venerdì 28 settembre 2012

Libri. Sotto l'ombrellone con Maigret

L'estate è tradizionalmente un buon periodo per dedicarsi alla lettura, vuoi perchè le giornate lunghe e calde invitano alla tranquillità all'ombra di un albero o al fresco dell'aria condizionata, vuoi perchè è semplicemente periodo di ferie e di vacanze e c'è più tempo per tutto ciò che si tralascia nel resto dell'anno. Per esempio la lettura. Per me è un po' diverso, dal momento che leggo abitualmente sia d'estate che d'inverno, ma è sicuro che durante il periodo estivo, volenti o nolenti, di tempo libero a disposizione ce n'è più del solito.
L'indimenticabile Gino Cervi
nei panni di Maigret
Era da tempo che l'idea mi frullava in testa. Quest'anno sotto l'ombrellone mi faccio una scorpacciata di Maigret. E l'ho fatto. La meta delle vacanze estive era il Salento, all'estremo sud della Puglia. Al momento di partire, invece di pormi la solita difficile domanda "quali libri mi porto in valigia?", il problema è stato presto risolto: Maigret!
Io sono un vecchio appassionato di Georges Simenon e in particolar modo del suo personaggio più famoso, il commissario della polizia giudiziaria di Parigi, Jules Maigret. Una passione cominciata quando ero ragazzo, negli anni 70, per merito della serie televisiva Rai che vedeva il grande e indimenticato Gino Cervi interpretare il commissario fino a diventarne l'alter ego indiscusso nell'immaginario dei lettori di Simenon. Un po' come succede ai giorni nostri per il commissario Montalbano e l'attore Luca Zingaretti. Un binomio indissolubile in entrambi i casi. Tra l'altro Maigret è stato in assoluto uno dei primi amori letterari, anche perchè, sempre in quei fatidici anni 70, prendevo in prestito i libri dalla biblioteca del patronato della parrocchia di S. Antonino all'Arcella (un quartiere di Padova). Quindi scegliere solo Maigret per le vacanze estive è stato quasi un tuffo nel passato e riscoprire un vecchio amico di cui ormai conosco quasi tutto. Dalla famiglia (la mitica signora Maigret) all'ufficio in Quai des Orfèvres a Parigi; dalla brasserie Dauphine, ai personaggi di contorno, ma non per questo sottovalutati da Simenon: gli ispettori Lucas, Torrence, Janvier e il giovane Lapointe; il giudice Comelieau; il dottor Moers, responsabile della parte scientifica ed autentica memoria storica della polizia; il dottor Paul, medico legale; i coniugi Pardon (il marito è tra l'altro il medico personale di Maigret) con i quali il commissario e sua moglie Louise scambiano periodiche cene rigorosamente casalinghe. In una delle poche volte che ho avuto occasione di passare qualche giorno a Parigi sono addirittura andato "in pellegrinaggio" a visitare i luoghi più spesso citati da Simenon per ambientare i suoi romanzi. Primo sito di devozione fra tutti il famosissimo 36, Quai des Orfèvres,  il quartier generale della polizia giudiziaria, quindi il luogo di lavoro di Maigret e della sua squadra. Devo dire che, di fronte a quel palazzone austero, una certa emozione l'ho provata...

