domenica 29 gennaio 2012

Film visti. Sbrirri, bastardi e fratelli

ACAB - All Cops Are Bastards

Regia di Stefano Sollima.
Con  Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro, Marco Giallini, Andrea Sartoretti.

[Voto: 3,5 su 5]
 
 
Fino a ieri, per me Acab (o Achab o Ahab nelle varie forme grafiche), è sempre stato solo un personaggio letterario, creato da Hermann Melville nel romanzo Moby Dick. E' il capitano della baleniera Pequod, ha armato la nave e issato la vela unicamente per dare la caccia al mostruoso cetaceo (la balena bianca) che gli ha strappato la gamba e lo ha reso storpio. Un uomo che combatte a modo suo il male. Una guerra personale senza esclusione di colpi. Se vogliamo, anche il film tratto dall'omonimo libro di Carlo Bonini, scrittore e giornalista del quotidiano “la Repubblica”, parla di una lotta senza quartiere contro un nemico che è o potrebbe essere ovunque, fino al punto di diventare un'ossessione e un Moloch devastante. A combattere questa guerra mitologica sono dei poliziotti del reparto Celere e un mondo intero di irregolari, tutta gente border line, composto da delinquenti di ogni tipo e razza. Ma andiamo con ordine.
Che film! Denso di contenuti, di storia e di storie, di personaggi, di situazioni, di drammi. Certamente da non prendere a cuor leggero, tipo filmetto domenicale. Ma ne vale la pena, perchè ci offre un punto di vista delle cose e dei fatti insolito, al quale spesso non badiamo proprio. Quello dei poliziotti.
Lo so che di poliziotti al cinema se ne vedono bizzeffe, di buoni, di cattivi, di onesti, di corrotti, di eroici e di felloni. Ma il fatto è che sono tutti o quasi personaggi americani o genericamente stranieri. Gli sbirri di cui il regista Sollima ci mostra la vita quotidiana sono assolutamente italiani. Non cops, ma sbirri. Poliziotti della Celere, ma potrebbero essere Carabinieri o appartenenti ad altri corpi o ad altre armi. Sono italiani e filtrano il vissuto quotidiano con la testa e il cuore di noi italiani, non degli americani di New York o di Los Angeles di cui francamente abbiamo le tasche piene.
Cobra, Negro e Mazinga sono celerini. Fanno servizio di ordine pubblico. Vivono in strada. Rischiano la pelle ogni giorno. Le prendono e le danno in egual misura. Usano soprannomi perchè creano un rapporto più intimo e più stretto dei nomi di persona. Si considerano "fratelli" perchè l'essere colleghi o amici non è abbastanza. Il legame che li unisce va oltre l'amicizia. Il perchè lo spiega uno di loro, il celerino Cobra, interpretato dal sempre più bravo Pierfrancesco Favino. "Quando si vive in strada per servizio, tra spacciatori e ultras violenti, tra teste rasate e naziskin o black blok, tra delinquenti di ogni tipo e la violenza è il tuo pane quotidiano, quando ti prendi gli sputi addosso senza reagire, perchè un bravo celerino non reagisce ma mantiene la calma, quando sei solo contro tutti, ti rimangono solo i "fratelli", poliziotti come te che vivono e soffrono come te. Non hai nessun altro su cui contare, solo loro, i fratelli". Un atto d'accusa forte e chiaro da parte di chi non si sente tutelato nel suo "sporco" mestiere di poliziotto da strada. Il problema è che questi poliziotti vivono la violenza, sono in grado anche di gestirla e controllarla. Ma finiscono col drogarsi di quella stessa violenza. Se ne inebriano e la vivono come amministrazione di una giustizia privata, assoluta e insindacabile che tiene poco o nulla in conto la legge. Quella con la "L" maiuscola, dello Stato, preferendole quella della strada, vissuta tutti i giorni fianco a fianco con i fratelli. E allora sono botte, prepotenze, vendette personali e tutto diventa una sorta di giustizia sommaria, in cui il giudice e il giustiziere sono un tutt'uno. Sono loro. I fratelli.
La linea di demarcazione fissata dall'uso della violenza, tra abuso e legittimità, è labile e sottile. Spesso finisce per confondersi, diventa evanescente e altrettanto spesso finisce per cancellarsi e scomparire. Ecco che allora la pratica quotidiana della violenza legittima perchè praticata dalle forze dell'ordine in caso di necessità, diventa abusiva e abituale, finendo con la degenerazione incontrollata, perchè i "fratelli" si arrogano il diritto, che alla lunga diventa un dovere, di amministrare la loro giustizia a prescindere da quello dello Stato che la loro divisa rappresenta.
Questa comunanza di vite e di anime diventa un simulacro che finisce per sostituirsi alle loro famiglie, inesistenti o distrutte che siano. Abbandoni, incomprensioni, separazioni sono la loro realtà familiare quotidiana. La vita privata, gli affetti i punti di riferimento tradizionali sono letteralmente un disastro e anche i primi a saltare. Mogli, figli, madri passano in secondo piano, sacrificati per chi o per cosa?. Per i "fratelli" prima di tutto e per la voglia di farsi giustizia da sè.
La vicenda del film è circostanziata da riferimenti storici e di cronaca precisi. L'irruzione nella scuola Diaz durante il G8 di Genova, l'omicidio del poliziotto Raciti a Catania, del tifoso laziale Sandri sono tappe dolorose della storia più recente d'Italia che vedono come protagonisti o vittime i poliziotti. Nel bene e nel male loro ci sono sempre in mezzo. Sono e si sentono dei guerrieri in armi e come tali sono raffigurati in un dipinto all'interno della caserma dove sono di stanza a Roma. Guerrieri che sono pronti a immolarsi, ma non senza aver prima venduto cara la pelle.
L'epilogo del film, se vogliamo, è ancora più amaro, perchè nella sostanza allontana quell'idea di redenzione che ci si aspetta di cogliere prima o poi. Il pregio del film, ma se vogliamo anche il suo limite, è che non giudica i personaggi e la vicenda, ma si limita a metterli in mostra. Come spettatore, più volte durante la visione del film mi sarei aspettato una presa di posizione netta. Invece Sollima sceglie di restare alla finestra e di limitarsi a offrire il tema. Giusto o sbagliato che sia, le conclusioni e i giudizi li lascia a noi.
Ottimi gli interpreti che devono aver fatto un lungo e approfondito lavoro di preparazione per assimilare le tecniche e i movimenti dei veri celerini negli scontri di piazza.  Bella e adrenalinica la colonna sonora.

