Ivano con il "cap", il cappellino riservato a chi ha vestito la maglia della nazionale di rugby |
Questa notte Ivano Ponchia ha passato l'ultima
palla e ci ha lasciati. Gli esiti di una banale caduta in casa gli sono stati
fatali, pur se da tempo la salute di Ivano era piuttosto precaria. Una ferita
non solo per l’ambiente petrarchino, ma per tutto il rugby italiano. Ivano
infatti è stato il primo giocatore azzurro a segnare una meta a Twickenham, il
tempio del rugby inglese. Eravamo negli anni '50. Tutti noi rugbysti delle generazioni
seguenti in qualche modo gli siamo debitori.
Ivano
era una persona che non passava inosservata. Voglio qui rendergli omaggio con
alcuni brevi ricordi. Ivano era un’icona vivente di come si possa conservare un
animo gioioso da bambino pur portando –a
volte con fatica– il peso dei capelli bianchi e degli acciacchi dell'età avanzata. A dispetto
degli anni, Ivano ha sempre mantenuto un cuore leggero e aperto alla gioia di
vivere, al divertimento, alla battuta, allo scherzo. Mi ricordo, molti anni fa,
la mia prima partecipazione ad una Cena di Natale dei Petrarchi (gli Old
ex petrarchini), quando ad un certo punto fece il suo ingresso in sala un Babbo
Natale di rosso vestito, sgargiante nel contrasto dell’abito con la barba
canuta. E dietro la barba due occhi sorridenti. Quelli di Ivano, che
distribuiva caramelle a manciate, panettoni e pandori, penne e calendari. Gadget
natalizi, nulla di più. Con semplicità, con malcelato divertimento personale
nel rendersi bambino agli occhi di tutti. C'era una luce di fierezza in quel Babbo Natale. Questo è stato Ivano per me in questi
anni e sempre rimarrà così: due occhi sorridenti dentro un costume rosso fuoco da Babbo
Natale.
Mi piace ricordarlo con un brano che di Ivano dice tutto, al punto
che sembra scritta per lui, uomo amato e rugbysta apprezzato.
Ivano in versione natalizia |
Da
grande voglio fare il bambino,
per
conservare una parte che lasci sempre spazio all'entusiasmo,
che
non lo perda mai,
per
continuare a pungermi con le rose
senza
mai la paura di toccarle.
Alla
felicità ci si arriva navigando fra le nuvole
ma
senza sottovalutare la forza delle braccia,
la
forza del desiderio.
Ci
vuole allenamento.