Vabbè, per farla corta, nelle due settimane di ferie estive 2012 sotto l'ombrellone in Salento mi sono fatto una scorpacciata di Maigret. Ho letto Maigret e l'affittacamere (1951), La trappola di Maigret (1955), Maigret e il corpo senza testa (1955), L'impiccato di Saint-Pholien (1931) e Maigret e il signor Charles (1972). Le date di scrittura dei romanzi non sono indicate per caso. "Il signor Charles" è l'ultimo libro dedicato a Maigret scritto da Simenon, mentre "L'impiccato" risale al 1931 e non si tratta comunque del primo in assoluto, bensì uno dei primi (dal 1930 in poi). Più di quarant'anni di costruzione ed elaborazione del personaggio per 75 romanzi in totale. Una produzione monumentale che non so se abbia uguali in letteratura, per quantità e qualità. Penso di averne letti almeno un terzo e spesso mi succede di comprarne qualcuno che, una volta a casa, scopro di aver già letto, chissà, forse 10 o 20 anni fa... Facile capire perchè considero il commissario Maigret come un vecchio amico che non tradisce mai.
Il Maigret di Georges Simenon è stato un vero rivoluzionario nel mondo del poliziesco letterario. Una figura di investigatore assolutamente innovativo e per certi versi distruttivo di precedenti modelli consolidati. Mi riferisco alle figure di poliziotti e investigatori assolutamente perfettini, intelligentissimi e correttissimi. Il modello all'inglese tipo Sherlok Holmes (Conan Doyle) o Hercule Poirot (Agatha Christie). Maigret no. Lui è molto latino, molto sanguigno. Non disdegna un buon bicchiere di bianco o una birra fresca, vive in simbiosi con la sua pipa, non disdegna neanche trucchi e trucchetti, trappole e tranelli pur di arrivare all'obiettivo: acciuffare i colpevoli. Non c'è nulla di eroico nel suo lavoro, c'è invece costanza, metodo e umanità. Non vedrete mai Maigret con la lente di ingrandimento in mano in stile british, molto più facile vederlo imbufalito perchè non riesce a venire a capo di un caso difficile. Maigret non formula mai ipotesi premature, anzi esita e temporeggia sempre se c'è da ammanettare qualche indiziato solo per zittire i capi o i giornali. Il rispetto delle persone, anche se criminali, non lo abbandona mai. Simenon costruisce dunque il suo Maigret come un uomo alla ricerca di motivazioni altrettanto umane che portano al delitto, più che un sofisticato investigatore alla perenne ricerca di sottili indizi materiali. La tecnica scientifica (per quanto agli albori in quegli anni) non viene innalzata ad icona da venerare, perchè rimane sempre e solo uno strumento tecnico al servizio della capacità di analisi, alla deduzione, alla riflessione dell'uomo-Maigret. Ed è questa umanità la sua grandezza.



venerdì 21 settembre 2012

Libri. Maledetto Jo Nesbo...


LO SPETTRO
di Jo Nesbo


Maledetto Jo Nesbo. Succede spesso che gli scrittori partano col botto al loro primo libro per poi calare vistosamente con i successivi. Lui, no. Nesbo fa il contrario: gli ultimi sono migliori dei primi. Questo suo ultimo è decisamente migliore dei precedenti, che pure mi hanno affascinato e coinvolto. Maledetto Jo Nesbo, proprio adesso che sembrava fatta, Harry Hole praticamente affrancato dalla sua dipendenza alcoolica, il rapporto con Rakel riallacciato, il caso risolto, un futuro ricostruito... No, niente. Botto finale e colpo di scena (che non svelerò neanche sotto tortura).
Veramente notevole tutta l'ambientazione, la costruzione dell'intreccio e dei personaggi. Tutti elementi che riescono pienamente a descrivere il dramma di Gusto, di Oleg, di Harry stesso. Ci sono meno sbirri del solito in questo episodio, ma molta più drammaticità e sofferenza, perchè l'indagine non riguarda un caso qualsiasi, ma è incentrata sul figlioccio di Harry, Oleg, figlio della bella Rakel, sua fiamma di sempre. Harry ci mette il cuore e l'anima, oltre che tutta la sua esperienza e il suo fiuto investigativo. E alla fine....
Basta non dico altro, maleddetto Jo Nesbo.

P.S.: ho letto due o tre volte il finale per capacitarmi di averlo ben compreso. Sono rimasto basito...

domenica 16 settembre 2012

Film visti. Prometheus, fantascienza di qualità



PROMETHEUS
di Ridley Scott.
Con Noomi Rapace, Michael Fassbender, Charlize Theron, Guy Pearce, Idris Elba.

Voto: 3 su 5


Sono andato di corsa e senza prendere altre informazioni (trama, dettagli, cast, trailer) a vedere questo film per almeno due buoni motivi. Primo: è un film di Ridley Scott; secondo: è un film di fantascienza. Bastano e avanzano. Difficile volere di più e di meglio. Ma naturalmente è la solita questione di gusti personali.
Il voto lascia però intuire che il giudizio sul film sia solo parzialmente positivo e vediamo di dire perchè.

