Mar del Plata
di Claudio Fava
E' una storia vera, raccolta a distanza di anni da un giornalista argentino dalla viva voce dell'unico superstite della vicenda e poi riportata su libro da Claudio Fava. Il fatto che siano passati decenni dai quei tragici fatti non allenta minimamente la tensione di quei momenti. E il racconto, sebbene con qualche limite di scrittura che -ahimè- non mi ha convinto, attanaglia il lettore in un crescendo a cui è difficile sottrarsi sospendendo la lettura del libro. Che infatti si divora in un baleno. Il periodo storico è quello degli anni '70 e seguenti, in cui l'Argentina fu in mano alla giunta di militari comandata dal generale Videla. Una banda di assassini infami e vigliacchi che in nome della madre Patria da difendere dai comunisti hanno insanguinato un'intera nazione. Le cifre parlano di 30.000 morti, molti dei quali mai neppure ritrovati cadaveri. E' stato il tempo tragico dei desaparecidos e delle torture dei militari. Bastava un semplice sospetto per sparire dalla circolazione. E i più fortunati venivano eliminati con un colpo alla testa. I più disgraziati invece subivano indicibili torture.
Il protagonista si chiama Raul, è argentino ed è un giocatore di rugby. La sua squadra è il Mar del Plata, che guida la classifica. E' un manipolo di giovanissimi, in parte studenti, in parte lavoratori o dopolavoristi. Gente che unisce il sacrificio per il lavoro e lo studio con la passione per il rugby. Sport di nobili principi che in Argentina gode di notevolissimo seguito di pubblico e di tradizione. Non che possa competere con il calcio, ma certamente è uno sport molto apprezzato.
Il Mar del Plata nel giro di un campionato non esiste più. I giocatori, uno ad uno, morti, tutti, per mano dei sicari della giunta militare. Il primo a morire, colpevole di essere iscritto ad una associazione studentesca invisa ai militari, viene ricordato dai compagni con un minuto di raccoglimento all'inizio della partita di campionato. Solo che quel minuto ne durò ben dieci. I suoi compagni rugbysti lo volevano ricordare così. Un affronto per il governo. Il fatto fece scalpore e la gente, sia pure sottovoce, ne parlava. Il pubblico allo stadio aumentava ad ogni incontro; la squadra guidava il campionato e non era chiaro se il tifo fosse per i meriti sportivi della capolista o per il coraggio dimostrato nel ricordare il compagno morto. E allora i morti diventano due, poi tre, poi uno alla volta tutti furono decimati dagli aguzzini dei militari.
Lui, Raul, è l’unico sopravvissuto. Una squadra di fantasmi. Mentre l’Argentina si prepara a trasformare i campionati del mondo di calcio del 1978 nella vetrina del regime, tra la giunta militare e quei ragazzi si accende una sfida che non prevede armistizi. Uno dopo l’altro i giocatori spariscono: ma per ogni giocatore ucciso, un ragazzino del vivaio viene promosso titolare. Uniti intorno alla squadra e ai compagni uccisi, oltraggiati, torturati. Eppure avrebbero avuto la possibilità di salvarsi scappando in Francia, dove avrebbero trovato ospitalità come esuli e come rugbysti. Invece no. Il coraggio e l'orgoglio li tenne ancorati alla loro terra, al loro paese, alla loro squadra. E così, mentre il mondo celebra l’Argentina campione del mondo di calcio fingendo di non sapere cosa stia accadendo, i ragazzi del Rugby La Plata continuano a giocare, a vincere, sapendo che potrebbe essere la loro condanna a morte. E così è, infatti. Fino all'ultimo rimasto: Raul. L’ultima di campionato si porta in campo una squadra di ragazzi. Più lui, miracolato, chissà perché. Anche l'allenatore viene fatto fuori, non dopo aver subito terribili torture. Per la giunta militare, che assiste alla finale di campionato dalla tribuna con le divise tirate a lucido sul palco d’onore, sarà il campanello d'allarme dell’inizio della fine. Ma solo dopo altri anni di dittatura, di morte, di violenze.
Una storia vera, , di rugby e politica, di violenza indicibile e di amore e rispetto per se stessi, per i propri ideali di libertà. Raccontata con passione trent'anni dopo perché nessuno debba dimenticare il sacrificio di quegli innocenti.
Riflessioni personali, fatti e notizie, idee, pensieri, sogni, chiacchiere e opinioni. In un' Italia, purtroppo, sempre più alla deriva.
venerdì 30 agosto 2013
Film visti. Elysium, guardare al presente scrutando il futuro
ELYSIUM
Regia di Neill Blomkamp. Con Matt Damon, Jodie Foster.
[Voto 3,5 su 5]
La metafora fantascientifica di Elysium che si aggancia alla realtà odierna è fortissima e trasparente. La società attuale vive esattamente questo conflitto e in particolare l'Italia, per la sua collocazione geografica al centro del Mar Mediterraneo che la individua come porta dell'Occidente del benessere per tutta quella parte del mondo genericamente definita come Terzo mondo sottosviluppato o in via di espansione. E le reazioni sono quelle che ben conosciamo dalle cronache quotidiane e dai commenti e le prese di posizione dell'opinione pubblica. Ormai la diffidenza verso gli immigrati è diventata rabbia e rifiuto generalizzato con evidente matrice razzistica e xenofoba. A priori, sulla base di pregiudizi e preconcetti che sposano prima di tutto l'etnia e il colore della pelle come elementi discriminanti. Persino Papa Francesco è stato pesantemente attaccato per la sua scelta di testimoniare fratellanza e accoglienza cristiana ai migranti che approdano sull'isola di Lampedusa. Neppure la massima autorità e capo spirituale del mondo cattolico si è salvato dal vero e proprio linciaggio portato da una certa parte dell'opinione pubblica italiana.
