domenica 19 agosto 2012

In moto. Lontano dal caos in Val Campelle

Ultimi giorni della settimana di Ferragosto e fine della prima tranche di ferie. Come per il precedente tour al Bosco del Cansiglio (http://volpe56.blogspot.it/2012/08/in-moto-lago-di-santa-croce-cansiglio.html) il percorso di oggi si terrà a debita distanza dalle folle di vacanzieri in libera uscita che infestano strade e valli alpine. Ma senza per questo rinunciare alla bellezza della natura.

Ecco il percorso: Padova, Bassano del Grappa, SS47 della Valsugana, Strigno, Spera, Val Campelle, Rifugio Carlettini (m. 1386), Passo Cinque Croci (m. 2018), SP56, Canal San Bovo, Primiero, Imer, Lamon, SP40, Castel Tesino (m. 870), Grigno, SS47, Bassano del Grappa, Padova. Totale: circa 290 km; da Strigno a Grigno, cioè da quando si lascia la statale Valsugana a quando la si riprende per il rientro, è tutta strada di montagna (circa 140 km). Siamo quindi in Trentino, nella zona meridionale al confine con il Veneto.
Val Campelle
Cascada dela Brentana
 La Val Campelle è immersa nel verde fra boschi e vallate verdissime. Ma soprattutto è assolutamente poco trafficata, il che consente di gustarsi in pace e tranquillità il silenzio di quei posti meravigliosi. Attenzione però, il tratto dal Rifugio Carlettini a dopo il Passo Cinque Croci è sterrato, quindi da fare con molta attenzione specie se in sella a moto da strada. E' invece il regno delle enduro (e dei cicloturisti in mountain bike), sebbene occorra una certa perizia nella conduzione e una erogazione del gas morbida. Un paio di volte mi sono visto in difficoltà, non essendo io particolarmente abile e abituato a questo tipo di fondo. Per fortuna nessuna caduta. 
Il passo Cinque Croci con le indicazioni dei sentieri
A dirla tutta, credo proprio di aver commesso qualche infrazione trattandosi di una strada forestale non aperta al pubblico transito. Se avessi incontrato qualche guardia forestale quasi sicuramente mi avrebbe appioppato una bella multa. E me la sarei tenuta senza batter ciglio. Avrei dovuto chiedere preventivamente l'autorizzazione al transito (non so nemmeno a chi), ma ormai ero lì e l'alternativa era di tornare indietro fino a fondovalle e risalire da un'altra parte o rinunciare al giro impostato. La prossima volta mi informerò prima.

Al centro una piccola Stonehenge (!?)
Un percorso tortuosissimo con migliaia di curve e un sacco di tornanti fino ai 2018 m. del passo, ma con panorami mozzafiato che meritano una sosta a bordo strada per rifarsi gli occhi.... All'inizio della sterrata, subito dopo aver lasciato il rifugio Carlettini si trova addirittura un sito che sembra una piccola Stonehenge in miniatura. Non saprei dire se sia un artefatto recente a imitazione del famosissimo sito inglese (molto probabile) oppure si tratti di un reperto originale che si perde nella notte dei tempi.


E tutto senza andare ad intasarsi nei soliti posti presi d'assalto in questi giorni di vacanze. Vi sembra poco?