La storia è intrigante e attinge spunti antichi nella filosofia più classica: chi siamo, da dove veniamo, perchè siamo qui... Trasposto il tutto in ambiente fiction vediamo una coppia di archeologi rinvenire nell'anno a venire 2089 alcuni dipinti rupestri risalenti a 35000 anni fa che rimandano ad altri analoghi rinvenimenti nei più disparati punti della terra. Significando con questo la presenza di un legame unico tra essi, non potendo le popolazioni di quelle epoche remote essersi scambiate direttamente informazioni tra loro. Quindi la fonte deve essere unica per tutti ed esterna. E gli indizi rinviano ad un sistema planetario distante miliardi di km dalla Terra. Nel futuro quasi prossimo2089 è un attimo allestire un'astronave esplorativa e partire alla ricerca di quella fonte di conoscenza aliena. Ma le domande già si pongono chiaramente: chi sono questi alieni e perchè sono venuti sulla Terra? Che intenzioni avevano, cosa hanno lasciato e perchè se ne sono andati? Ma non solo.
Una volta arrivati sul pianeta di destinazione gli esploratori scoprono che effettivamente esiste una civiltà aliena e che il loro DNA è del tutto identico a quello umano. Quindi fra il genere umano e quello alieno non c'è nessuna differenza, sono nostri fratelli, o meglio, nostri padri. Ma qui sta il punto: ci hanno creato loro? A quale scopo? E perchè, se sono i nostri creatori, ci hanno abbandonato?
La locandina di Alien, 1979
Niente male vero? Condite il tutto con le magnifiche immagini di Ridley Scott, l'ambientazione spaziale, le astronavi e gli ipotetici alieni e il gioco è fatto. La prima ora abbondante di film vola via in un baleno riuscendo a far immergere completamente lo spettatore nella storia. Spettacolare, visivamente molto bello, ottima colonna sonora, cast di ottima levatura, storia appassionante condita da un intrigante pizzico di filosofia. Cosa volere di più?
I problemi nascono quando gli sceneggiatori devono sviluppare e chiudere la vicenda puntando a creare (come da progetto dichiarato) il prequel di Alien, ovvero l'antefatto da cui prende le mosse il capolavoro che lo stesso Ridley Scott girò nel 1979 con il mostro orribile che attenta testardamente alla vita di Ripley, la sexy comandante in seconda dell'astronave Nostromo (l'affascinate Sigouney Weaver). Ahimè, qui la storia si inviluppa e si contorce, le citazioni e i riferimenti al capostipite del 79 diventano frequenti e pressanti e finiscono con lo snaturare e appesantire la prima ora di proiezione. Ma tutto questo però, se da un lato impoverisce e infiacchisce Prometheus, è solo oro colato per gli appassionati del genere che hanno adorato il primo Alien e senz'altro apprezzeranno i collegamenti con i dettagli anche scenografici e di ambiente con il capostipite. Una specie di gioco della memoria per cinefili appassionati di fantascienza nel ritrovare i particolari e gli agganci con la pellicola di 33 anni fa (accidenti come passa il tempo....!!).
Quindi in conclusione, consentitemi un consiglio. Prima di Prometheus andate a rivedervi l'Alien originale, giusto per rinfrescarvi la memoria. Ma se anche non l'avete visto e non avete intenzione di vederlo va bene lo stesso, anzi forse è meglio così. Una visione "vergine" senza pregiudizi di sorta. Prometheus vi piacerà anche senza i rimandi storici.

sabato 8 settembre 2012

Film visti. Batman III, che noia!



Il cavaliere oscuro - Il ritorno (The Dark Knight Rises)
Regia Christopher Nolan.
Con Christian Bale, Anne Hathaway, Marion Cotillard

[Voto: 2 su 5]

