mercoledì 16 novembre 2011

"El gateo dea Morena, poareto!"

Ieri pomeriggio, verso l'imbrunire. All'orizzonte sul profilo frastagliato dei Colli Euganei splendevano i riflessi rossastri del sole al tramonto. Un'atmosfera magica. Colori accesissimi e intensi da rimpiangere di non avere con sè la macchina fotografica. Come se non bastasse, a rendere la prospettiva ancora più accattivante, una leggera bruma che sfumava i contorni dando al tutto un effetto flou naturale. Impalpabile, morbido e soffice. Uno di quegli spettacoli della natura che ti mettono in pace col mondo.

Procedo su una provinciale di campagna poco trafficata quando in mezzo alla strada scorgo una macchia scura. Quasi uno straccio buttato là. Magari, chissà, una sciarpa o dei guanti sfuggiti a qualcuno di passaggio. Mi avvicino sempre di più e mi accorgo che non si tratta di una vecchia sciarpa, ma di un gatto. Lo evito e mi fermo a lato. Mi avvicino, è un piccolo gattino a prima vista di pochi mesi. E' riverso sull'asfalto, appoggiato su un fianco. Le zampe di dietro immobili e inerti, mentre con quelle anteriori cerca di spostarsi da lì portandosi dietro un fardello che immagino dolorosissimo. Evidentemente deve essere stato travolto da una macchina o da un altro mezzo. Che non lo ha schiacciato e ucciso sul colpo, ma lo ha preso di striscio, magari cercando di evitarlo, probabilmente fratturandogli il bacino.
Deve essere successo da pochissimo. Nell'arco di questi pochi minuti il micino ha raggiunto il ciglio della strada, sull'erba verso il fosso. Proprio lì accanto c'è una casa di contadini, con il cortile, gli attrezzi agricoli, il trattore. Entro per vedere se c'è qualcuno. Magari il micino è loro, magari gli possono dare aiuto. Magari nelle vicinanze c'è un veterinario. In campagna è facile che i contadini abbiano frequenti rapporti con un veterinario. Vuoi che non ce ne sia uno nei paraggi?
Vado dentro, suono al campanello, aspetto che esca qualcuno. Dopo qualche istante si affaccia sull'uscio una signora piuttosto anziana, capelli bianchi. Faccia rubizza e incartapecorita di chi ha passato una vita al sole e all'aria aperta tutto il giorno. Spiego perchè sono lì, dico che c'è un gattino sulla strada che ha bisogno di cure. "Ah madona, el gateo de a me nevoda!" dice la vecchietta. Il gattino di mia nipote... Si fa indicare dov'è il micino, anche se il miagolio si sente da lontano nella semioscurità indicando la direzione da prendere. Nel frattempo sta calando una nebbia pesante e fredda. Densa e scura, da tagliare con il coltello. E' la prima nebbia della stagione e contrasta in maniera assurda con lo splendore del tramonto di pochi minuti prima. Lo stesso contrasto stridente del miagolio disperato del micino col silenzio assoluto e quasi pauroso della campagna. "El gateo dea Morena, poareto!", dice subito la nonna (il gattino di Morena, poverino). Morena dev'essere la nipotina.
Rientriamo in casa per prendere qualcosa per trasportare il gattino senza fargli troppo male tenendolo il più immobile possibile. Cerca e ricerca, la nonnina tira fuori un vassoio da caffè. Quelli belli di peltro che si usano per servire le tazzine di caffè o di the agli ospiti di riguardo. Lo useremo come una barella. Nel frattempo telefona a qualcuno e capisco che si tratta di un veterinario. Sarà quello che fa nascere i vitelli in stalla, andrà bene anche per un gattino. Torniamo fuori. Il silenzio è totale. Non si sente più il micino miagolare. Un silenzio che sa di morte. Ci avviciniamo al ciglio della strada. Lui è ancora lì, sull'erba, immerso nella nebbia. Ma non si muove più. Non si lamenta più. E' immobile del tutto adagiato su un fianco, ha finito di soffrire. Povero micino. Pochi mesi, neanche ha fatto in tempo a vedere cosa ci fosse oltre il fosso al di là della strada, che odori strani, che mondo misterioso..., che la sua vita era già finita. La vecchietta piange, non so se per il gattino oper come ci resterà male la sua nipotina Morena. Io saluto e me ne vado, non voglio mettermi a tirar su col naso anch'io....

Addio, piccolo gateo dea Morena, poareto.
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