domenica 22 maggio 2011

Morire "perchè non ci si ferma mai"




La madre della bambina, all'ottavo mese di gravidanza, ha rotto il silenzio in un'atmosfera da stato d'assedio con i giornalisti e le troupe televisive che affollavano l'ospedale di Ancona. Per dire - in un'intervista - che quello che è successo a Lucio Petrizzi, il padre di Elena, "può capitare ad ognuno di noi, perché non ci si ferma mai".



Con tutto il rispetto per il dolore dei genitori della piccola Elena, tutta questa vicenda mi sembra mostruosamente agghiacciante. A cominciare dal semplice fatto in sè: la morte di una bimba, non per un incidente, non per una malattia. Per dimenticanza. Ma tutto diventa ancor più difficile da accettare leggendo le pseudo giustificazioni della mamma. Ma è vero che dimenticarsi la propria figlioletta di 22 mesi in macchina per un'intera mattinata può capitare a ognuno di noi? E' vero che può succedere perchè non ci si ferma mai? Ho il sospetto di sì, che la mamma di Elena abbia in fondo ragione, nonostante di primo acchito, istintivamente, si possa avere la sensazione che sia solo una scusa per giustificare qualcosa di mostruoso come è dimenticare la figlia in auto fino alla morte.

Il padre di Elena è un apprezzato chirurgo veterinario di Teramo. Quella mattina doveva portare la piccola all'asilo e poi recarsi al lavoro. La dimenticanza, il vuoto di attenzione e concentrazione, il buco nero della memoria, comincia già allora. Perchè la prima cosa dimenticata è quella di fermarsi all'asilo. Dopodichè ecco la seconda dimenticanza: la figlia in auto al parcheggio. Il padre di Elena quella mattina aveva evidentemente (per quel che è dato intuire) solo una cosa in testa: il lavoro. Nella scala di priorità della sua giornata, dei suoi impegni, dei suoi interessi, dele sue passioni Elena e l'asilo erano solo incidenti di percorso. Delle parentesi da intercalare all'impegno lavorativo. Lucio Petrizzi, il padre di Elena, è un uomo di successo, insegna veterinaria all'università, è quel che si dice un uomo "arrivato" in quella scala indefinita che differenzia le persone insignificanti da quelle che contano. Un uomo che "non si ferma mai", come lo definisce argutamente la sua compagna e mamma di Elena. Peccato che questa volta non si sia dimenticato semplicemente di comprare il latte tornando a casa o chiamare l'idraulico per il rubinetto che perde. Si è dimenticato di sua figlia. Che è rimasta chiusa in auto al parcheggio, sotto il sole, fino a soffocare per mancanza di aria. Coma, edema cerebrale, compromissione renale, morte.