Naturalmente il film dopo un inizio descrittivo delle differenze tra i due mondi, quello terrestre dei poveri e derelitti e quello artificiale dei ricchi ipercivilizzati, segue il suo filo logico sviluppando la parte più filmica e d'azione della trama. Con i Buoni eroici e idealisti (Matt Damon in insolita versione Rambo) che combattono i Cattivissimi e spietati detentori del potere (una luciferina Jodie Foster leader dei terrestri privilegiati). L'epilogo non è del tutto scontato e si mantiene ad alto livello di coinvolgimento per lo spettatore nel classico modulo di action movie. Mantenendo però una matrice sociologica che offre una lucida chiave di lettura sul problema evidenziato in apertura. L'integrazione e la condivisione delle risorse naturali e tecnologiche è l'unica strada per evitare il conflitto aperto tra i due mondi che si attraggono e respingono vicendevolmente. Una chiave di lettura offerta dal film che cade a pennello nella realtà attuale, italiana e non solo, ovviamente. O l'Occidente si rende conto che la chiusura e le barricate portano solo ad accentuare una spirale di odio oppure la marea enorme che spinge dal Terzo mondo avrà alla lunga la meglio col risultato di rischiare di spazzare via quello che rimane della cultura occidentale. E personalmente non vedo soluzioni alternative, credibili e praticabili alla condivisione e integrazione anche nel ristretto ambito della nostra povera Italia.
Regia di Neill Blomkamp. Con Matt Damon, Jodie Foster.
[Voto 3,5 su 5]
ELYSIUM: UN'ALLEGORIA FANTASCIENTIFICA SULL'IMMIGRAZIONE
Nel 2009 il regista Neill Blomkamp si presenta sulla
scena cinematografica con il suo primo lungometraggio (District 9) convincendo
critica e pubblico con il suo mix di originalità e innovazione nel trattare il
tema dell'invasione aliena corredato da un pungente commento sulla società. Con
Elysium, la sua seconda opera, Blompkamp continua sulla scia della fantascienza
mista a forti connotazioni sociopolitiche e presenta due mondi distinti e
separati: la Terra sovrappopolata e in rovina da una parte, Elysium dall'altra, una enorme stazione spaziale
orbitante abitata da persone estremamente ricche che si sono create un nuovo
mondo parallelo, salubre, ipertecnologico ed esclusivo. A nessuno che non
appartenga alla ristretta cerchia di cittadini autorizzati è consentito
l'accesso alla nuova Terra artificiale. Gli intrusi sono allontanati con la
forza o eliminati senza scrupoli.
La metafora fantascientifica di Elysium che si aggancia alla realtà odierna è fortissima e trasparente. La società attuale vive esattamente questo conflitto e in particolare l'Italia, per la sua collocazione geografica al centro del Mar Mediterraneo che la individua come porta dell'Occidente del benessere per tutta quella parte del mondo genericamente definita come Terzo mondo sottosviluppato o in via di espansione. E le reazioni sono quelle che ben conosciamo dalle cronache quotidiane e dai commenti e le prese di posizione dell'opinione pubblica. Ormai la diffidenza verso gli immigrati è diventata rabbia e rifiuto generalizzato con evidente matrice razzistica e xenofoba. A priori, sulla base di pregiudizi e preconcetti che sposano prima di tutto l'etnia e il colore della pelle come elementi discriminanti. Persino Papa Francesco è stato pesantemente attaccato per la sua scelta di testimoniare fratellanza e accoglienza cristiana ai migranti che approdano sull'isola di Lampedusa. Neppure la massima autorità e capo spirituale del mondo cattolico si è salvato dal vero e proprio linciaggio portato da una certa parte dell'opinione pubblica italiana.
Naturalmente il film dopo un inizio descrittivo delle differenze tra i due mondi, quello terrestre dei poveri e derelitti e quello artificiale dei ricchi ipercivilizzati, segue il suo filo logico sviluppando la parte più filmica e d'azione della trama. Con i Buoni eroici e idealisti (Matt Damon in insolita versione Rambo) che combattono i Cattivissimi e spietati detentori del potere (una luciferina Jodie Foster leader dei terrestri privilegiati). L'epilogo non è del tutto scontato e si mantiene ad alto livello di coinvolgimento per lo spettatore nel classico modulo di action movie. Mantenendo però una matrice sociologica che offre una lucida chiave di lettura sul problema evidenziato in apertura. L'integrazione e la condivisione delle risorse naturali e tecnologiche è l'unica strada per evitare il conflitto aperto tra i due mondi che si attraggono e respingono vicendevolmente. Una chiave di lettura offerta dal film che cade a pennello nella realtà attuale, italiana e non solo, ovviamente. O l'Occidente si rende conto che la chiusura e le barricate portano solo ad accentuare una spirale di odio oppure la marea enorme che spinge dal Terzo mondo avrà alla lunga la meglio col risultato di rischiare di spazzare via quello che rimane della cultura occidentale. E personalmente non vedo soluzioni alternative, credibili e praticabili alla condivisione e integrazione anche nel ristretto ambito della nostra povera Italia.
martedì 27 agosto 2013
Film visti. C'è onda e onda... (e anche surf)
DRIFT
Regia di Ben Nott, Morgan O'Neill.
Con Sam Worthington, Lesley-Ann Brandt, Xavier Samuel, Myles Pollard, Robyn Malcolm.
[Voto 2 su 5]
Locandina originale Un mercoledì da leoni |
Un consiglio. Se volete davvero rifarvi gli occhi con le evoluzioni delle tavole acquatiche accompagnando il tutto con una bella storia e bellissimi personaggi, andate a cercare il vecchio DVD di Un mercoledì da leoni del grande John Milius. Rimane insuperabile anche a distanza di decenni (è del 1978). Garantito!
Libri. Lasciate ogni speranza voi che... (leggerete Inferno)
Inferno
di Dan Brown
Inferno è il sesto romanzo dello scrittore Dan Brown, assunto alle glorie del successo mondiale con il suo celeberrimo e stravenduto Codice da Vinci. È altresì il quarto romanzo che ha per protagonista il professore Robert Langdon, irrequieto docente universitario americano di simbologia che, per inciso, è una materia che non esiste.... Il filone è quello del giallo-fantasy-storico-letterario. Insomma un minestrone dove dentro c'è posto per tutto, venghino siori venghino. Ma se il Codice da Vinci eccelleva per suspence e coinvolgimento oltre che per i contenuti talmente bislacchi da suscitare polemiche e prese di posizione ufficiali anche in campo religioso, questo ennesimo libro risulta assolutamente fiacco e approssimativo sotto molteplici punti di vista. Basta fare un giro in internet per trovare una valanga di siti che contestano sia le ambientazioni storiche che quelle geografiche messe a punto da Dan Brown che, evidentemente forte del suo successo, non va più tanto per il sottile, ben sapendo che comunque il libro sarà un successo di vendita, con o senza strafalcioni.