mercoledì 15 agosto 2012

Libri. Il senso di una fine, un piccolo grande libro

Il senso di una fine
di Julian Barnes


Ho scoperto assolutamente per caso Julian Barnes. Mai sentito nominare e mai letto nulla di suo. Eppure scopro che è un apprezzatissimo scrittore inglese e che con questo suo ultimo libro ha vinto il Booker prize, il più prestigioso dei premi letterari inglesi. Il che mi ha fatto immediatamente concludere quanto sconfinato sia il panorama letterario. Il caso può farci scoprire ottimi scrittori che ci sono sfuggiti e di cui non immaginavamo neppure l'esistenza, per quanto appassionati o informati o aggiornati riteniamo (presuntuosamente) di essere.
Questo piccolo libro (circa 150 pagine) è in realtà un grande libro. Se dovessimo dare un peso e una dimensione esteriore, potremmo dire che di pagine ne vale almeno il triplo, se non di più. Per la serie "un tanto al chilo", come spesso succede, non è la dimensione di un libro a dettarne la bellezza e l'intensità. Infiniti sono gli spunti di riflessione che Barnes suscita nei suoi lettori. Non c'è paragrafo o pagina che non meriti un approfondimento e una rilettura o una sottolineatura per meglio assimilare i concetti espressi così profondamente e mirabilmente. Tuttavia Il senso di una fine è un libro che è riuscito ad irritarmi, non per la sua scrittura (impeccabile), quanto per i personaggi che lo animano. Soprattutto nella prima parte, quando vi è la presentazione della fase giovanile, dell'amicizia di formazione e della nascita delle relazioni che nel prosieguo porteranno la vicenda al cuore della narrazione. L'ambiente è quello della buona middle class inglese, tutta formalismi, espressioni linguistiche ricercate ed elaborate, buone scuole e ottime letture. Le espressioni sono esattamente quelle che ci aspetteremmo di sentire intorno ad un tavolino da the, o affondati nelle accoglienti poltrone di pelle scura di un club esclusivo dove tutti si chiamano tra loro "vecchio mio...", sorseggiando un buon brandy di annata. Irritante, per i miei gusti. Specie perchè i protagonisti sono ragazzotti preuniversitari che sembrano scimmiottare il linguaggio e gli atteggiamenti degli adulti. Ma conosco poco o per niente il mondo british per essere certo che le mie sensazioni siano veritiere. Sono abituato e incline a pensare a dei ragazzi adolscenti in età liceale, parlare e comportarsi in maniera ben diversa. Più plebea, magari, ma più semplice, spontanea e immediata. Va bene che la vicenda iniziale si svolge negli anni '60 (altri tempi), ma ciononostante mi suona male, fino all'irritazione.
Invece tutto ha un senso nella seconda (e ultima) parte del libro quando il protagonista - al tempo presente- finisce il racconto preliminare degli anni giovanili e passa alla situazione contemporanea in tempo reale. Ed è un bagno di umiltà infinito; une vero bagno di sangue. Per la supponenza giovanile, per l'idea di primeggiare come obiettivo e stile di vita, per la pomposa superficialità dei rapporti umani rivisti con gli occhi del sessantenne. I quattro amici liceali di un tempo sono ormai anziani canuti o calvi e si sono persi di vista. Uno di loro, il più intelligente, il più brillante, il più carismatico, addirittura non c'è più. E' morto suicida ancor giovane. Nessuna sa bene il motivo di questo suo gesto, se non quanto si deduce da una lettera di spiegazioni molto dotte e filosofeggianti che in realtà non spiegano granchè e non hanno mai convinto del tutto nessuno.
Ma del vecchio amico, del resto della compagnia, della vecchia fiamma dell'epoca il nostro protagonista narrante non avrebbe probabilmente memoria alcuna se non fosse che riceve inaspettatamente in eredità il lascito di una piccola somma di denaro e un diario. Il lascito è della mamma della sua fidanzata di un tempo, mentre il diario è quello scritto dall'amico morto suicida.
Da qui, dalla ricerca dei motivi del lascito e il significato che possono assumere a distanza di oltre quarant'anni, nasce una ricerca interiore nel ripercorre i ricordi del tempo passato con gli occhi del sessantenne ormai disilluso, provato e per niente entusiasta della sua vita vissuta. Tutta l'alterigia giovanile, fatta di studi brillanti, di riflessioni filosoficamente tautologiche, di citazioni dotte, di ambizioni e di sogni, finiscono nel tritacarne del tempo che passa. Impietosamente. Come altrettanto impietosamente riemerge la figura della vecchia fidanzata depositaria del diario ricevuto in eredità, che ha a sua volta una sua storia drammatica che si intreccia a doppio filo con il protagonista. Ed è proprio la ricerca di questo comune filo conduttore che ci porta alla conclusione del libro e della vicenda.
Il senso di una fine è un gran bel libro. Non fatevelo sfuggire.