La pellicola è il capitolo conclusivo di una trilogia iniziata nel 2005 con Batman Begins e proseguita nel 2008 con Il cavaliere oscuro, entrambi diretti da Christopher Nolan e con protagonista Christian Bale.Ultimo episodio della trilogia annunciata questo Batman è uscito il 20 luglio 2012 negli Stati Uniti e fu subito strage. Si tratta, come ricorderete, dell'assalto di un esaltato pazzo furioso che incominciò a spare sul pubblico in sala indossando una maschera simile a quella del "cattivo" del film. Si dice, a ragione, che negli Usa ci sono troppe armi da fuoco a disposizione dei cittadini, ma bisogna anche dire che il film propone una serie di gratuite azioni di violenza e di sparatorie che evidentemente possono fare breccia in una mente debole e malata e spingere ad azioni sanguinarie come quella accaduta nel cinema americano e che ha causato un sacco di morti e feriti. Perchè va detto senza mezzi termini, questo Batman è molto violento e queste situazioni di violenza non sono giustificate da una trama a supporto che possa dare loro un senso. Già, perchè non si capisce quasi nulla tra buoni e cattivi e rimandi al passato ed a episodi precedenti. Un film pretenzioso, cupo e confuso, con inutili sproloqui para-filosofici che addormentano la già sonnolenta trama.  Gli autori se ne devono essere resi conto già dopo il secondo episodio ed allora hanno inserito un personaggio nuovo, una cat woman aggressiva e pericolosa, impersonata deliziosamente da Anne Hathaway, inaspettatamente brava a destreggiarsi con le arti marziali. Il "cattivone" di turno è proprio una bestia rognosa e sanguinaria che suscita repellenza a livello recitativo, mentre la vera dark lady e chiave della vicenda emerge a sorpresa (?) solo nei minuti finali. Proprio il finale è una delle cose peggiori del film. Scommettiamo che ci impiegate meno di un minuto a indovinare come va a finire....? Particolare ridicolo: in uno dei momenti clou e decisivi Batman si becca una coltellata e il coltello gli viene rigirato anche più volte nella ferita (a proposito di violenza...). Ebbene, a parte un digrignare di denti, nella scena successiva l'eroe mascherato è già in piena forma e pronto all'azione come se nulla fosse accaduto. Ma insomma, un minimo di coerenza narrativa ci vorrebbe, o no??

P.S.: ho visto il film in un multisala a Gallipoli in Puglia, dove mi trovo attualmente in vacanza. Cinema apprezzabile e mastodontico in pieno centro e a due passi dalla bella isola di Sant'Andrea della città vecchia. Bella e maestosa la sala principale, buono l'audio e la qualità delle immagini digitali. Peccato che il film sia incominciato con 20 minuti di ritardo sull'orario previsto, in attesa che terminasse il flusso dei ritardatari e la sala si riempisse. Segno che si tratta di un'abitudine (pessima) consolidata e non di un fatto estemporaneo. Da aggiungere che nella fila dietro alla mia un gruppetto di 6-7 persone non ha fatto altro che parlare e commentare la pellicola ad alta voce per tutte le due ore e mezzo della durata. E sì che non erano ragazzini, ma quarantenni adulti e insopportabili. Mi viene il dubbio che questi malvezzi (ritardo e chiacchiericcio) siano abbastanza comuni. Spero di sbagliarmi e non sia così. Ma gli indizi sono sfavorevoli.

venerdì 7 settembre 2012

Quella volta che... 56 anni


Quella volta che….  56 anni!

