequenza in esterni ambientato nello stadio della squadra di calcio del Racing. Bello, spettacolare ed emozionante.


Ma sul film resta, di fondo, l'interrogativo iniziale. Perchè preferirlo a Baarìa?
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