Nel romanzo si parla di Dante, e dunque della Divina Commedia, ovviamente di Firenze, degli Uffizi, dei Boboli, di Palazzo Vecchio; ma anche di Venezia con il suo Palazzo Ducale e la basilica di San Marco. C’è, come è naturale, il dotto e brillante professore di storia dell’arte esperto di simbologia, c’è l’immancabile e belloccia fanciulla “assistente” del prof. che fino da ultimo non si sa se lo tradisce o lo aiuta veramente, c’è l’altrettanto immancabile complotto con ricadute mondiali, la conseguente entrata in campo di una organizzazione segreta e ipertecnologizzata, modello Spectre alla 007....
C’è, infine, secondo il collaudato stereotipo di Dan Brown, l’arcano indovinello da sciogliere per giungere a salvare il mondo, con tanto di marchingegno che lo protegge. Insomma nulla di nuovo, a ben vedere, ma rielaborazioni di modelli già sfruttati e collaudati. A questo si aggiunga una pessima traduzione in italiano che fa accapponare la pelle in certi passaggi.
Eppure il libro vende e stravende. E ahimè ci sono cascato anch'io. Sotto l'ombrellone, quest'anno mi sono portato proprio l'Inferno di Brown. L'unico lato positivo del libro è che, nonostante gli strafalcioni, rimane un impagabile spot pubblicitario su Firenze e in parte anche su Venezia. Considerando che il libro è e sarà letto da milioni di persone in tutto il mondo non può che far piacere ai rispettivi uffici del turismo delle due splendide città d'arte italiane. Consoliamoci così, che è meglio.
di Dan Brown
Inferno è il sesto romanzo dello scrittore Dan Brown, assunto alle glorie del successo mondiale con il suo celeberrimo e stravenduto Codice da Vinci. È altresì il quarto romanzo che ha per protagonista il professore Robert Langdon, irrequieto docente universitario americano di simbologia che, per inciso, è una materia che non esiste.... Il filone è quello del giallo-fantasy-storico-letterario. Insomma un minestrone dove dentro c'è posto per tutto, venghino siori venghino. Ma se il Codice da Vinci eccelleva per suspence e coinvolgimento oltre che per i contenuti talmente bislacchi da suscitare polemiche e prese di posizione ufficiali anche in campo religioso, questo ennesimo libro risulta assolutamente fiacco e approssimativo sotto molteplici punti di vista. Basta fare un giro in internet per trovare una valanga di siti che contestano sia le ambientazioni storiche che quelle geografiche messe a punto da Dan Brown che, evidentemente forte del suo successo, non va più tanto per il sottile, ben sapendo che comunque il libro sarà un successo di vendita, con o senza strafalcioni.
Nel romanzo si parla di Dante, e dunque della Divina Commedia, ovviamente di Firenze, degli Uffizi, dei Boboli, di Palazzo Vecchio; ma anche di Venezia con il suo Palazzo Ducale e la basilica di San Marco. C’è, come è naturale, il dotto e brillante professore di storia dell’arte esperto di simbologia, c’è l’immancabile e belloccia fanciulla “assistente” del prof. che fino da ultimo non si sa se lo tradisce o lo aiuta veramente, c’è l’altrettanto immancabile complotto con ricadute mondiali, la conseguente entrata in campo di una organizzazione segreta e ipertecnologizzata, modello Spectre alla 007....
C’è, infine, secondo il collaudato stereotipo di Dan Brown, l’arcano indovinello da sciogliere per giungere a salvare il mondo, con tanto di marchingegno che lo protegge. Insomma nulla di nuovo, a ben vedere, ma rielaborazioni di modelli già sfruttati e collaudati. A questo si aggiunga una pessima traduzione in italiano che fa accapponare la pelle in certi passaggi.
Eppure il libro vende e stravende. E ahimè ci sono cascato anch'io. Sotto l'ombrellone, quest'anno mi sono portato proprio l'Inferno di Brown. L'unico lato positivo del libro è che, nonostante gli strafalcioni, rimane un impagabile spot pubblicitario su Firenze e in parte anche su Venezia. Considerando che il libro è e sarà letto da milioni di persone in tutto il mondo non può che far piacere ai rispettivi uffici del turismo delle due splendide città d'arte italiane. Consoliamoci così, che è meglio.
lunedì 26 agosto 2013
Libri. Il senso del dolore
Il senso del dolore
(L'inverno del commissario Ricciardi)
di Maurizio De Giovanni
Napoli, anni 30. Il grande tenore Arnaldo Vezzi viene trovato cadavere nel suo camerino al Teatro San Carlo prima della rappresentazione de "I Pagliacci", la gola squarciata da un frammento acuminato dello specchio andato in pezzi. Artista di fama mondiale, amico del Duce, osannato dall'opinione pubblica, ma in realtà uomo egoista e meschino. A ricostruire la personalità della vittima e a risolvere il caso è chiamato il commissario Luigi Alfredo Ricciardi, in forza alla Squadra Mobile della Regia Questura di Napoli.
Il commissario Ricciardi è il personaggio creato da De Giovanni al centro della sua produzione letteraria con una trilogia che lo vede protagonista. Questo poliziotto anomalo ha due caratteristiche che lo rendono tale: fa il piedipiatti per scelta, discendendo da famiglia ricca e conosciuta. Avrebbe potuto scegliere altre strade, compresa quella di vivere di rendita. Invece no. Il suo non è un lavoro in senso stretto, ma una specie di missione/passione. E poi ci sono i morti. Lui li vede ovunque, così come fossero stati immortalati in uno scatto fotografico in punto di morte. Cristallizzati nel loro dolore estremo, nel loro ultimo gesto, nelle loro ultime parole. Spesso strazianti, spesso disperate. Ma anche a volte attonite, sorprese. Perché la morte può arrivare all'improvviso, quando meno la si aspetta. Anzi spesso è la norma. Questa veggenza tormenta il commissario Ricciardi, lo inquieta, non gli da pace. Si sente in qualche modo chiamato a fare il poliziotto anche per dare pace a quei morti agli angoli delle strade che lo invocano e che solo lui può vedere. Una responsabilità enorme.