 Anno 1970, mese imprecisato. Il ricordo è vago nelle circostanze ma forte per la parte emozionale. Facevo la prima liceo scientifico, ero un ragazzotto che incominciava appena a mettere il naso fuori di casa e allora avere 14 anni era praticamente nulla rispetto ai pari età di oggi. Autonomia e indipendenza dalla famiglia erano concetti che neppure esistevano. La dipendenza dal nucleo famigliare era totale e i punti di riferimento erano ancora il papà e la mamma. Mi ricordo che un certo giorno e chissà per quale motivo chiesi a mio padre quanti anni avesse. Cinquantasei, mi rispose. Lo osservai bene, come se fosse la prima volta che lo vedessi. Capelli grigi e lisci, radi e tirati tutti all’indietro. Fronte stempiata, praticamente quasi calvo. Fisico robusto, solido, che ispirava fiducia. Lineamenti regolari e naso che lui stesso definiva aquilino. Un apprezzamento positivo, mi pareva di capire. In pratica un bell’uomo. A me piaceva e lo ammiravo anche per il suo carattere sobrio, sicuro e granitico. Col prosieguo degli anni cambiai idea, e di molto, sull’apprezzamento del suo carattere. Più crescevo io e più il rapporto si deteriorava a causa della mia ricerca di indipendenza. Normale, direi.
Ma torniamo a quei  56 anni di mio papà. Una cifra esagerata ai miei occhi di quattordicenne, quasi incomprensibile come entità. Una cifra enorme, talmente lontana ed estranea che mi pareva inimmaginabile arrivare ad averli anch’io un giorno.  La distanza tra me e lui mi sembrava incolmabile, quasi da rendere astratto il concetto di età riferito a mio papà. Quasi una proporzione aritmetica studiata a scuola: quattordici sta a cinquantasei come il poco sta al tanto. Il papà era quasi un’icona in quegli anni. Era lì, su un piedistallo, come un santino da ammirare e venerare. Un punto di riferimento, una specie di faro nel buio da cui lasciarsi guidare (salvo poi considerarlo un arcigno secondino negli anni a venire). Così è la vita e così sono –spesso- i rapporti padri/figli.
Ma il tempo passa per tutti. Puntuale, inesorabile, improcrastinabile. Pochi giorni fa ho compiuto 56 anni. I miei 56 anni non sarebbero di per sé un evento eccezionale. Da un certo puntoi n poi compierne 53 o 57 non fa poi molta differenza. Un compleanno alla fine ne vale un altro. Se non fosse per quella cifra che mi è rimasta stampata nella mente da allora, 42 anni or sono. CINQUANTASEI.
Ne sono successe di cose in 42 anni. Lui, mio papà, intanto non c’è più. Se n’è andato da un pezzo dopo una lunga malattia che lo ha logorato e distrutto fino a renderlo un vegetale. Se non fosse stato un uomo in buona salute, con un fisico impeccabile non logorato da vizi e stravizi, senza eccessi e con una vita sana e regolata, probabilmente la malattia se lo sarebbe divorato in molto meno tempo degli otto anni che invece sono serviti ad avere ragione del suo fisico sano. Invece proprio il suo stile di vita misurato lo ha condannato ad una fine lenta, come una candela che brucia molto lentamente. Senza nessun colpo di vento che la spegnesse rapidamente e all’improvviso. Adesso sono io ad avere 56 anni. Rispetto a lui la mia salute è molto peggiore. Io per un sacco di anni –tanti, forse troppi- ho maltrattato il mio corpo. E adesso già ne ho pagato e ne pago le conseguenze. Ma chissenefrega, un pochino mi sono divertito, certamente non quanto avrei voluto. Non ho condotto una vita da frate trappista come lui, ma un po’ me la sono goduta, sia pure senza mai strafare abbastanza (purtroppo). Anch’io adesso sono padre a mia volta e spesso mi domando se anche per le mie figlie i miei 56 anni sono un abisso come lo erano per me da ragazzo. C’è da dire che loro non hanno 14 anni come ne avevo io allora, ma 24 e 26, quindi la differenza di età è molto meno sensibile. Anche i tempi e la struttura sociale in cui viviamo sono radicalmente diversi. Tuttavia il differenziale generazionale ha comunque la sua oggettiva importanza, sebbene sia ridotto. E chissà come mi considerano, se ancora un punto di riferimento positivo o già un insopportabile secondino come lo era mio padre per me alla loro età. Qualche idea ce l’ho, ma le mie sensazioni non possono di sicuro essere del tutto attendibili. Troppo unilaterali e inevitabilmente di parte, per quanto possa sforzarmi di essere serenamente obiettivo, o tentare di esserlo. Quello che di sicuro non so è cosa si aspettasse dal futuro mio papà all’età di 56 anni. Probabilmente, come è naturale, proiettava sui figli le sue passioni e i suoi desideri. Cosa che probabilmente faccio anch’io. Ma per quanto mi riguarda di sicuro io ho una gran voglia di non farmi schiacciare dall’età che avanza. Di levarmi qualche altra soddisfazione prima che cominci ad essere troppo tardi. Idee, voglie, desideri, aspirazioni non mancano di certo. Il problema è riuscire a non far fuggire il tempo troppo in fretta, come sabbia che sfugge da un pugno chiuso che, per quanto si possa serrare con forza, non riesce a trattenere tutti i granelli che, inesorabilmente, continuano a filtrare tra le dita, a disperdersi e diminuire costantemente. Diciamo pure che l’ostacolo maggiore al momento attuale è il lavoro che non vivo più come un’opportunità di crescita, di realizzazione e di miglioramento, ma come una gabbia che mi costringe e mi opprime. Di solito ad una certa età si incomincia a ragionare in prospettiva sull’età della pensione e a come godersi quella fetta della propria vita. Il traguardo del pensionamento è stato portato a ben 68 anni e passa nel mio caso. Un'eternità. Coi tempi di crisi che viviamo non so neppure se ci andrò, in pensione. Sia per  i ben noti motivi economici e politici dei nostri anni, sia per la mia salute da cardiopatico ( e corollari vari) che non vorrei mi facesse qualche brutto scherzo.
Intanto ho archiviato a nche questo compleanno. Chissà, chi vivrà vedrà.