sabato 28 gennaio 2012

Film visti. La solita mission impossible


Mission impossible IV - Protocollo fantasma
Regia di Brad Bird.
Con Tom Cruise, Jeremy Renner, Paula Patton, Michael Nyqvist.

[Voto 2 su 5]



Paula Patton

Ormai Ethan Hunt e la serie di Mission impossible sono un doppione in tutto e per tutto di James Bond&007. Anzi, probabilmente non è azzardato ipotizzare un sorpasso in termini di spettacolarità. Anche l'impianto narrativo è molto simile. Si incomincia con l'epilogo di una missione per poi passare a quella nuova che terrà banco per tutto il fil. La bellona a fianco del super agente è sempre di una bellezza mozzafiato; il cattivone di turno ha sempre un'infaticabile propensione a distruggere il mondo; la spericolatezza delle scene d'azione è ben oltre la più fantasiosa verosimiglianza, le strumentazioni avvenieristiche a disposizione dei protagonisti sono stufecacenti e spettacolari. Insomma ormai il copione è ben noto e, diciamolo, piuttosto ripetitivo. Tuttavia per gli amanti del genere rimane sempre un appuntamento da non perdere. Salvo poi essere dimenticato, appena fuori dal cinema.

Halle Berry
Non fa eccezione questa quarta puntata della mission intitolata Protocollo fantasma. L'unica particolarità veramente degna di nota è la statuaria bellezza della co-protagonista Paula Patton che tuttavia non riesce ad essere seducente quanto la somigliantissima ma inarrivabile Halle Berry.
Una curiosità: il cattivo di turno che vuole distrugggere il mondo è impersonato dall'attore svedese Michael Nyqvist, visto nei panni di Mickael Blonqvist nella trilogia di Millennium tratta dai romanzi di Stieg Larsson (Uomini che odiano le donne e successivi). Una faccia troppo poco cattiva per essere credibile nelle vesti di aspirante distruttore del mondo. Molto meglio nella parte di giornalista virtuoso.
Detto questo, detto tutto. Buon divertimento.