Il caso ha voluto che, per assoluta coincidenza, proprio qualche giorno prima di leggere questo libro, fossi stato a Napoli per una brevissima visita turistica. Un pomeriggio, nulla di più. Inevitabile la passeggiata nei luoghi classici della città: Mergellina, Piazza del Plebiscito, via Chiaia, il Teatro San Carlo, la Galleria Umberto. Ma anche il Caffè Gambrinus in Piazza Trieste e Trento. Prendere poi in mano il libro e ritrovare proprio quei luoghi meravigliosi visitati poche ore prima è stata una sorpresa non da poco. Immaginare il commissario Ricciardi camminare col bavero del cappotto alzato sul lungomare sferzato dal vento di tramontana o rintanarsi nel Caffè Gambrinus al suo solito tavolino che guarda sul lato di via Chiaia è stato facilissimo e coinvolgente. Davvero un bel caso fortuito che ha reso più appassionante la lettura, per rivivere l'atmosfera magica di quei luoghi.
Maurizio De Giovanni è un grande scrittore. Riesce a dare alla storia e ai personaggi uno spessore inusitato, che va ben oltre la semplice descrizione narrativa. Tutta l'atmosfera del racconto poliziesca è permeata di una sorta di realtà palpabile. In una parola, verità. La storia tutta ha un sapore vero, come anche i personaggi, le circostanze, i luoghi. Il rapporto con il reale e la sua percezione è una delle sfide di De Giovanni/Ricciardi. Cito a proposito lo stesso commissario Ricciardi: "La verità non è quella che sembra, a volte. Anzi non lo è quasi mai. E' un po' come la strana luce di questi lampioni, illumina una volta qua ed una volta là. Mai tutto insieme. Allora lo si deve immaginare, quello che non si vede. Lo si deve intuire da una parola detta o non detta, un'orma, un'impronta. Una nota, a volte."
Grande.
...........................
5/9/2013 Aggiornamento del post:
Un'attenta lettrice (che ringrazio) mi fa notare un errore da me commesso nel citare la bibliografia di Maurizio De Giovanni. Non di una trilogia dedicata al commissario Ricciardi si tratta, ma (finora) di una produzione ben più vasta.
Il ciclo si compone fino ad ora dei seguenti libri:
(L'inverno del commissario Ricciardi)
di Maurizio De Giovanni
Napoli, anni 30. Il grande tenore Arnaldo Vezzi viene trovato cadavere nel suo camerino al Teatro San Carlo prima della rappresentazione de "I Pagliacci", la gola squarciata da un frammento acuminato dello specchio andato in pezzi. Artista di fama mondiale, amico del Duce, osannato dall'opinione pubblica, ma in realtà uomo egoista e meschino. A ricostruire la personalità della vittima e a risolvere il caso è chiamato il commissario Luigi Alfredo Ricciardi, in forza alla Squadra Mobile della Regia Questura di Napoli.
Il commissario Ricciardi è il personaggio creato da De Giovanni al centro della sua produzione letteraria con una trilogia che lo vede protagonista. Questo poliziotto anomalo ha due caratteristiche che lo rendono tale: fa il piedipiatti per scelta, discendendo da famiglia ricca e conosciuta. Avrebbe potuto scegliere altre strade, compresa quella di vivere di rendita. Invece no. Il suo non è un lavoro in senso stretto, ma una specie di missione/passione. E poi ci sono i morti. Lui li vede ovunque, così come fossero stati immortalati in uno scatto fotografico in punto di morte. Cristallizzati nel loro dolore estremo, nel loro ultimo gesto, nelle loro ultime parole. Spesso strazianti, spesso disperate. Ma anche a volte attonite, sorprese. Perché la morte può arrivare all'improvviso, quando meno la si aspetta. Anzi spesso è la norma. Questa veggenza tormenta il commissario Ricciardi, lo inquieta, non gli da pace. Si sente in qualche modo chiamato a fare il poliziotto anche per dare pace a quei morti agli angoli delle strade che lo invocano e che solo lui può vedere. Una responsabilità enorme.
Il caso ha voluto che, per assoluta coincidenza, proprio qualche giorno prima di leggere questo libro, fossi stato a Napoli per una brevissima visita turistica. Un pomeriggio, nulla di più. Inevitabile la passeggiata nei luoghi classici della città: Mergellina, Piazza del Plebiscito, via Chiaia, il Teatro San Carlo, la Galleria Umberto. Ma anche il Caffè Gambrinus in Piazza Trieste e Trento. Prendere poi in mano il libro e ritrovare proprio quei luoghi meravigliosi visitati poche ore prima è stata una sorpresa non da poco. Immaginare il commissario Ricciardi camminare col bavero del cappotto alzato sul lungomare sferzato dal vento di tramontana o rintanarsi nel Caffè Gambrinus al suo solito tavolino che guarda sul lato di via Chiaia è stato facilissimo e coinvolgente. Davvero un bel caso fortuito che ha reso più appassionante la lettura, per rivivere l'atmosfera magica di quei luoghi.
Maurizio De Giovanni è un grande scrittore. Riesce a dare alla storia e ai personaggi uno spessore inusitato, che va ben oltre la semplice descrizione narrativa. Tutta l'atmosfera del racconto poliziesca è permeata di una sorta di realtà palpabile. In una parola, verità. La storia tutta ha un sapore vero, come anche i personaggi, le circostanze, i luoghi. Il rapporto con il reale e la sua percezione è una delle sfide di De Giovanni/Ricciardi. Cito a proposito lo stesso commissario Ricciardi: "La verità non è quella che sembra, a volte. Anzi non lo è quasi mai. E' un po' come la strana luce di questi lampioni, illumina una volta qua ed una volta là. Mai tutto insieme. Allora lo si deve immaginare, quello che non si vede. Lo si deve intuire da una parola detta o non detta, un'orma, un'impronta. Una nota, a volte."
Grande.
...........................
5/9/2013 Aggiornamento del post:
Un'attenta lettrice (che ringrazio) mi fa notare un errore da me commesso nel citare la bibliografia di Maurizio De Giovanni. Non di una trilogia dedicata al commissario Ricciardi si tratta, ma (finora) di una produzione ben più vasta.