giovedì 6 settembre 2012

In moto. Passo Manghen e Piramidi di Segonzano


Percorso odierno: Passo Manghen e ritorno

Martedi, 21 agosto. Oggi è una meravigliosa giornata di sole, tersa, frizzante e non troppo calda. Difficile prendere il coraggio a due mani e andarsi a rinchiudere in ufficio in questo periodo postferragostano. Gran parte delle aziende sono ancora chiuse e non hanno ancora ripreso l’attività. Non sarà poi cosa molto grave un giorno di ferie extra. Quindi chiamo l’ufficio per avvisare e decido di passare una giornata insieme alla Poderosa. Il giro questa volta punterà su un altro dei passi  trentini poco conosciuti ma non per questo meno belli e affascinanti. E’ il Passo Manghen a quota 2000 o poco più. Un must, in realtà, per i conoscitori della zona. Impegnativo sotto il profilo della guida, perché tortuoso e con molti tornanti. E’ una valle stretta che si apre di tanto in tanto con squarci che permettono alla vista di godere di panorami veramente straordinari. L’ho già fatto una volta qualche anno fa, ma in auto e in una giornata nuvolosa e incerta. Tuttavia, l’emozione di arrivare in alto e spaziare con la vista dall’altro versante (quello nord) verso Cavalese vale senz’altro la pena per decidere di tornarci, questa volta in moto e in una giornata meteorologicamente splendida.
La sommità del Passo Manghen 2043 m.
Ecco il percorso nel dettaglio: Padova, Bassano del Grappa, SS47 Valsugana, Borgo Valsugana, SP31, Passo Manghen (m. 2043), Molina di Fiemme (m. 953), SP71, Segonzano, Pergine, SS47, Bassano del Grappa, Padova. Per un totale di 310 km circa. Il ritorno può anche essere fatto verso est in direzione San Martino di Castrozza per poi puntare verso Fiera di Primiero e la Valsugana oppure verso ovest scendendo verso la Val di Cembra, Baselga di Pinè e la Valsugana. Ci sarebbe un’alternativa per aumentare il chilometraggio: puntare decisamente a nord e passare dal lago di Carezza. Ma questo lago incastonato tra le Dolomiti sarà meta di uno dei prossimi tour. Oggi la strada del ritorno sarà quella dolce e declinante verso sud-ovest passando da Segonzano per vedere le famose omonime Piramidi.
Partenza ore 9. Prima tappa a Borgo Valsugana più o meno dopo un centinaio di km, per un cappuccino con brioche e per un salto in un supermercato per comprare pane e salame per il frugale pasto di metà tour. Si riparte puntando subito per Passo Manghen, seguendo le segnalazioni già presenti. Man mano che la strada sale non c’è traccia di abitazioni o trattorie. L’ultimo punto di ristoro lo si trova quasi all’inizio della salita più o meno a quota 1350-1400 metri. Sembra un luogo veramente deserto. Solo boschi e tornanti. Invece ogni tanto la vista si apre a sorpresa dominando parte della strada sottostante. In presenza di questi squarci si trovano villette e masi, ma sono veramente poca cosa e non turbano affatto il paesaggio con la loro presenza. Mi viene in mentre che se dovessi un giorno vincere al superenalotto, mi comprerei una casa proprio qua. Sembra letteralmente di essere fuori dal mondo e per di più con panorami mozzafiato. Per avere un posto dove rifugiarsi e starsene in assoluta continuità e scoprire che suono abbia il silenzio questi posti sono l’ideale. Ma sono, come sempre, sogni. Non costano nulla, ma sono di rande impatto emotivo.
Panorama da Passo Manghen

