martedì 18 maggio 2010

Portavo i calzoni corti

In questi giorni a Padova c'è la Fiera. La Fiera è sempre stata un evento in città. Adesso un po' meno, ma quando ero ragazzino in calzoni corti, la visita in fiera era uno degli avvenimenti più importanti dell'anno. Almeno per la mia famiglia, che ra però uguale a tante altre. Intanto la fiera cadeva (e cade) in un bel periodo: maggio, esplosione di primavera; e poi la scuola era quasi finita e si incominciava a respirare aria di vacanze. Se i miei ricordi non mi ingannano, negli anni '60-'70 credo che la Fiera di Padova fosse addirittura programmata per giugno, più o meno in concomitanza con l'altro grande evento della città, la festa di Sant'Antonio. C'erano le giostre in Prato della Valle e per noi bambini e anche per quelli più grandi e più sgamati, era occasione di grande eccitazione e di grandi sollazzi ...e grandi mangiate di zucchero filato. Gli autoscontri, i dischi volanti, i chioschi con i pesci rossi da vincere col lancio delle palline... che gioia, che festa, che allegria. I più temerari si cimentavano addirittura con l'otto volante o montagne russe, a costo di vomitare anche l'anima. Con il passare degli anni e con l'avvento di altre forme di comunicazione e propaganda commerciale, la Fiera ha via via perso interesse e fascino. Certo rimane comunque uno dei punti di riferimento dal punto di vista economico e commerciale, ma per noi padovani, da un certo punto in poi, non era più la stessa cosa. Perchè andare per stand e padiglioni stipati come sardine a vedere delle cose che si potevano vedere comodamente in televisione, ormai a colori? Si era nei primi anni '80, con l'avvento delle tv locali infarcite di pubblicità e televendite. Ricordo ancora adesso come rimanevo estasiato di fronte al banco dell'omino che faceva le dimostrazioni di quanto comoda, rapida ed efficiente fosse la macchinetta per tagliare e tritare le cipolle in un minuto o quale portento della scienza e della tecnica applicate fosse il frullatore che trasformava la frutta (banane, mele, pere... kiwi e altra frutta esotica erano ancora quasi sconosciuti) in succulenti e appetitosi beveroni da leccarsi i baffi. Si sa, per i bambini la frutta è sempre ostica da accettare e il frullatore faceva miracoli, almeno nella mia famiglia.
Il giorno della fiera era un giorno di festa. Mia mamma si faceva bella ed elegante col vestito buono delle grandi occasioni. Io e mia sorella avevamo il permesso di vestirci come quando si andava alla messa della domenica o in visita agli zii di Treviso. Insomma, era un'occasione speciale. Col risultato che le scarpe della domenica erano dure e scomode e a fine giornata, dopo ore di fiera, si tornava a casa con le vesciche ai piedi.
Per i miei ricordi di ragazzino, andare in fiera significava principalmente due cose: fare incetta di depliants pubblicitari e montare sui trattori e girare il volante come per guidarli. Roba da andare fuori di testa per l'emozione e la gioia. Come si sa, ogni espositore fieristico si dota di materiale pubblicitario dei suoi prodotti. Per me andare in fiera significava passare in rassegna tutti, ma proprio tutti gli stands e farmi dare i volantini o meglio ancora i pieghevoli in carta patinata. Gli espositori degli stand più ricchi ed avveduti si procuravano addirittura i palloncini colorati, sapendo che avrebbero sì attirato nugoli di bambini molesti, ma accompagnati dai genitori che comprano....Che goduria andare in giro con fasci di depliants sotto il braccio e il palloncino legato al polso perchè non volasse via. Depliants di tutti i tipi e naturalmente del tutto inutili per un ragazzino della mia età. E come me ce n'erano decine, anzi tutti i bambini in grado di andare in giro senza stare alla mano della mamma o del papà, erano autonominati ufficialmente cacciatori di depliants. A fine giornata c'erano, stivati nelle capienti borse delle mamme, pacchi di carte multicolori. Macchinari sconosciuti e misteriosi, gru, escavatori, macchine per la pasta, frigoriferi industriali, mangiatoie per allevamenti bovini, divani, calcolatrici elettriche, televisori e motociclette. Ricordo che rimasi a bocca aperta nel vedere una macchina che sfornava a getto continuo il ghiaccio secco. Ghiaccio secco? A essere del tutto sincero, che roba sia esattamente, me lo chiedo ancora adesso.
Di tutto, di più. Un ciarpame infinito di carta pubblicitaria, ma affascinante.  Almeno per i miei occhi. Nei giorni e settimane successivi me li andavo a sfogliare tutti, uno per uno. Alla fine era anche istruttivo, oltre che colorato e appagante al tatto. La carta patinata delle brochure e degli opuscoli pubblicitari per me ha sempre avuto un grande fascino. Chissà, forse anche per questo, tanti anni dopo, sono finito a lavorare nel settore commerciale, che della pubblicità e della comunicazione fa il suo pane quotidiano.
Portavo i calzoni corti quando mio papà, ai miei occhi di bambino uomo sempre serio e quasi imbronciato, si addolciva e cedeva alle suppliche di farmi salire sul trattore in esposizione alla fiera. E allora mi afferrava con le sue mani possenti e mi sollevava lassù in alto, fino al seggiolino del guidatore, al posto di guida, sotto lo sguardo bonario e rassegnato dello standista che era ormai capitolato di fronte alla sequela interminabile di bambini che attendevano il loro turno per salirci sopra. Nei giorni in cui mio papà si portava anche la macchina fotografica, ci scappava pure la foto. Ma allora sul trattore ci saliva anche la mia sorellina, giusto per la foto ricordo, evento ancor più raro ancorchè eccezionale "perchè alle femmine i trattori non interessano"; sono cose da uomini, perbacco.
Che tempi, che ricordi. Se ci penso mi prende una certa nostalgia.... dei tempi passati, del vestito "buono", del ricordo dei miei genitori, dell'innocenza infantile, chissà. Adesso in fiera non ci vado più da tanti anni e nemmeno ricordo di averci mai portato le mie figlie. Se sapessero quanti depliants e quanti trattori si sono perse, mi odierebbero.
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