domenica 2 ottobre 2011

Film visti. Cinesi a "Ciosa"

Io sono Li
Regia di Andrea Segre. Con Zhao Tao, Rade Sherbedgia, Marco Paolini, Roberto Citran, Giuseppe Battiston.

Voto 4 su 5

Ohibò. All'improvviso il cinema italiano scopre i migranti. Se n'è accorto un tantino in ritardo, ma se n'è accorto. Può essere solo un caso che in questo periodo ben tre film in programmazione nelle sale italiane trattino del tema migranti? Certo, con varie sfaccettature e sfumature, con diverse angolazioni e sensibilità artistiche, ma pur sempre lo stesso tema: l'accettazione e l'integrazione degli immigrati in Italia. Terraferma di Crialese (candidato ufficiale italiano all'Oscar), Cose dell'altro mondo di Patierno e questo splendido Io sono Li di Andrea Segre sono i tre film a tema. Terraferma purtroppo mi è per ora sfuggito, essendo già quasi scomparso dalla circolazione sebbene Premio speciale della giuria a Venezia. Uno dei misteri dolorosi della distribuzione cinematografica italiana. Film di qualità, con importanti riconoscimenti che letteralmente spariscono o quasi dalle sale dopo pochi giorni di programmazione. Quando riescono ad arrivarci, nelle sale.... E comunque relegati a cinema di nicchia, non certo alle grandi multisala del circuito. Vabbè, questo è un altro discorso, che comunque va fatto.


Ho scoperto, vedendo Io sono Li, che in cinese mamma si dice "mama", che papà si dice "pa". Foneticamente uguale all'italiano. I cinesi, che ancor più di tanti altri immigrati sbarcati in Italia, ci sembrano così diversi, dicono mamma esattamente come noi. E' una banalità? La scoperta dell'acqua calda? Forse. Ma se qualcuno dei tanti italiani che urlano e strepitano contro i migranti giunti in Italia in cerca di una esistenza diversa si rendessero conto della uguaglianza nella diversità di queste persone, forse le cose andrebbero meglio per tutti. Per i migranti e anche per noi italiani.
In Cose dell'altro mondo gli immigrati venivano considerati principalmente sotto il profilo della forza lavoro necessaria e insostituibile per l'economia italiana. Il tenore del film era grottesco con punte di forte ironia, facendo leva sulla presenza di un istrione comico come Diego Abatantuono. In Io sono Li, invece, tutta la storia di Li è trattata con felicissima e delicata mano poetica. La poesia è inoltre uno dei fili conduttori del film, al pari dell'affettività materna che guida la giovane Li nel suo sacrificio quotidiano per permettere al figlio di raggiungerla in Italia.

Brevemente la vicenda del film. Intanto precisiamo che il film ha preso ben quindici minuti di applausi alla Mostra del Cinema dove è stato presentato e che il "Li" del titolo non è un avverbio, ma un nome proprio femminile cinese. Shun Li (il nome completo della protagonista) lavora in un laboratorio tessile della periferia romana per ottenere i documenti e riuscire a far venire in Italia suo figlio di otto anni. Una specie di riscatto/ricatto gestito dalla spietata mafia cinese che anticipa i costi del viaggio e del permesso di soggiorno per poi schiavizzare i connazionali una volta giunti in Italia. All’improvviso viene trasferita a Chioggia, la "piccola Venezia" della laguna veneta e capitale della pesca nel mare Adriatico. Lavorerà non più come operaia tessile, ma come barista in un’osteria. Ordini dei boss mafiosi. In laguna scopre un mondo diverso da quello che conosceva a Roma e che le ricorda tremendamente la sua lontana patria cinese. Li abitava in una regione vicina al mare e la sua famiglia era da generazioni composta da pescatori. Una affinità immediata e naturale con Chioggia e il Veneto. Ma anche con i ciosoti (in dialetto, gli abitanti di Ciosa, Chioggia), tradizionalmente pescatori dell'alto Adriatico. Tra i frequentatori dell'osteria e la barista Li nasce una amicizia, soprattutto con l'anziano Bepi. Anche Bepi è straniero in Italia (è di Pola, in Istria), ma è qui ormai da oltre trent'anni. Li vede in lui l'amico italiano che non disdegna di scambiare qualche parola con semplicità e senza pregiudizi, ma anche la figura del padre rimasto in Cina ad accudire il suo bambino.
Bepi e Li, i due protagonisti
A Chioggia tutti hanno un soprannome, riportato anche sui documenti ufficiali. Una tradizione secolare a cui i ciosoti tengono molto. Si da il caso che Bepi sia soprannominato Il poeta, "perchè gli vengono bene le rime". Un poeta dei poveri, ma soprattutto di buon cuore. L'amicizia con Li viene corroborata anche dalla comune passione poetica e dalla venerazione di lei per il maggiore poeta cinese, in onore del quale celebra puntualmente un rituale nella ricorrenza della sua morte (fiammelle lasciate galleggiare sull'acqua). Purtroppo la loro amicizia non è ben vista, nè da parte italiana, nè da parte cinese. Anzi da parecchio fastidio. Ognuno al suo posto, secondo un ferreo statu quo.

L'epilogo (che non dirò). La vicinanza tra i due cessa improvvisamente e drammaticamente su ordine del boss locale della mafia cinese. Un'amicizia che "non s'ha da fare" e che crea un trauma in entrambi. Li viene trasferita nuovamente (questa volta a Padova) per proseguire il suo percorso di riscatto, mentre Bepi riprende la sua vita piatta e monotona di vecchio pescatore pensionato. L'epilogo strappa copiose e calde lacrime tra gli spettatori più sensibili e dunque chi pensa di andare a vederlo si premunisca di fazzoletti. Tuttavia mai come in questo film l'emozione suscitata dal finale suona come vera e sincera, senza indulgenze sciocche e senza nulla di costruito e preconfezionato. Poesia vera, nella sua essenzialità e semplicità, che colpisce direttamente al cuore.
Ottimi gli interpreti principali (Zhao Tao nel ruolo di Li, Rade Sherbedgia in quello di Bepi) e quelli dei ciosoti di contorno (Marco Paolini, Roberto Citran, Giuseppe Battiston). Unico appunto, il linguaggio. Il film è giustamente sottotitolato, sia nei dialoghi in cinese che in quelli dialettali veneti, altrimenti incomprensibili nel resto d'Italia. Ok, il fatto balza evidente agli occhi (alle orecchie) a me che sono veneto e conosco bene i posti e le varie parlate locali, tuttavia il problema rimane comunque.
Ma è mai possibile che in un film ambientato a Chioggia con personaggi del posto si debbano sentire dialetti e parlate di ogni tipo? Veneti sì, ma non ciosoti doc o al più veneziani (sebbene tra ciosoto e venessian ci sia già una bella differenza). Possibile che in ambito cinematografico Trieste o Treviso, Chioggia o Padova siano tutti la stessa salsa? Potrà sembrare un limite di poco conto, ma se il racconto deve avere connotati e trama strettamente localizzati, perchè ciò non deve valere anche per il linguaggio usato?

Nessun commento: