martedì 4 gennaio 2011

Natascia

A vederla, a Natascia le si darebbero una trentina d'anni. E' piccolina di statura, proporzionata, carnagione scura, capelli neri e ricci. Nervosi, difficili da tenere a freno. Uno pensa a Natascia e si immagina una eterea nordica altissima, biondissima, occhi azzurri, carnagione chiarissima.  Invece no, è tutto il contrario. Mai lasciarsi guidare dagli sterotipi. Natascia è una donna sui generis, perchè a dispetto del nome che evoca steppe siberiane è in realtà cubana. Ma non è una di quelle cubane da copertina patinata, gambe lunghe e sinuose, con il sedere modellato al tornio altissimo da terra e seni protesi a sfidare la legge di gravità. Nulla di tutto ciò, è invece "normalmente normale", come tante altre donne mediterranee. Natascia però una caratteristica veramente singolare ce l'ha. La lascia chiaramente intuire il suo nome. E' figlia di quella miscellanea curiosa e forse irripetibile nata dall'influenza dell'ex Unione sovietica sui paesi satelliti del blocco comunista. Cuba, Fidel Castro, le basi missilistiche russe, la crisi con gli Usa negli anni 60 in piena Guerra fredda, John Kennedy, il blocco navale, la Baia dei porci. Natascia è figlia di quell'epoca ormai archiviata nei libri di storia, cubana sì, ma anche russo-sovietica, ispanica dalla pelle color cioccolato, ma con un nome di origine baltiche a suggellare quell'epoca storica.
Natascia fa la cameriera in uno dei bar vicino al mio ufficio, dove vado in pausa pranzo, per un panino, un toast o un primo veloce. Chissà perchè si dice "primo veloce", forse che esistono anche i primi lenti o quelli solo accelerati, oltre a quelli che fanno venire il bruciore di stomaco al terzo boccone e quelli che si lasciano mangiare senza problemi...? Mah.
Natascia dimostra una trentina d'anni, ma in realtà ne ha parecchi di più, quasi quarantacinque. Ma non glieli darebbe nessuno. Frutto della mescolanza genetica cubano-sovietica? Comunque sia, quando le si chiede l'età nel caso che si entri in amicizia, tutti rimangono a bocca aperta. Poi si scopre che ha anche una figlia grandicella, che parla correntemente quattro o cinque lingue, che ha girato il mondo fermandosi qualche anno qui e qualche altro là. Che adesso medita di trasferirsi in Spagna, dove non è mai stata stabilmente, ma solo fuggevolmente in viaggio. Unica remora: fare almeno terminare a sua figlia le scuole medie in Italia dove le ha cominciate. Natascia non finisce mai di sorprendere.
Qualche settimana fa, al finire dell'estate, è tornata a Cuba, come suole fare periodicamente, per ritrovare vecchi amici e i parenti. Principalmente la sua anziana mamma. Radici difficili da dimenticare, giustamente, nonostante la lontananza e la vocazione giramondo ormai pluridecennale. Prima che partisse ho azzardato timidamente una richiesta, dando per scontato che fosse pleonastica. Che mi portasse da Cuba dei sigari locali (niente roba tipo Montecristo o Cohiba, che ormai si trovano dappertutto), a patto che fossero fatti a mano artigianalmente da e per la gente del posto. E già che c'era, per completare la richiesta, anche una bottiglia di rhum, anch'essa del tipo altrettanto artigianale. Pagando il dovuto, si intende. Nell'epoca della globalizzazione dei mercati niente di più facile trovare rhum cubano nei supermercati. Ma, si sa, la produzione locale è tutta un'altra cosa. Non certo roba da turisti.
Ho osato troppo? Non avrei dovuto fare richieste così invadenti alla gentile Natascia? Forse. Ho accantonato l'idea, nella convinzione di essermi allargato troppo. Figuriamoci se si mette a fare la spesa a Cuba per i conoscenti italiani. Per giunta semi sconosciuti e sfacciati, come nel mio caso. Ma il bello doveva ancora arrivare. Dopo un paio di mesi scarsi di assenza, quando il periodo di ricongiungimento affettivo al suo paese era giunto al termine, Natascia è ritornata puntualmente a lavorare al bar e a servire piadine, insalate o primi veloci. Come prima, come al solito, per sbarcare il lunario. Salvo, qualche giorno dopo, presentarsi al tavolo con un involto in carta di giornale e un sorriso stampato in faccia. "Questo è per te", dice appoggiando il malloppo sul tavolo. Scarto l'involucro e appare uan bottiglia di rhum. Marca sconosciuta, scritte rigorosamente in spagnolo, produzione marcatamente artigianale. Non roba per turisti. Incredibile, Natascia si era ricordata della mia richiesta invadente e anche un po' maleducata di chi si approfitta di un po' di confidenza in pausa pranzo. Ed ecco il rhum arrivato sul tavolino del bar dopo un viaggio di parecchie migliaia di chilometri. "Non ti ho preso i sigari che volevi, perchè quelli che ho trovato non mi convincevano", dice quasi scusandosi. Ho preteso di pagare il costo della bottiglia come da accordi presi, per non approfittare di tanta cortesia. Pensa un po': sette dollari americani.
Natascia, simpatica piccoletta sovietico-cubana col nome che viene dal freddo, sei grande!
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