Pausa pranzo. Per me è un momento di relax per staccare temporaneamente dal lavoro, mangiare qualcosa al volo e fumare un buon toscano. Forse ho già raccontato che lo faccio abitualmente ad un tavolino di un bar vicino al mio ufficio dove capita che si fermino persone di vario tipo. Altri lavoratori in pausa , ma anche molti turisti di passaggio. Oggi al tavolino accanto al mio c'era una signora, turista o comunque straniera. Almeno, credo.
Parlava sommessamente con un'altra donna, talmente a bassa voce che non riuscivo a captare nulla. Non che mi interessasse ascoltare i loro discorsi, ma capire che lingua fosse, sì. Per cui mi rimarrà questa curiosità. E non sarà la sola.
Parlava sommessamente con un'altra donna, talmente a bassa voce che non riuscivo a captare nulla. Non che mi interessasse ascoltare i loro discorsi, ma capire che lingua fosse, sì. Per cui mi rimarrà questa curiosità. E non sarà la sola.
L'amica mi dava le spalle e dunque non so nemmeno che faccia avesse, mentre l'altra era proprio di fronte a me. Sulla quarantina, aspetto dimesso, abbigliamento semplice, jeans e maglietta, una sigaretta dietro l'altra. Una persona trasparente, di quelle che si vedono ma non si notano. Almeno non subito, non al primo colpo d'occhio. Persone, uomini o donne che ci sono , ma potrebbero non esserci, non cambierebbe niente. Che brutta considerazione, che brutta espressione, me ne rendo conto. Ma è così. Non mi piace dirlo o ammetterlo, perchè inevitabilmente è facile colorare questo tipo di considerazioni con un connotato negativo o altero, ma ci sono davvero persone e situazioni di questo tipo.
Ero assorto in questi pensieri (il sigaro toscano aiuta molto la meditazione nei momenti di relax), quando all'improvviso quella signora di origine sconosciuta (a pelle avrei detto slava o dell'Europa dell'est) ha alzato lo sguardo e mi ha fissato. Probabilmente in quel momento stava pensando di me esattamente la stessa cosa. O semplicemente aveva avvertito l'aroma del toscano. Mi stava guardando, ma senza vedermi. La sua postura mostrava tutta la sua indifferenza per quanto e quanti le stavano intorno. Però i suoi occhi, il suo sguardo e il suo viso mi hanno fulminato, lì sul posto. La sua espressione, una volta avuta la possibilità di guardarla bene in viso dritta negli occhi, traspariva una infinita tristezza. Occhi chiari, piuttosto belli, tendenti al grigio con un sentore forse di verde (sorry, sono un po' daltonico), qualche ruga, capelli non curati e tirati indietro a coda di cavallo. Non un filo di trucco, ma tanta tristezza in un volto che doveva aver sofferto in un tempo non troppo lontano. Brutta, bella, carina, avvenente, insignificante? Sono le considerazioni che un occhio maschile fa per prima cosa quando incappa in una donna. E viceversa, immagino. Considerazioni normali, automatiche, istintive, senza per questo aver nulla di volgare o di maschilista. Lei non era brutta, non era bella, tantomeno non carina. Ma certamente non insignificante. Un volto invece interessante ed espressivo, questo sì e molto, tanto che mi era difficile smettere di guardarla. Un volto che richiederebbe una foto in bianco e nero e con contrasto elevato piuttosto che a colori per essere ritratto in maniera adeguata. Per fortuna che dopo quell'occhiata fugace non mi ha più guardato e dunque non si dev'essere nemmeno accorta che la guardavo a mia volta. Impegnatissima a parlottare con la sua amica.
