domenica 30 ottobre 2011

Film visti. Cheyenne, il bambino che c'è in noi

 This must be the place

Regia di Paolo Sorrentino, con Sean Penn, Frances McDormand, Eve Hewson, Harry Dean Stanton

[Voto: 4 su 5]
Cheyenne (uno splendido Sean Penn), di famiglia ebrea, è una ex rockstar ormai in disarmo da oltre trent'anni. Una vita agiata regalatagli dai successi ottenuti sul palco in compagnia di mostri sacri come Mick Jagger (era lui che voleva cantare con me...); una personalità indecifrabile a metà tra la noia e la depressione.  Un uomo-bambino con una maschera che lo mette al sicuro dal confronto con la realtà adulta fatta di ombretto, rossetto e unghie laccate. Un freakkettone, si sarebbe detto un tempo. Quel tempo erano gli anni '80, quelli di David Byrne e dei grandi Talking Heads che fanno da colonna sonora portante a tutto il film, ma ai quali Cheyenne sembra essere saldamente aggrappato. Un bozzolo al cui interno il protagonista passa, proprio come un bambino, dalla ingenuità disarmante e infantile alla voglia inesauribile di conoscere, di capire. In una parola: curiosità. Come se ad un certo punto mettendo il naso fuori dal suo bozzolo protettivo si fosse reso conto di essersi perso qualcosa per strada. Ma quel qualcosa è la sua vita, la vita degli altri, di suo padre, del mondo. Cito a memoria: "C'è un momento nella vita in cui si giunge all'età in cui non si pensa più a quello che si farà, ma si fanno i conti con quello che si è fatto".  Forse il personaggio Cheyenne si potrebbe riassumere in queste poche battute: semplicemente fulminante.
L'elemento scatenante che da la svolta a tutta la vicenda è la morte di suo padre, dopo una vita trascorsa nell'indifferenza reciproca. Salvo poi convincersi che un padre non può non amare suo figlio e rimpiangere lui stesso di non avere avuto figli da poter amare. Ed è il bisogno di recuperare quel rapporto mai avuto e il suo ricordo che lo spingono a tornare in America per completare l'opera di suo padre alla ricerca di un ex gerarca nazista.
Sentendo in giro i giudizi di chi lo aveva visto, mi ero fatto l'idea del solito film lento e inconcludente. La solita pizza intellettualoide. Tutt'altro. Le due ore passano in un lampo e sono assolutamente coinvolgenti. Cheyenne riesce a calamitare l'attenzione di tutti coloro che gli vengono a tiro. Il suo modo di fare è sincero e fa breccia con tutti. Perchè nessuno dopo la prima dubbiosa occhiata riesce a diffidare di lui nonostante il suo aspetto esteriore fuori dall'ordinario. La narrazione è assolutamente coinvolgente, i personaggi sono deliziosi e tratteggiati con mano felicissima. Sorrentino mi ha letteralmemnte ammaliato, stupito e affascinato. Eppure il suo Divo (film biografico del 2008 su Giulio Andreotti) non mi aveva per niente convinto nonostante le lodi sperticate ricevute. Qui rivela invece un tratto registico geniale e coraggioso nel raccontare una storia non facile che si dipana tra Europa (Dublino) e America (quella rurale, delle pianure sterminate). Decisamente luoghi molto distanti e diversissimi tra loro, ma distanti anche dal napoletano purosangue Sorrentino. Invece il film è un gran film. Che merita di essere visto, magari avendo l'accortezza di portarsi un blocchetto notes per prendere appunti. Non sono impazzito. La sceneggiatura è ricca di battute e dialoghi/riflessioni che vale la pena annotarsi e ricordare. Sarebbe un peccato dimenticarle dopo averle gustate e apprezzate durante il film.
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1 commento:

Giggi ha detto...

Visto in lingua originale, è ancora meglio.
Per Sean Penn andrebbe istituito un premio speciale che vada ben oltre l'Oscar.