Se avesse ragione la mamma di Elena a dire che può succedere "perché non ci si ferma mai" allora bisognerebbe che tutti prendessimo atto di quanto è successo a Teramo e la piantassimo una volta per tutte di inseguire falsi dei quale il successo, il lavoro, l'affermazione sociale. Sarebbe ora che dessimo una svolta alla nostra vita perchè almeno quella persa da Elena per dimenticanza di suo padre possa servire a a qualcosa o a qualcuno.
Ne conosco parecchie di persone che vivono in maniera caotica e febbrile, quasi fossero stati morsi da una tarantola. Io per primo.
Una volta, anni fa, anch'io vivevo in questo modo. Senza mai fermarmi, di corsa, in maniera febbrile. Appuntamenti ovunque, impegni di lavoro, rendicontazioni, programmazioni, istruzione di collaboratori. Tutto il giorno dedicato al dio-lavoro. E' come una specie di vortice tumultuoso e maledetto che, se ti afferra, ti risucchia sempre più. E farsi risucchiare è anche maledettamente gratificante, perchè ti sembra di essere nel giusto, di fare bene, ma non ti permette di porti la classica domanda: perchè. Perchè sacrificare interessi, affetti, passioni in nome del lavoro? Io mi sono trovato in quel periodo a non avere più nè tempo nè voglia di leggere un libro, di andare al cinema a vedere un buon film, di coltivare la mia vecchia passione per la fotografia. Per non parlare di cose ben più importanti come seguire da vicino la propria famiglia invece di esserne solo marginalmente sfiorato. Il dio-lavoro è un moloch dalle mille forme e dai mille tentacoli, ognuno dei quali ti porta via qualcosa. E raramente si riesce a rendersene conto. Perchè per farlo bisognerebbe fermarsi un po' e mettersi a pensare e riflettere. Troppo lusso.
Ne conosco parecchie di persone che sono avviluppate dai tentacoli del moloch. Li riconosco tra certi miei amici e nell'ambiente di lavoro. Rampanti, ambiziosi, votati alla carriera e al successo. Per un encomio del capo o un avanzamento di carriera venderebbero l'anbima al diavolo.
Io, per fortuna, posso coniugare i verbi al passato prossimo nel ripercorrere situazioni simili. Ci sono passato e ne sono fuori. Non per merito mio, per mia scelta o per mio ravvedimento. Ci ha pensato la mia salute a tirarmi fuori dal vortice. Ad un certo punto ho mollato tutto, senza possibilità di scegliere. O così ...o così. Difficile continuare a sbattersi per il lavoro prigioniero per mesi e mesi di un letto d'ospedale. A posteriori, nonostante tutto quello che ho passato sotto il punto di vista salute, devo quasi essere riconoscente a quello che mi ha riservato il destino. Si dice che "non tutto il male viene per nuocere".
Chissà che la disgraziata morte per dimenticanza della piccola Elena non possa insegnare qualcosa a qualcuno. Perchè "può capitare ad ognuno di noi, perché non ci si ferma mai".

3 commenti:

gamaximo ha detto...

Ho dibattuto recentemente questo argomento dicendo che il padre di questa bambina ha fatto veramente un grave errore che non si può scusare, perchè come detto è uno dei più gravi che possa capitare, ma si può comprendere.
Dico questo perchè ho avuto anch'io una vita impegnata e movimentata da un'attività lavorativa che mi ha attirato in un vortice dal quale, fino alla pensione, non sono riuscito a sottrarmi. Ho avuto dei momenti nei quali la mia mente era talmente assorbita dai pensieri che non sentivo, ad esempio, delle persone che mi chiamavano e quindi posso anche pensare che in uno di questi momenti mi sarebbe potuto succedere qualcosa del genere.
E' solo un'ipotesi e fortunatamente non debbo ora rivangare un'avvenimento non successo ma se fosse avvenuto mi sarei dannato per tutta la vita e la gente avrebbe detto di me che ero un padre snaturato; pochi avrebbero tentato di offrire una parvenza di comprensione per un errore capitato ad una persona che non aveva in quel momento piena consapevolezza delle sue azioni.
E' grave ma si può anche dire "semi-incapace di intendere e di volere".
E' grave ma, in particolari momenti, potrebbe succedere a parecchie persone.
Oggi, dopo qualche tempo, mi sono completamente disintossicato e prendo la vita così come si dovrebbe, con calma, facendo viaggi, dedicando tempo anche al volontariato e dannandomi ancora un pò a causa della politica e dei problemi connessi; mi rendo conto di essere fortunato ma non riesco a dispiacermene.
Un saluto

Eletta Senso ha detto...

Tutto quello che hai scritto avrei voluto scriverlo io: quando ho saputo la notizia, sul mio blog. Ho dato un'occhiata ad altri post. Condivido. Ora mi metterò tra i tuoi lettori fissi. Se vuoi dai un'occhiata a tranellidiseta.blogspot
ciao e grazie per l'acutezza delle tue riflessioni

Unknown ha detto...

Sono lusingato, ma anche sorpreso. Dopo aver dato una scorsa veloce al tuo blog ripromettendomi quanto prima una lettura più approfondita, mi sembra che siamo così diversi... Comunque grazie.