Il ciclo si compone fino ad ora dei seguenti libri:
- Le lacrime del pagliaccio, Graus, 2006.
- Il senso del dolore. L'inverno del commissario Ricciardi, Fandango Libri, Einaudi Edizioni, 2007.
- La condanna del sangue. La primavera del commissario Ricciardi, Fandango Libri, 2009.
- Il posto di ognuno. L'estate del commissario Ricciardi, Fandango Libri, 2009.
- Il giorno dei morti. L'autunno del commissario Ricciardi, Fandango Libri, 2010.
- Per mano mia. Il Natale del commissario Ricciardi, Einaudi, 2011.
- L'omicidio Carosino. Le prime indagini del commissario Ricciardi, Cento Autori, 2012.
- Vipera. Nessuna resurrezione per il commissario Ricciardi, Einaudi, 2012.
Libri. Pedra Delicado, l'ossimoro vivente
di Alicia Giménez-Bartlett
Alicia Giménez-Bartlett ha scelto, fin dall'attribuzione del nome del personaggio (Pedra Delicado, un vero ossimoro!), di creare una figura femminile di poliziotta ambigua, a due facce, duplice e ambivalente. Sul piano umano una donna sensibile, colta e facile all'innamoramento (ma anche il contrario, con tre matrimoni alle spalle...); sul piano professionale, una vera e propria dura. Una piedipiatti con tutti i crismi che punta diritta al bersaglio e non molla la presa se non a enigma risolto. Non è una poliziotta d'azione, quanto piuttosto una investigatrice, un'analista di fatti e di indizi, di caratteri umani, di circostanze, di situazioni. Un lavoro di fino, piuttosto che di quantità. A quello ci pensano gli altri, i personaggi di contorno che pure hanno un gran peso nell'economia strutturale della serie. C'è il fido vice ispettore Fermin Garzon (una vera spalla comica che fa da contraltare alla rude ispettrice Delicado) e le due assistenti Yolanda e Sonia, che entrano in gioco per la bassa manovalanza. La vera mente investigativa però è lei, Petra, brillante quarantenne di bell'aspetto, plurimaritata e pluridivorziata, che non disdegna una fresca birretta a qualunque ora del giorno come potrebbe fare il grande Maigret.
Ma, lo dico chiaramente, a me Petra non sta per nulla simpatica. Il personaggio è troppo caratterizzato secondo un cliché di donna moderna e aggressiva. Tratta con sufficienza e alterigia i suoi collaboratori, salvo quando ritiene di voler assumere atteggiamenti camerateschi. Sempre pronta a far valere i gradi gerarchici, ad alzare la voce e a maltrattare quel povero diavolo del vice ispettore Garzon. Il quale a sua volta, giustamente, non perde occasione per stuzzicarla e provocarla. Per non parlare delle sue relazioni affettive. Con tre mariti in archivio ha il suo bel da fare anche con uno stuolo di figli acquisiti con le famiglie allargate. Ma sempre con quel pizzico di supponenza indisponente. Opinione mia personalissima, ovviamente, ma bisogna dire che si tratta comunque di un quadretto contrastato molto ben studiato ed anche efficace, bisogna riconoscerlo. A tutto onore di Alicia Giménez-Bartlett che si è conquistata un posto d'onore nel panorama della letteratura poliziesca, non solo europea.
In questo episodio -Gli onori di casa- la vicenda si sposta anche in Italia, essendo coinvolto nelle indagini della polizia di Barcellona anche un killer della camorra napoletana in trasferta. Una volta tanto ci vengono risparmiate le solite caratterizzazioni "all'italiana" sia di malviventi che di poliziotti, mantenendo tutto su un piano di sobrietà. Per inciso, la Polizia italiana ci fa anche una discreta figura, il che non guasta affatto, una volta tanto.
Una considerazione sul libro in oggetto. Le indagini vertono sulla riapertura di un caso già chiuso di omicidio. Colpevoli individuati e condanne scontate. Tuttavia qualcosa che non quadra c'è ancora ed è per questo motivo che indagini supplementari vengono affidate all'ispettore Delicado e al suo team. Tra Spagna e Italia la vicenda si rivela abbastanza complessa avendo a che fare con reati valutari e traffici internazionali di riciclaggio di denaro sporco. Ma da sottotraccia rimane l'omicidio originale, quello di un ricco imprenditore, assassinato durante un "convegno amoroso" con una giovane prostituta. L'epilogo e relativo colpo di scena, che ovviamente non rivelerò, mi ha rimandato all'ultimo romanzo di Andrea Camilleri, Un covo di vipere, per analogie rilevanti relative all'ambiente familiare nel quale si sviluppa la storia. Sia il maestro Camilleri che l'iberica Giménez-Bartlett, hanno scelto di scavare a fondo l'ambiente più segreto della famiglia, la cellula base della nostra società (sia essa italiana che spagnola). Come dire che al di là dei grandi delitti anche con rilevanza internazionale, il male e le sue radici sono lì vicino a noi, dove forse non ci aspettiamo di trovarle (o non vorremmo trovarle...).
Alicia Giménez-Bartlett ha scelto, fin dall'attribuzione del nome del personaggio (Pedra Delicado, un vero ossimoro!), di creare una figura femminile di poliziotta ambigua, a due facce, duplice e ambivalente. Sul piano umano una donna sensibile, colta e facile all'innamoramento (ma anche il contrario, con tre matrimoni alle spalle...); sul piano professionale, una vera e propria dura. Una piedipiatti con tutti i crismi che punta diritta al bersaglio e non molla la presa se non a enigma risolto. Non è una poliziotta d'azione, quanto piuttosto una investigatrice, un'analista di fatti e di indizi, di caratteri umani, di circostanze, di situazioni. Un lavoro di fino, piuttosto che di quantità. A quello ci pensano gli altri, i personaggi di contorno che pure hanno un gran peso nell'economia strutturale della serie. C'è il fido vice ispettore Fermin Garzon (una vera spalla comica che fa da contraltare alla rude ispettrice Delicado) e le due assistenti Yolanda e Sonia, che entrano in gioco per la bassa manovalanza. La vera mente investigativa però è lei, Petra, brillante quarantenne di bell'aspetto, plurimaritata e pluridivorziata, che non disdegna una fresca birretta a qualunque ora del giorno come potrebbe fare il grande Maigret.