I tornanti diventano più frequenti e stretti, la sommità del passo si avvicina, anche se non si scorge dalla strada. Invece all’improvviso con un incredibile coup de theatre, la vista si apre all’improvviso e dopo una curva assolutamente anonima noto una decina di moto parcheggiate a lato. Subito dopo un piccolo laghetto con accanto un rifugio, mentre alzando lo sguardo all’orizzonte il mondo intero si offre alla vista del viaggiatore. Spettacolare, bellissimo, difficile da descrivere compiutamente. Mi fermo e scendo a bearmi gli occhi di quello spettacolo della natura. Coadiuvano non poco il pane e salame e una birra fresca a sentirsi in pace col mondo e con se stessi….

Si riparte, la discesa è una scommessa da vincere tra tornanti che si avvitano come fossero una scala a chiocciola e pendenze mozzafiato. Ma poi col passare dei km il percorso migliora e tutto diventa più facile. Rimane la costante della mancanza di abitazioni, ancor più che sul versante opposto. Solo boschi e vallate scoscese. Finchè non si arriva a Molina di Fiemme dove all’improvviso tutto cambia e sembra di essere tornati nella civiltà. Addirittura mi imbatto in un parco veramente originale, mai visto prima. Tra gli alberi sono distese corde e passerelle. C’è gente con imbragatura da alpinisti che passa da un albero all’altro come fosse in arrampicata in parete. Ebbene si tratta di una specie di parco di divertimenti: Acropark. Ci sono quelli acquatici, con piscine e giochi d’acqua; questo invece è dedicato invece alla montagna e alle sue discipline. Il che spiega le imbragature e gli attrezzi da alpinismo. Il parco è naturalmente dotato di aree picnic, e di ogni comfort per chi lo visiti.

Si riparte alla volta di Segonzano. Una bella discesa e anche qui paesaggi da fiaba. La strada corre a mezza costa e ogni tanto si aprono veri e propri burroni da togliere il fiato. Lo spettacolo della natura è sempre generoso e vario.

Non meno fenomenali sono le cosiddette Piramidi di Segonzano che appaiono alla vista sulla sinistra di chi scende verso fondovalle. Sono delle particolari guglie di roccia con una specie di cappello in cima. Uno spettacolo singolare, mai visto prima e non so neppure se vi sia qualcosa di simile da qualche parte del mondo. Per saperne di più, cliccare qui: http://www.visittrentino.it/it/cosa_fare/da_vedere/dettagli/dett/piramidi-di-segonzano

A questo punto mi è capitato un imprevisto seccante. Ho dovuto fermarmi perché la moto aveva dei problemi. Ad un certo punto le marce slittavano quasi che ci fosse la frizione tirata. Inspiegabile. Oltretutto mi trovavo proprio sotto le Piramidi senza anima viva in giro. Ho fatto il punto con calma e mi sono accorto che la leva della frizione toccava a fondo corsa il paramano quasi a restare leggermente tirata senza arrivare del tutto a fondo corsa. Ma come mail il problema si fosse manifestato allora e non prima resta un mistero. Quindi ho tirato fuori gli attrezzi, ho smontato la manopola, svitato il supporto del paramano e rimontato la manopola. Il mio timore era che la frizione si fosse danneggiata, ma invece ha ripreso tutto a funzionare a dovere. Di sicuro al prossimo passaggio in officina bisognerà indagare a fondo sul problema e del perché si sia manifestato così all’improvviso senza segnali. Comunque tutto risulto con qualche imprecazione e una ventina di minuti di sosta. Cose che capitano a chi non sta in poltrona a guadare la televisione. L’importante è non aver perso la calma e aver risolto il problema. Il viaggio di ritorno è ripreso senza ulteriori problemi.