Libri. Profumo di donne a Bellano

Galeotto fu il collier
di Andrea Vitali



Ennesimo capitolo della saga di Bellano. Più brillante e piccante del solito, però. Questa volta l'attenzione di Vitali si concentra sulle belle donne che fanno perdere la testa ai compassati (ma mica tanto) paesani di Bellano. Olghina, Anita, Helga; tutte bellissime donne, maritate e non, su cui tutti farebbero ben più di un pensierino. La più provocante di tutte però è Helga, la "svizzerotta" in vacanza sul lago, disinibita e incline ad incentivare senza freni i rapporti umani con l'altro sesso. E finisce che qualcuno ci lascia le penne, gli viene voglia di piantare tutto e scappare in Svizzera con la bella tettona e fare la bella vita. A complicare le cose (o a facilitarle, dipende...) arrivano una montagna di antiche e preziose monete d'oro che possono cambiare la vita di chiunque e permettere la realizzazione dei lubrici sogni nel cassetto. Ma incombono minacciosi la funerea figura di un agente dell'Ovra fascista in missione quasi segreta (siamo in pieno ventennio), il potere strisciante ma solidissimo di un barone della medicina che esercita la professione nell'ospedale locale e tutta la sua influenza paramassonica per realizzare i suoi progetti personali; e poi l’Os de Mort, di professione «assistente contrario», cuochi dalla purga facile e contrabbandieri di lago, l’astuto prevosto e l’azzimato avvocato novello Azzeccagarbugli... Immancabili, a vigilare e indagare, i regi carabinieri guidati dal maresciallo Maccadò. Insomma gli ingredienti ci sono tutti e il risultato è una storia divertente come non mai e resa un pizzico più intrigante dal fascino malizioso dei personaggi femminili.
Da consigliare per una lettura rilassante, ma mai banale, per sorridere bonariamente di vizi e virtù, per ripercorrere un pezzo della nostra storia italica e scoprire (o riscoprire) il gusto di un' Italia che non c'è più, persa nel tempo passato.

martedì 14 agosto 2012

In moto. Lago di Santa Croce, Cansiglio, Alpago

Sabato, 11 agosto. Giornata di esodo estivo, siamo sotto Ferragosto, chi può è in ferie oppure sta per andarci. Pensare di trovare poco traffico o calma e tranquillità nelle principali mete di montagna per un tour in moto è velleitario. Urge scegliere una meta alternativa, fuori dagli standard turistici abituali. Per questo motivo la scelta cade sulle prealpi venete piuttosto che sulle Dolomiti, classica meta vacanziera. Carico in moto la tuta antipioggia, perchè non si sa mai, il tempo in pianura è annunciato soleggiato, ma appena si comincia a salire il rischio pioggia è dietro ad ogni curva. Collaudo anche un nuovo giubbino aerato, specifico per le giornate di gran caldo estivo in moto, al posto della normale giacca che, sebbene sfoderabile, quando la temperatura supera i 30° diventa un forno insopportabile. La tentazione sarebbe di andare via in maglietta e basta e prendersi addosso tutta l'aria possibile, ma sarebbe poco saggio. In moto bisogna sempre premunirsi contro una banalissima caduta che, seppure senza gravi conseguenze, lascia comunque il segno quanto ad abrasioni e scorticature varie.

Il comprensorio del tour odierno
La meta scelta è il lago di Santa Croce, l'Alpago e il bosco del Cansiglio. Siamo in provincia di Belluno, a due passi l'alto trevigiano con i suoi vigneti del famoso prosecco (Conegliano, Vittorio Veneto e dintorni). Natura rigogliosa, verde in quantità, prati, pascoli, viste panoramiche, ma soprattutto poca gente e tanta pace e tranquillità. Da Padova si percorre l'autostrada fino a Mestre, poi si prosegue sul nuovo passante fino ad imboccare la A27 per Belluno. Si esce poco prima del capoluogo e praticamente si è già sul lago di Santa Croce. Chi è diretto in Cadore o a Cortina, ci passa di fianco. Lo conoscono quindi tutti, ma di sfuggita, proprio perchè è una località di transito verso mete più famose e rinomate. Ma la bellezza del lago è indubbia. Specie se lo si vede dal lato opposto a quello abituale della statale Alemagna che porta in Cadore. Ci sono piccole spiagge per prendere il sole (fare il bagno è una mezza follia, considerata la temperatura dell'acqua), ma questo splendido lago è soprattutto il regno dei surfisti a vela. Una buona ventilazione lo rende infatti molto attraente per gli appassionati di windsurf (tutti rigorosamente con muta da sub per ripararsi dal gelo dell'acqua). Mi fermo per una sosta e per fare qualche foto. C'è un belvedere direttamente sul lago in un settore attrezzato per pic nic con bracieri per cucinare in loco carne o pesce alla griglia. Sono le 11 del mattino ma alcuni fuochisti sono già all'opera e un profumo di costicine e salsiccia si diffonde nell'aria....