Ma, lo dico chiaramente, a me Petra non sta per nulla simpatica. Il personaggio è troppo caratterizzato secondo un cliché di donna moderna e aggressiva. Tratta con sufficienza e alterigia i suoi collaboratori, salvo quando ritiene di voler assumere atteggiamenti camerateschi. Sempre pronta a far valere i gradi gerarchici, ad alzare la voce e a maltrattare quel povero diavolo del vice ispettore Garzon. Il quale a sua volta, giustamente, non perde occasione per stuzzicarla e provocarla. Per non parlare delle sue relazioni affettive. Con tre mariti in archivio ha il suo bel da fare anche con uno stuolo di figli acquisiti con le famiglie allargate. Ma sempre con quel pizzico di supponenza indisponente. Opinione mia personalissima, ovviamente, ma bisogna dire che si tratta comunque di un quadretto contrastato molto ben studiato ed anche efficace, bisogna riconoscerlo. A tutto onore di Alicia Giménez-Bartlett che si è conquistata un posto d'onore nel panorama della letteratura poliziesca, non solo europea.
In questo episodio -Gli onori di casa- la vicenda si sposta anche in Italia, essendo coinvolto nelle indagini della polizia di Barcellona anche un killer della camorra napoletana in trasferta. Una volta tanto ci vengono risparmiate le solite caratterizzazioni "all'italiana" sia di malviventi che di poliziotti, mantenendo tutto su un piano di sobrietà. Per inciso, la Polizia italiana ci fa anche una discreta figura, il che non guasta affatto, una volta tanto.
Una considerazione sul libro in oggetto. Le indagini vertono sulla riapertura di un caso già chiuso di omicidio. Colpevoli individuati e condanne scontate. Tuttavia qualcosa che non quadra c'è ancora ed è per questo motivo che indagini supplementari vengono affidate all'ispettore Delicado e al suo team. Tra Spagna e Italia la vicenda si rivela abbastanza complessa avendo a che fare con reati valutari e traffici internazionali di riciclaggio di denaro sporco. Ma da sottotraccia rimane l'omicidio originale, quello di un ricco imprenditore, assassinato durante un "convegno amoroso" con una giovane prostituta. L'epilogo e relativo colpo di scena, che ovviamente non rivelerò, mi ha rimandato all'ultimo romanzo di Andrea Camilleri, Un covo di vipere, per analogie rilevanti relative all'ambiente familiare nel quale si sviluppa la storia. Sia il maestro Camilleri che l'iberica Giménez-Bartlett, hanno scelto di scavare a fondo l'ambiente più segreto della famiglia, la cellula base della nostra società (sia essa italiana che spagnola). Come dire che al di là dei grandi delitti anche con rilevanza internazionale, il male e le sue radici sono lì vicino a noi, dove forse non ci aspettiamo di trovarle (o non vorremmo trovarle...).
domenica 25 agosto 2013
Film visti. Wolverine, (im)mortalmente noioso...
THE WOLVERINE: L’IMMORTALE
Eroi dei fumetti tradotti e adattati per il cinema. Operazione di gran moda in questi anni. Può andare bene una volta o due. Poi basta. Questo ennesimo Wolverine appartiene alla saga dei semi umani modificati che acquisiscono capacità e poteri particolari. In questo caso artigli d'acciaio (anzi di più: adamantio ) retrattili. Ah, dimenticavo. Wolverine oltre ad avere gli artigli è anche immortale. Gli si può sparare, lo si può accoltellare o cannoneggiare che lui non si fa un graffio. Anche se stavolta qualche problemino in più del solito lo impensierisce non poco...
Il film è ispirato al celebre fumetto della Marvel in cui Logan (Hugh Jackman), il mutante conosciuto nel mondo come Wolverine, arriva in un Giappone che non ha visto dall’epoca della seconda guerra mondiale e che ora presenta un panorama pieno di yakuza e samurai. In fuga assieme a una bellissima e misteriosa ereditiera, dovendosi confrontare per la prima volta con la sua mortalità, arriverà al limite, sia fisicamente che psicologicamente, come non era capitato nella sua vita.
Insomma, in periodo estivo, parlando di cinema, la sintesi è sempre la stessa. Ovvero: se proprio siete appassionati di fumetti e non c'è niente di meglio al cinema....
Regia: James Mangold. Con: Hugh Jackman
[Voto 2 su 5]
Eroi dei fumetti tradotti e adattati per il cinema. Operazione di gran moda in questi anni. Può andare bene una volta o due. Poi basta. Questo ennesimo Wolverine appartiene alla saga dei semi umani modificati che acquisiscono capacità e poteri particolari. In questo caso artigli d'acciaio (anzi di più: adamantio ) retrattili. Ah, dimenticavo. Wolverine oltre ad avere gli artigli è anche immortale. Gli si può sparare, lo si può accoltellare o cannoneggiare che lui non si fa un graffio. Anche se stavolta qualche problemino in più del solito lo impensierisce non poco...
Il film è ispirato al celebre fumetto della Marvel in cui Logan (Hugh Jackman), il mutante conosciuto nel mondo come Wolverine, arriva in un Giappone che non ha visto dall’epoca della seconda guerra mondiale e che ora presenta un panorama pieno di yakuza e samurai. In fuga assieme a una bellissima e misteriosa ereditiera, dovendosi confrontare per la prima volta con la sua mortalità, arriverà al limite, sia fisicamente che psicologicamente, come non era capitato nella sua vita.
Insomma, in periodo estivo, parlando di cinema, la sintesi è sempre la stessa. Ovvero: se proprio siete appassionati di fumetti e non c'è niente di meglio al cinema....
Film visti. A me gli occhi!
Now You See Me - I maghi del crimine
Regia di Louis Leterrier. Con Jesse Eisenberg, Mark Ruffalo, Woody Harrelson, Mélanie Laurent, Isla Fisher.
[Voto 2,5 su 5]
Che dire di questo film? Del frequentatissimo genere "non passerà alla storia", rimane comunque un buon passatempo estivo in mancanza di meglio da vedere al cinema. E' comunque brillante, divertente, in qualche modo appassionante, beffardo, inconcludente, raffazzonato, intrigante, interpretato con mestiere.... Può bastare?
venerdì 23 agosto 2013
Film visti. Libero sfogo alla violenza dal tramonto all'alba?