lunedì 23 gennaio 2012

Libri. Scerbanenco, scrittore d'altri tempi



Lo scandalo dell'osservatorio astronomico
di Giorgio Scerbanenco










E' il secondo libro di Scerbanenco che leggo, entrambi dedicati alla figura del poliziotto Jelling. Poliziotto sì, ma sui generis, perchè in realtà è un semplice archivista promosso al ruolo di investigatore per meriti conquistati sul campo. In "Nessuno è colpevole" avevamo imparato a conoscere questo personaggio anomalo nel panorama dei poliziotti made in Usa. Timido, introverso, riservato, ben educato, decisamente fuori dai clichè abituali del "cop" americano tradizionale. Si tratta, come per il precedente libro, di una pubblicazione postuma (l'autore è scomparso alla fine degli anni 60), frutto dell'ostinato lavoro di ricerca della figlia di Scerbanenco, Cecilia, che in omaggio alla figura del padre, lo ha riesumato e dato di recente alle stampe di Sellerio.
Si tratta di un classico esempio di letteratura noir d'antan. Senza cedimenti ad eccessi violenti o sanguinolenti, tutto giocato sul filo dell'intuizione e della deduzione logica dell'investigatore. Un gioco di incastri sottile ed appassionante che, è bene dirlo, può sembrare stucchevole se paragonato agli standard attuali. Ma che ha una sua cifra inconfondibile, come inconfondibile è anche lo stile letterario di Scerbanenco, con quell'uso della prosa tipica degli anni 50-60, arcaica se vogliamo, ma tanto elegante e raffinata. A cominciare dall'uso dei pronomi personali (al giorno d'oggi in disgrazia), di certi vocaboli ormai desueti ma anche tanto eleganti, della vecchia e fascinosa consuetudine di italianizzare i nomi di battesimo dei protagionisti stranieri. E' come andare a vedere un vecchio film noir in bianco e nero e lasciarsi trasportare dalle voci di quei doppiatori di una volta, tanto care e tanto apprezzate.

sabato 14 gennaio 2012

Film visti. George e Karla, la strana coppia di spie

La talpa
Regia: Tomas Alfredson
Con:  Gary Oldman, John Hurt, Toby Jones, Colin Firth, Tom Hardy, Mark Strong.

[Voto: 2,5 su 5]


Titoli di coda, le luci in sala si accendono, il pubblico defluisce. Mi guardo intorno, guardo mia figlia (che bello andare al cinema con i figli grandi...). Vedo facce impenetrabili, espressioni serie e pensose, nessuno parla, nessuno sorride, tutti o quasi a testa china intenti a recuperare giacconi e cappotti. In genere è immediato e istintivo guardarsi negli occhi e scambiare qualche sguardo di intesa per dirsi se il film è piaciuto, se si è soddisfatti o annoiati. Nessuno si azzarda a fare o dire nulla per paura che scatti la domanda fatidica: "Ma ci hai capito qualcosa"? Perchè il problema è proprio questo: il film nel complesso è ben fatto, ottimamente recitato, con una ricostruzione storica e ambientale accurata. Ma la trama è di un complicato diabolico, intricatissima, non si capisce una beneamata mazza. Già dalle prime scene appare evidente la difficoltà a seguire fatti, personaggi e situazioni. La ricerca di una chiave di lettura e di interpretazione per delineare al più presto la vicenda è vana e naufraga miseramente di fronte ad un tourbillion di facce, di luoghi, di scene che cambiano in rapida sequenza. Sono riuscito ad associare i nomi dei protagonisti, spesso indicati con nomignoli convenzionali oltre che con i loro veri nomi, solo dopo una buona mezz'ora. Oltre a ciò si aggiunga una certa lentezza narrativa e il gioco è fatto. Il risultato è una certa irritazione di fronte al dipanarsi della trama che come spettatore si subisce invece di parteciparvi, con una fastidiosa sensazione di impotenza.