Veduta del Lago di Santa Croce, lato sud-est
Proseguo in direzione Farra, Tambre e Chies d'Alpago (SP423). Per saperne di più cliccare qui: http://it.wikipedia.org/wiki/Alpago o qui: http://www.magicoveneto.it/Cansiglio/index.htm
La strada è praticamente deserta, attraversa boschi e piccoli villaggi di poche case. Una volta arrivato a Chies, prendo la provinciale 422 per tornare giù e indirizzarmi verso il Cansiglio. Passando dal paese leggo su una locandina di un giornalaio la notizia di tre guide alpine morte in parete per un incidente dovuto ad un vecchio chiodo difettoso di una via ferrata del posto. Brutta storia, soprattutto nelle zone di montagna dove il volontariato nel Soccorso alpino è molto sentito dalla gente del posto. Quasi un dovere mettersi al servizio degli altri. 
La strada provinciale 422 è tranquilla e piena di curve da fare in scioltezza. Non impegnative e soprattutto prive di traffico. Ideali per chi si vuole divertire e rilassare in moto senza esagerare con la velocità e con le pieghe. Il paesaggio cambia e dalle gibbosità irregolari dell'Alpago si passa alla dolcezza del Cansiglio. Si sta sugli 800-1000 metri di altitudine. Temperatura intorno ai 22 gradi. Intorno a ora di pranzo mi fermo a Pian dell'Osteria. Un nome che è tutto un programma a cui non riesco a sottrami e dunque mi fermo a mangiare in una locanda con cucina tipica locale. Che poi tanto tipica non è perchè i calzonsei alle erbette (una specie di ravioloni a forma di mezzaluna fatti a mano) e il gulasch con polenta gialla sono specialità comuni un po' dappertutto nelle montagne del nord est. Magari possono cambiare i nomi della pasta ripiena, ma la sostanza rimane più o meno simile. Tutto ottimo, specie il gulasch che invitava a leccarsi il piatto.
Da rimarcare positivamente una grande insegna con una scritta particolarmente invitante: WELCOME BIKERS! Infatti nell'arco di un'oretta di sosta per il pasto sono almeno una decina i motociclisti che si fermano. Ben vengano altri locali del genere. So che esiste anche una catena di esercizi che si contraddistinguono per questa caratteristica. Una breve ricerca si Google mi porta a questo link: http://www.bikershotel.it/. Provate a dare un'occhiata.
Piccola siesta all'ombra di un boschetto con un toscano e poi di nuovo in sella per completare il percorso. Dopo poco si esce dal bosco e la vista si apre a 360° e si entra sul Pian del Cansiglio. Una distesa verde che sembra un mare fluttuante dolcemente. Ci sono rifugi, osterie, e anche un campo da golf. Ma soprattutto si respira un senso di spazio totale con lo sguardo che non sembra avere confini.


La strada scende a fondo valle e porta a Vittorio Veneto. Il caldo torna a farsi sentire raggiungendo in breve i 32 gradi. E qui torna buono il giubbetto traforato che mi permette di evitare la sauna. Grande idea di qualche design specializzato in abbigliamento da moto, poco più di un centinaio di euro assolutamente ben spesi. Lo consiglio vivamente, perchè consente di non soffrire il caldo e di mantenere una efficace protezione con schiena, spalle e gomiti adeguatamente protetti. Da Vittorio riprendo l'autostrada per rientrare a casa e trovo ancora gli stessi avvisi del mattino che annunciano la chiusura dell'autostrada VE-TS per incidenti con coda di circa 12 km e uscita obbligatoria per la A27-A28. Allucinante. Già all'andata la situazione era compromessa, ed evidentemente a metà pomeriggio non era per nulla migliorata. Per fortuna in moto si riesce ad evitare la jattura delle code chilometriche. W la moto!
Lunghezza del tour circa 270 km complessivi con partenza da Padova. Ideale per una gita di un solo giorno in tranquillità.