LA NOTTE DEL GIUDIZIO
Regia di James DeMonaco. Con Lena Headey, Ethan Hawke.
[Voto 3 su 5]
Combattere la violenza che assilla e condiziona la società contemporanea attraverso una regolamentazione che ne consente il libero sfogo in tempi e modi controllati? Questa è la tesi da cui muove questo film non a caso giunto sugli schermi in periodo estivo, quando notoriamente si va meno per il sottile con la qualità della proposta. In questo caso, tuttavia, il film si rivela meno peggio del previsto, giustificando quindi il voto 3 benevolmente concesso.
Stati Uniti, 2022. La situazione socio-economica è ottimale, con un indice di disoccupazione ai minimi storici e una criminalità quasi azzerata. C'è però un prezzo da pagare per questa pace sociale: una notte all'anno è lasciato libero sfogo agli istinti violenti e tutto è permesso, qualunque crimine. Senza che nessuna istituzione intervenga, né a limitare nè a punire. Perciò, quelli che possono si asserragliano dentro case perfettamente protette ed equipaggiate, aspettando che passi. Già, perché il giorno dopo si contano le vittime, si ripuliscono le strade del sangue versato e si ricomincia daccapo in una società scintillante e assolutamente politically corretta. Amici come prima; felici e contenti.
Senonchè succede che proprio ad un commerciante di sistemi di sicurezza andati a ruba per blindare le abitazioni in vista della notte di fuoco, le cose vadano male. Perché è proprio la sua abitazione (una sorta di legge del contrappasso) che viene presa di mira da una banda di rispettabili cittadini desiderosi di sfogarsi con una caccia all'uomo divertente e liberatoria, oltreché legale. Una vittima designata che è nera, sporca e sudata come si conviene al personaggio sacrificale. Ma non solo. Proprio all'interno della sua armoniosa famiglia accade che ci sia qualcuno che vuole fargliela pagare a colpi di pistola. E' il fidanzatino della figlia che non accetta la diffidenza del futuro suocero nei suoi confronti. Le prime avvisaglie di una nottata non esattamente tranquilla dunque partono dal seno del nucleo base della società: la famiglia. Ovvero, mai dare nulla per scontato...
Si aggiungono poi i vicini di casa, fino all'imbrunire amiconi e affettuosi come si conviene al cliché del buon vicinato, ma nella notte dei fuochi pronti a fare a pezzi il venditore di sistemi di sicurezza per invidia del suo successo commerciale.
Insomma una macelleria legalizzata alla fine della quale tutto dovrebbe ricominciare con un colpo di spugna sul sangue versato. Possibile? Secondo psicologi e sociologi (vera lobby dominante nella società americana) sì. Secondo buon senso e una robusta dose di sano realismo mica tanto. Infatti........
Il senso di marcio che rimane in bocca alla fine del film è che alla base di tutto ci sia comunque una lotta tra ricchi e poveri. I primi asserragliati nelle loro dimore ultra sicure, ben protetti nella loro bambagia di modi per bene e di buon vicinato. Con un occhio al fatturato e con l'altro ai figli da allevare secondo uno stile di vita blindato. I secondi a fare da vittime designate da cacciare per dare da sfogo agli istinti bestiali più violenti e sanguinari dei primi. Il tutto con il benestare delle regine delle scienze moderne che regolano i rapporti umani: psicologia e sociologia. Naturalmente interpretate a senso unico.
Film visti. Red 2 (nulla oltre il trailer)
RED 2
Regia di Dean Parisot. Con Catherine Zeta-Jones, Bruce Willis, John Malkovich, Helen Mirren.
[Voto 2 su 5]
L'ex agente speciale CIA Frank Moses riunisce la sua improbabile squadra di agenti segreti in una ricerca a livello globale, tra Parigi, Londra e Mosca, per rintracciare un congegno nucleare portatile scomparso. Per riuscire nell'impresa, gli agenti dovranno sopravvivere ad un esercito di implacabili assassini, spietati terroristi e incontrollati ufficiali governativi, desiderosi di accaparrarsi quest'arma di ultima generazione.
Il genere è la classica spy story internazionale in salsa paradossale. Per non prendersi sul serio senza rinunciare a sparatorie e inseguimenti. Ma si può tranquillamente rinunciare alla visione del film intero, perché risulta noioso e prevedibile. Le cose più succose e divertenti sono già tutte condensate nel trailer (quello sì, davvero bello). Visto quello, visto tutto.
Regia di Dean Parisot. Con Catherine Zeta-Jones, Bruce Willis, John Malkovich, Helen Mirren.
[Voto 2 su 5]
L'ex agente speciale CIA Frank Moses riunisce la sua improbabile squadra di agenti segreti in una ricerca a livello globale, tra Parigi, Londra e Mosca, per rintracciare un congegno nucleare portatile scomparso. Per riuscire nell'impresa, gli agenti dovranno sopravvivere ad un esercito di implacabili assassini, spietati terroristi e incontrollati ufficiali governativi, desiderosi di accaparrarsi quest'arma di ultima generazione.
Il genere è la classica spy story internazionale in salsa paradossale. Per non prendersi sul serio senza rinunciare a sparatorie e inseguimenti. Ma si può tranquillamente rinunciare alla visione del film intero, perché risulta noioso e prevedibile. Le cose più succose e divertenti sono già tutte condensate nel trailer (quello sì, davvero bello). Visto quello, visto tutto.
mercoledì 14 agosto 2013
In moto. Longarone, Passo Falzarego, Tofane, lago di Alleghe
Percorso: Padova-A4 e A27- Longarone-SS51-Cortina d'Ampezzo-SS48-Passo Falzarego-SR203-Alleghe-Belluno-A27 e A4-Padova. Totale 410 km.
