martedì 1 marzo 2011

Morire per l'Afghanistan

Un altro militare italiano è morto in Afghanistan.  La vittima è il tenente Massimo Ranzani, originario della provincia di Rovigo. Credo che sia il 37.mo dall'inizio della missione, una triste contabilità di morte. A ciò si aggiunga che ci sono anche quattro feriti gravi in seguito all'esplosione della mina che ha sventrato il mezzo blindato dell'autocolonna.
Quella in Afghanistan nella considerazione ufficiale dei protocolli e della diplomazia doveva essere una missione militare umanitaria, di pace. Si è rivelata ben presto di guerra vera, cruda e sanguinosa,  nella realtà dei fatti.
Ma si può perdere la vita o dare la propria vita per l'Afghanistan? I trentasette italiani morti in quel lontano paese davvero avevano coscienza di quanto stavano facendo e davvero consideravano la propria vita spendibile per un paese straniero?
In questi giorni, in questi mesi, infuria la polemica sulle celebrazioni per il 150.mo dell'Unità d'Italia. C'è chi, nell'Italia di oggi, anno 2011, si rifiuta di rendere il dovuto omaggio a coloro che un secolo e mezzo fa immolarono la propria giovane vita per fare l'Italia, ovvero per aggregare sotto un unica bandiera un territorio e soprattutto un popolo fino ad allora diviso e perciò debole, costantemente alla mercè di conquistatori e invasori di ogni sorta. Un'unità prima di tutto umana e culturale e poi politica e geografica. Per ideali del genere si poteva dare la propria vita? Certamente sì e sono migliaia e migliaia i giovani italiani che lo hanno fatto. Ma si trattava del proprio paese, della propria patria allora nascente. Del diritto a una identità nazionale non più asservita e divisa. Perdere la vita per l'Afghanistan o per qualsiasi altro paese straniero per tutelare in massima parte interessi economici e politici sotto il manto protettivo dell'intervento umanitario e portatore di legalità e democrazia e dura, molto dura. Chissà se i nostri militari mandati a combattere e a morire o a restare feriti e mutilati se ne rendono conto e sono consapevoli dei veri motivi della missione. Sì certo, una volta sul posto,  il contingente italiano non lesina a distribuire aiuti e assistenza medica a chi ne ha bisogno. Non se ne sta con le mani in mano, ma realmente contribuisce a ristabilirte un ordine in quel paese dilaniato dalla guerra civile degli integralisti talebani. Ma il vero scopo è ben altro. Sono pedine sacrificabili che servono ad altri scopi.Servono a stabilire chi comanda nel mondo, a tutelare gli interessi economici di quella fetta di occidente egemone, a far fare affari ai commercianti di armi e mercanti di morte.
Questo significa morire per l'Afghanistan. Siamo sicuri che il tenente alpino Massimo Ranzani e i suoi commilitoni vittime della guerra afghana ne fossero pienamente consapevoli?

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