giovedì 9 agosto 2012

Uomini e cani

Circa le otto e mezzo di sera. Passeggiatina con Jack (il mio cane) per sgranchirsi le zampe e fare i bisogni. Al tramonto con un po' di fresco e possibilmente con un venticello rinfrescante è anche un'ottima occasione per fumarsi in pace un buon toscano dopo cena. Attrezzato naturalmente come al solito di sacchettini per la popò di cui Jack è un indefesso produttore. Passiamo davanti ad una casa prospicente un'aiuola, Jack si avvicina ad un alberello, alza la zampa e fa pipì.
Mi sento apostrofare ad alta voce: "Ma proprio qui deve pisciare il cane?".
"E dove dovrebbe farla? Se gli scappa la fa dove capita", rispondo sorpreso.
"E invece no, gliela fai fare da un'altra parte, qui no".
"Signora, siamo in un luogo pubblico, non c'è nessun divieto. Se il cane fa la popò la raccolgo, se fa la pipì vorrà dire che ha innaffiato l'aiuola..."
"Questa è casa mia e tu il tuo cane te lo tieni a pisciare a casa tua"
"Signora, questa non è casa sua, è un luogo pubblico e non posso certo mettere un catetere al cane oppure un pannolone perchè lei considera l'aiuola in strada come fosse di sua proprietà".
"E io chiamo i vigili"
"Chiami chi vuole, il cane non ha fatto nulla di vietato e intanto cominci lei a non infastidire la gente gridando per strada e quando arrivano i vigili li saluti da parte mia". ("e vaffan--- brutta strega" ho aggiunto mentalmente).

Morale della favola, ne ho le palle piene di quelli che si sentono padroni di tutto ciò che li circonda e non si fanno scrupoli di imporsi con le cattive maniere e la maleducazione sugli altri. Oltretutto senza riuscire a considerare che un cane come ogni essere vivente ha dei bisogni corporali che in qualche modo deve pur soddisfare secondo natura. E che la brava signora tanto igienista quanto padrona dell'aiuola pubblica se ne faccia una ragione. E che si fotta.

sabato 4 agosto 2012

Dei delitti e delle pene

Federica Squarise
Forse è una storia come ce ne sono tante. Forse acquista risalto perchè l'ambiente è quello di provincia e non quello delle grandi metropoli. Ma del caso Squarise, qui dalle mie parti, se ne parla e con toni accesi e molto convulsi. Basta dare una letta ai commenti dei lettori sulle pagine web della stampa locale.
Non si placano infatti le polemiche dopo la sentenza che ha punito con 17 anni e 9 mesi di reclusione l’assassino di Federica Squarise. Una polemica che vede protagonista, in primis, Luca Zaia Governatore della Regione Veneto (Lega Nord), che invita a “gettare la chiave della cella” di Victor Diaz Silva, detto “el Gordo”, che in una notte orrenda di 4 anni fa, a Lloret de Mar (Spagna), uccise i sogni di Federica Squarise, 21 anni, di San Giorgio delle Pertiche (PD). La ragazza, in vacanza con un’amica, al termine di una serata in un locale della zona fu prima violentata, poi uccisa e sepolta nella pineta: in pochi giorni l’autore del delitto è stato arrestato e poi processato dalle autorità spagnole.  Quasi 18 anni di carcere non soddisfano però i genitori della povera vittima, nè tanto meno il Presidente della regione Zaia. Pochi 18 anni, ce ne vorrebbero di più. L'assassino doveva prendere l'ergastolo o meglio ancora, la pena di morte. Quasi che -aggiungo io- questo servisse a restituire in vita la povera Federica.
Succede che a questo punto nel dibattito interviene un prete, don Marco Pozza, giovane e attivo nel sociale (cappellano del carcere di Padova) che invita ad abbassare i toni di chi reclama pene definitive ricordando che il carcerato deve sì scontare la sua pena, ma che "buttar via la chiave" non serve al suo recupero. In ottica etica e laica, ma anche morale e cristiana.
Apriti cielo! Provate a immaginare le reazioni rabbiose e feroci verso chi si azzarda a non allinearsi con l'atmosfera forcaiola che regna oggigiorno in Italia. Molto grossolanamente il giovane prete viene accusato di volere un assassino a piede libero, di fregarsene del dolore dei genitori e della famiglia della vittima, di riempirsi la bocca di principi cristiani buonisti e che non trovano riscontri nelle Sacre Scritture dove invece sarebbe contemplata la legge del taglione come strumento di giustizia terrena. Addirittura viene anche rispolverato lo scandalo dei preti pedofili per negare a don Marco Pozza il diritto ad esprimersi sul tema giustizia. Quale sia il nesso tra i due fatti, difficile dirlo. Ma l'importante è lanciare invettive contro il giovane prete.
Ecco due articoli sull'argomento. Il primo riporta l'intervento di don Pozza in seguito alla presa di posizione del governatore del Veneto; il secondo la replica piccata di quest'ultimo.
http://mattinopadova.gelocal.it/cronaca/2012/07/30/news/il-caso-squarise-zaia-basta-con-i-ragionamenti-da-osteria-1.5476354