Ecco un altro percorso dolomitico che si presta per godersi la moto unendo un indispensabile tratto autostradale come tappa di trasferimento, ai tornanti stretti e tortuosi in alta quota che fanno la felicità degli appassionati delle due ruote. Si arriva fino ai 2105 metri di Passo Falzarego, sotto il Lagazuoi, con la splendida vista della Tofana di Rozes (oltre 3200 m.) a sovrastare tutto il paesaggio. Dalla sommità del passo è possibile prendere la funivia che porta al rifugio Lagazuoi, occasione imperdibile per chi volesse gettare lo sguardo su una delle meraviglie della natura che offrono le Dolomiti: il gruppo delle Cinque Torri (a dirla tutta esiste anche la possibilità di percorrere un sentiero e di scarpinare per alcune ore per raggiungere il rifugio; ma dubito fortemente che questa possibilità interessi chi è nel bel mezzo di un giro in moto). Il complesso è formato da cinque speroni di roccia (da cui deriva il nome) con
un'altitudine massima di 2.361 m. s.l.m. (Torre
Grande). Ogni "torre" ha un proprio nome:
Per quanto riguarda le Tofane, uno dei simboli per antonomasia di Cortina contraddistinte dal tipico colore rosaceo della dolomia, sono forse il massiccio più maestoso tra tutte le montagne che si
affacciano sulla conca ampezzana. Si estendono sul versante occidentale della
valle, tra il Passo Falzarego e la Val di
Fanes, in direzione nord-sud, e conta tre vette principali, tutte con quota
superiore ai 3.000 metri:
Si riprende il percorso scendendo fino ai 1000 metri del lago di Alleghe che si allarga sotto lo sguardo severo del Civetta (3218 metri). Raccomando di passare da Colle Santa Lucia perché questo piccolo paesino di poche anime offre una terrazza panoramica con vista sulle Dolomiti senza eguali. Non ci sono parole per descrivere la bellezza del paesaggio. La temperatura si alza rapidamente e con essa anche il paesaggio che da aspro e roccioso torna ad essere verde e lussureggiante, tra boschi e prati. La riposante tranquillità del lago è a dire il vero alquanto sonnolenta, ma nei dintorni (Cencenighe) ci sono ottime gelaterie e quindi val bene una sosta sulla strada di ritorno. Il percorso dal Passo al lago è piuttosto tranquillo e molto guidabile, non dispiacerà agli amanti delle pieghe su due ruote. Ma con prudenza, ovviamente.
Da Alleghe si scende ancora fino a Belluno da dove si prende l'autostrada per l'ultima tirata fino a casa.
Complessivamente sono 400 km. Per i miei gusti non sono troppi, calcolando che con le dovute soste si possono frazionare comodamente. Ma per una giornata in sella alla moto godendo dei panorami tra i più belli al mondo ne vale senz'altro la pena.
Gruppo Cinque Torri innevato |
- Torre Grande, la maggiore, presenta tre cime ambitissime dagli appassionati rocciatori: Cima Nord, Cima Sud e Cima Ovest;
- Torre Seconda, composta da tre cime distinte chiamate Torre Lusy, Torre del Barancio e Torre Romana;
- Terza Torre, o Torre Latina;
- Quarta Torre, formata da due diversi denti di roccia di diversa grandezza, e per questo chiamati rispettivamente Torre Quarta Bassa e Torre Quarta Alta;
- Quinta Torre, o Torre Inglese.
Lagazuoi |
- la Tofana di Rozes (o di Roces), 3.225 m s.l.m., la più meridionale;
- la Tofana di Mezzo (o Seconda), 3.244 m s.l.m., la più elevata;
- la Tofana di Dentro (de Inze o Terza), 3.238 m s.l.m., la più settentrionale, collegata alla precedente da una cresta.
Tornanti di Passo Falzarego. Sullo sfondo domina la Tofana di Rozes |
Da Alleghe si scende ancora fino a Belluno da dove si prende l'autostrada per l'ultima tirata fino a casa.
La Caponord in sosta alla partenza della funivia Lagazuoi |
Complessivamente sono 400 km. Per i miei gusti non sono troppi, calcolando che con le dovute soste si possono frazionare comodamente. Ma per una giornata in sella alla moto godendo dei panorami tra i più belli al mondo ne vale senz'altro la pena.
martedì 13 agosto 2013
In moto. Prealpi venete in tutto relax
Percorso di 220 km. Padova-autostrada A4/A31- Piovene Rocchette- SP78/SP79-Lavarone-SP349-Asiago-SP72- Bassano del Grappa- SS47-Padova.
La zona è quella delle Prealpi venete, provincia di Vicenza con sconfinamento in Trentino. Non alta montagna, si arriva al massimo a quota 1000 metri (circa). E' un percorso non impegnativo, perfetto per un giretto in pieno relax. Si fa poca autostrada, solo una cinquantina di km, poi tutto il resto si snoda in gran parte su strade molto "guidabili" con parecchie curve e tornanti. Bisogna fare molta attenzione alla provinciale che da Asiago porta a Bassano perché in troppi la interpretano come una pista dove correre alla disperata. Col risultato che quasi ad ogni fine settimana qualche motociclista ci lascia la pelle. Come al solito gli scatenati delle curve a tutta velocità sono pregati di andare a sfogarsi in pista e lasciar perdere le strade normali.
Fatta eccezione per il tragitto di pianura il resto è tutto un susseguirsi di boschi di abeti freschi e ombrosi, che invitano a fare una sosta ristoratrice e rilassante. Molto bello il piccolo lago di Lavarone, vivibile anche con giri in barca e spiagge attrezzate per prendere il sole. Facile trovare punti di ristoro lungo tutto il percorso, anche con specialità locali come il formaggio cotto alla piastra (Tosella) con polenta e funghi. Buon viaggio.
Lago di Lavarone |
La zona è quella delle Prealpi venete, provincia di Vicenza con sconfinamento in Trentino. Non alta montagna, si arriva al massimo a quota 1000 metri (circa). E' un percorso non impegnativo, perfetto per un giretto in pieno relax. Si fa poca autostrada, solo una cinquantina di km, poi tutto il resto si snoda in gran parte su strade molto "guidabili" con parecchie curve e tornanti. Bisogna fare molta attenzione alla provinciale che da Asiago porta a Bassano perché in troppi la interpretano come una pista dove correre alla disperata. Col risultato che quasi ad ogni fine settimana qualche motociclista ci lascia la pelle. Come al solito gli scatenati delle curve a tutta velocità sono pregati di andare a sfogarsi in pista e lasciar perdere le strade normali.
Asiago |
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