domenica 16 gennaio 2011

Film visti. La vita, la morte, l'aldilà.

HEREAFTER
Regia di Clint Eastwood, con Matt Damon, Cécile De France, Bryce Dallas Howard, i fratelli McLaren.
[Voto: 4 su 5]

La vita, la morte, l'aldilà. Il triangolo perfetto, quello che riassume tutto e comprende tutto. Ciò che siamo, ciò che non siamo, ciò che (forse) saremo. Lo dice, nel film, un personaggio secondario, una scenziata ricercatrice di una clinica svizzera: questo triangolo assoluto che comprende tutto vale per tutti, sia che l'analisi e l'interpretazione siano filtrate da fede e religione, sia che l'approccio sia ateo e razionalistico. Perchè la vita e la morte sono di tutti e per tutti, senza esclusione alcuna. E' l'interrogativo arcaico che dilania l'uomo fin dalla notte dei tempi su cosa ci sia dopo la vita, che cosa sia in realtà la morte e se se ci sia qualcosa nell'aldilà, non risparmia nessuno. In ogni tempo e in ogni luogo.

Clin Eastwood approccia questi temi con il suo modo personalissimo e poetico di affrontare le cose a cui ci ha abituato in tutti questi anni di magistrale attività registica. La sua poetica è però come sempre asciutta, rigorosa, senza facili e gratuite strizzatine d'occhio al mero e becero sentimentalismo. Un grande Clint. Grazie Clint.
Tre personaggi, tre storie, tre ambientazioni individuali che partono da lontano anche geograficamente ci vengono proposte nel film. Tre punti di vista e tre esperienze diverse che in qualche modo finiranno per intersecarsi e interagire tra loro. A San Francisco c'è un giovanotto dallo sguardo sereno -Matt Damon- che fa l'operaio cercando di dimenticare la propria capacità (dono o maledizione?) di entrare in contatto con i defunti. Un sensitivo vero, non un fenomeno da baraccone o un ciarlatano da strada. A Londra c'è un bambino (il piccolo McLaren) che viene da una famiglia border line con madre tossicodipendente e alcolizzata, padre assente/sconosciuto, un fratellino gemello (il secondo McLaren) con cui vive in affettuosa simbiosi e che ad un certo punto muore per una tragica fatalità. A Parigi c'è una giovane e bella giornalista di successo - Cécile de France- che nel corso di una vacanza in oriente scampa alla morte in seguito allo tsunami del 2004 . Scampa alla morte, ma dopo essere quasi-morta per qualche minuto. Il suo ritorno alla vita non è nè facile nè indolore e provoca in lei uno sconvolgimento che da lì in poi segnerà la sua esistenza.
Tre persone agli antipodi, l'operaio-sensitivo, il bambino solo, la giornalista morta e risorta, che vivono e si interrogano ciascuno a modo suo sulla vita, cercando di viverla al meglio. ma andando inevitabilmente a sbattere addosso alla morte (la strage in metropolitana per esempio...). Un'attrazione fatale, forte e irresistibile. I due estremi che si attraggono, la vita e la morte, lasciando nel mezzo l'uomo, la donna, il bambino come in un mare in tempesta. E il fulcro di questo percorso a tre finisce per essere il sensitivo pentito Matt Damon che in qualche modo, proprio per essere depositario di strumenti che gli altri non hanno, finisce per dirimere i drammi che ciascuno di loro vive in maniera lacerante. Non dico come e non dico quando, naturalmente.
Il pregio di questo film del grande Clint è quello di non tentare nemmeno lontanamente di dare una soluzione, ma di limitarsi a raccontare una storia, anzi di tre storie. E di dare, questo sì, un messaggio forte e chiaro. L'antitesi tra vita e la morte ha un tramite che li mette in collegamento: l'amore. E' il ponte che unisce i due stati estremi. E' solo la capacità di amare dell'essere umano che può dare un senso alla vita e alla morte. Ed è anche lo strumento per vivere e morire superandone la paura atavica tipica dell'uomo.
Grande prova d'attore di Matt Damon e sfolgorante la presenza che buca lo schermo di Cécile de France, attrice belga, per me sconosciuta, ma che è un'autentica rivelazione.



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