http://mattinopadova.gelocal.it/cronaca/2012/07/30/news/zaia-don-marco-lei-mi-ha-stupito-con-tanta-cattiveria-1.5476367

In estrema sintesi: a) pochi 18 anni, dovevano essere molti di più; b) se la legge prevede 18 anni è giusto così, nell'ottica del recupero del condannato. Due posizioni nette e precise, contrapposte fino ad essere inconciliabili. Tralascio le considerazioni sul politico di turno, pronto a cavalcare la tigre del malcontento per mero tornaconto di consensi elettorali. Figuriamoci cosa sarebbe successo se l'assassino fosse stato un extracomunitario o una persona di colore...!!
Questo caso di cronaca e relativi strascichi mi hanno fatto riflettere a lungo. Certo, il primo impulso sarebbe quello di cancellare dalla faccia della terra l'assassino che ha oltraggiato e poi distrutto una vita umana. La vita, è bene ricordarlo, di una giovane ragazza che aveva solo 21 anni e tutto il diritto a costruirsi un'esistenza e godersela al meglio secondo i propri desideri e le proprie aspettative. Ma questa prima istintiva reazione è quella giusta? Se i 18 anni comminati dalla legge spagnola  sembrano pochi (il che non mi sembra differisca molto da quella italiana), forse 30 avrebbero cambiato qualcosa allo stato dei fatti? Il numero degli anni da infliggere in sentenza è un concetto elastico e adattabile secondo gli umori generali del momento o risponde a criteri precisi fissati dalla legge stessa? Inoltre, sia per la giustizia spagnola che per quella italiana, uno degli obiettivi della pena è, oltre alla punizione per il reato commesso, anche la costruzione di un percorso di recupero della persona condannata. Stante la sentenza attuale, l'assassino di Federica uscirà di galera quando avrà circa 50 anni. Da profano mi sembra evidente che a quell'età forse sia ancora possibile un recupero del reo come stabilito dalla Costituzione. Si può dire la stessa cosa uscendo invece di galera a quasi 70 anni? Comunque si voglia considerare il problema, risulta difficile dare una risposta esaustiva. Forse perchè non esiste una risposta esaustiva. Ma in un paese come l'Italia che si proclama cristiano (a parole, evidentemente) suona davvero singolare reclamare una pena senza fine o la pena di morte. E i valori della Carità e del Perdono sono concetti buoni solo per il Catechismo di infantile memoria, pura teoria da accantonare nella vita quotidiana? Posso capire il punto di vista dei familiari della povera vittima e non credo di poter nemmeno lontanamente immaginare il loro dolore, ma non giustifico chi invece rimesta nel torbido in una logica di annientamento dell'individuo riconosciuto colpevole. E il fatto che sia un politico come il celodurista Zaia a cavalcare la tigre del malcontento la dice lunga sulla strumentalità delle polemiche scatenate contro il prete/cappellano del carcere di Padova che ha osato intervenire sull'argomento. Alla luce di queste considerazioni, mi sento del tutto dalla parte del giovane don Marco Pozza, che la realtà del carcere la vive e la conosce.  Speriamo solo che la legge spagnola sia di quelle che garantiscono la certezza della pena. Se fossimo in Italia, tra sconti, indulti e amnistie, non ci sarebbe proprio nulla di strano nel vedere un assassino libero per strada solo dopo pochi anni. I 18 anni di pena lo stupratore assassino invece se li deve assolutamente fare tutti. Soltanto dopo avrà saldato il suo debito con la giustizia.
Ma questo è un altro discorso...