mercoledì 31 marzo 2010

Il casellante

Non solo Montalbano. Camilleri, si sa, non è solo Montalbano, sebbene i suoi successi maggiori siano figli del commissario. Infatti la vicenda non segue il filone del sequel letterario e televisivo che abbiamo imparato ad amare in questi anni. Questo libro appartiene al Camilleri narratore della sua terra e dei suoi conterranei in altre situazioni e in altre ambientazioni che non siano delle vicende poliziesche. La lingua usata per scrivere questa storia è un siciliano molto "stretto" e originale (camilleriano doc); nulla o quasi è lasciato all'italiano, contrariamente a quanto avviene nei racconti di Montalbano che sconfinano, ammiccano, accennano, ma sono sostanzialmente in lingua. E il racconto acquista una musicalità che "acchiappa" da subito, non appena si riesce a decifrarla sufficientemente, cosa perlatro niente affatto difficile. Provate a chiudere gli occhi e a immaginare che a  leggere le pagine del libro sia un siciliano vero in carne e ossa e voce. Armonia pura.
Siamo dunque in Sicilia, tra l'amata Vigata e Castelvetrano, negli ultimi anni del fascismo. Lungo la linea ferroviaria che collega i paesi della costa fare il casellante è un privilegio non da poco: una casa, il pozzo, uno stipendio sicuro e un'esistenza dignitosa, quasi privilegiata. Ma la zona, alla vigilia dello sbarco alleato che spazzerà via le già moribonde camicie nere, si va animando di un via vai di militari e i fascisti, quasi presagendo la fine imminente (gli americani sono alle porte), sono in agitazione. A Nino, "trentino, beddro picciotto" (bel giovanotto sui trent'anni) è toccato un casello stretto tra la spiaggia e la linea ferrata. Si è sposato con Minica e aspettano, finalmente, un figlio.  E qui mi fermo nella sintesi della vicenda perchè succede qualcosa che sconvolge la vita dei due coniugi e che non è il caso di svelare. Basti sapere che Minica, moglie devota di Nino, finisce suo malgrado nell'occhio del ciclone che si abbatte su di loro e sul loro piccolo mondo fino al punto di restarne gravemente e indelebilmente turbata. La vita della coppia non tornerà più come prima.

Andrea Camilleri riesce a raccontarci questa storia struggente e tragica in maniera commovente e accorata, quasi sottovoce, riuscendo a fare breccia nel cuore del lettore con delicatezza, in punta di piedi. Si insinua nei nostri cuori e ci fa amare Nino e Minica. Camilleri ci trasmette le atmosfere e le emozioni di un mondo ormai perduto, fatto di cose semplici e sentimenti forti, cadenzato dai riti della quotidianità contadina. Perduto perchè sono trascorsi più di sessant'anni dall'epoca dei fatti narrati e nulla è più come allora. In Sicilia come nel resto d'Italia. Ovviamente, ma con una punta di evidente nostalgia per i sapori di allora. Tutto è cambiato, gli italiani sono cambiati e i casellanti come Nino probabilmente non esistono nemmeno più. Al suo posto un automatismo regolato da un computer. La vicenda assume quasi i connotati di una favola e avrebbe potuto benissimo cominciare così: C'erano una volta, in un paese lontano lontano, un casellante e sua moglie...

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