Perchè trasmetteva tanta tristezza quel volto? Cosa aveva passato? Cosa le era successo? Che vita era la sua? Di che persone si circondava? Con chi viveva, come viveva, dove viveva? Era moglie, o madre, o compagna, o nulla di tutto questo, semplicemente era e basta? Quell'aura di tristezza scaturiva forse dalla sua solitudine? Che storia avrebbero potuto raccontare quegli occhi così espressivi? Dall'insieme non sembrava che avesse evidenti difficoltà economiche, il suo abbigliamento semplice era normale e dignitosissimo, sicuramente non eccentrico o costoso, come tante altre persone normali che si incontrano per strada. Mai vista prima in quel bar, a quei tavolini. E probabilmente mai più tornerà lì. E cosa ce l'aveva portata, proprio a quel tavolino e a quell'ora? I nostri percorsi in quel momento sono stati come una parabola sul piano delle ascisse cartesiane. Si sfiorano fino quasi a toccarsi e subito dopo si allontanano all'infinito. Ma quegli occhi tristi, quello sguardo, quell'aria dimessa e trasparente che sembrava sgorgare da dentro, dall'anima, dal cuore rimarranno un mistero...
Adieu madame.
Ero assorto in questi pensieri (il sigaro toscano aiuta molto la meditazione nei momenti di relax), quando all'improvviso quella signora di origine sconosciuta (a pelle avrei detto slava o dell'Europa dell'est) ha alzato lo sguardo e mi ha fissato. Probabilmente in quel momento stava pensando di me esattamente la stessa cosa. O semplicemente aveva avvertito l'aroma del toscano. Mi stava guardando, ma senza vedermi. La sua postura mostrava tutta la sua indifferenza per quanto e quanti le stavano intorno. Però i suoi occhi, il suo sguardo e il suo viso mi hanno fulminato, lì sul posto. La sua espressione, una volta avuta la possibilità di guardarla bene in viso dritta negli occhi, traspariva una infinita tristezza. Occhi chiari, piuttosto belli, tendenti al grigio con un sentore forse di verde (sorry, sono un po' daltonico), qualche ruga, capelli non curati e tirati indietro a coda di cavallo. Non un filo di trucco, ma tanta tristezza in un volto che doveva aver sofferto in un tempo non troppo lontano. Brutta, bella, carina, avvenente, insignificante? Sono le considerazioni che un occhio maschile fa per prima cosa quando incappa in una donna. E viceversa, immagino. Considerazioni normali, automatiche, istintive, senza per questo aver nulla di volgare o di maschilista. Lei non era brutta, non era bella, tantomeno non carina. Ma certamente non insignificante. Un volto invece interessante ed espressivo, questo sì e molto, tanto che mi era difficile smettere di guardarla. Un volto che richiederebbe una foto in bianco e nero e con contrasto elevato piuttosto che a colori per essere ritratto in maniera adeguata. Per fortuna che dopo quell'occhiata fugace non mi ha più guardato e dunque non si dev'essere nemmeno accorta che la guardavo a mia volta. Impegnatissima a parlottare con la sua amica.
Perchè trasmetteva tanta tristezza quel volto? Cosa aveva passato? Cosa le era successo? Che vita era la sua? Di che persone si circondava? Con chi viveva, come viveva, dove viveva? Era moglie, o madre, o compagna, o nulla di tutto questo, semplicemente era e basta? Quell'aura di tristezza scaturiva forse dalla sua solitudine? Che storia avrebbero potuto raccontare quegli occhi così espressivi? Dall'insieme non sembrava che avesse evidenti difficoltà economiche, il suo abbigliamento semplice era normale e dignitosissimo, sicuramente non eccentrico o costoso, come tante altre persone normali che si incontrano per strada. Mai vista prima in quel bar, a quei tavolini. E probabilmente mai più tornerà lì. E cosa ce l'aveva portata, proprio a quel tavolino e a quell'ora? I nostri percorsi in quel momento sono stati come una parabola sul piano delle ascisse cartesiane. Si sfiorano fino quasi a toccarsi e subito dopo si allontanano all'infinito. Ma quegli occhi tristi, quello sguardo, quell'aria dimessa e trasparente che sembrava sgorgare da dentro, dall'anima, dal cuore rimarranno un mistero...
Adieu madame.
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