Dicevo degli attori. Tutti veramente molto bravi e credibili. Ciascuno con una sua fisionomia ben delineata e individuabile. Bella anche l'atmosfera da piena guerra fredda che riesce a trasmettere l'insicurezza di come niente sia come sembra o potenzialmente tutto sia una minaccia incombente. La spietatezza della guerra di spie si intuisce più che vedersi, salvo un paio di scene alquato truci e sanguinolente. Ma siamo abituati a ben di peggio. Alla fine la caccia alla talpa sovietica infiltrata nei servizi di intelligence britannici si risolve in un duello a distanza che affonda le sue radici nel tempo tra George Smiley/Gary Oldman e Karla, che a dispetto del nome non è una donna, bensì un pericoloso e spietato agente sovietico (non si vede mai in faccia...). MI6 contro KGB, con la Cia americana a fare da sfondo. Storia di altri tempi, si dirà. Ma è proprio così oppure sotto altri nomi e con altri scenari e altri protagonisti questa lotta tra poteri economici e militari si perpetua tuttora in segreto?  George e Karla sono i veri protagonisti della vicenda perchè l'inglese mira a scoprire l'identità della talpa infiltrata da Karla e nel corso della storia si scopre che tra i due in passato c'era stato un contatto diretto, sebbene nessuno dei due sapesse chi fosse in realtà l'altro o chi sarebbe diventato nel prosieguo di carriera. Due vecchi nemici che si fronteggiano dagli opposti schieramenti, con sacrificio personale che li coinvolge direttamente in prima persona.
Non dirò nulla, ovviamente, dell'esito della caccia alla talpa. Ci mancherebbe altro che in un film così diabolicamente complicato da seguire si riveli anche il finale... Sarebbe davvero troppo!

mercoledì 11 gennaio 2012

In moto anche col gelo nel primo week end dell'anno

Chi l'ha detto che con la brutta stagione la moto è destinata a rimanere in garage? Certo, non la si può usare con la stessa facilità e frequenza dei periodi più caldi, ma se la passione non ci molla neanche con la colonnina di mercurio vicina allo zero basta cogliere al volo una bella giornata soleggiata e ...buon divertimento.
Questo lungo fine settimana dell'Epifania appena trascorso è stato per l'appunto contrassegnato da tempo bello, ma freddo. Mi riferisco al Veneto, perchè in altre parti d'Italia è stata tutt'altra cosa. Quale occasione migliore per collaudare "sul campo" l'ultimo acquisto fatto sfruttando il periodo dei saldi? Si tratta di pantaloni da moto, specifici per il periodo invernale, con imbottitura termica per affrontare anche i climi più rigidi  e membrana in Gore-tex antipioggia e traspirante. Lo ammetto, non ci stavo più nella pelle dalla voglia di collaudarli, come i bambini che ricevono i regali di Natale e sono impazienti di giocarci subito. Anche noi adulti, per certe cose, non siamo tanto diversi dai bambini...
Finora utilizzavo pantaloni da moto in tessuto rinforzato in kevlar anti caduta, con l'aggiunta di una calzamaglia di pile sottile. Un abbinamento molto caldo, ma che non teneva completamente l'aria e, alla lunga, il freddo. Non adatto quindi ai lunghi percorsi, ma solo al giretto domenicale di piccolo/medio raggio. Il nuovo abbigliamento ha invece brillantemente superato la prova consentendomi una percorrenza ben più impegnativa: Padova-Lignano Sabbiadoro per complessivi 270 km tra andata e ritorno. Una giornata intera, senza avvertire nessuna sgradevole sensazione di freddo. Fatta eccezione per le mani, che nonostante i guanti invernali, hanno sofferto parecchio nonostante il manubrio della Caponord sia dotata  di paramani di serie. Ci vorrebbero le manopole riscaldate, ma non sono previste nel catalogo Aprilia e non so se siano disponibili sul mercato degli accessori universali nella versione adattabile alla Caponord.

Partenza alle 9.30 del mattino con temperatura di 2°. Sole splendido e quasi abbagliante. Autostrada fino a Latisana per poi puntare verso est in direzione mare. Un viaggio in solitudine, nessun'altra moto incrociata lungo il tragitto. Cosa insolita, ma più che comprensibile considerata la stagione e la temperatura. Devo proprio essere l'unico pazzoide ad andare in giro con questi freddi... chiedere conferma alle mie mani in versione "ghiacciolo"...

Era da un bel po' che non andavo a Lignano. L'ultima volta fu qualche anno fa in occasione di un torneo di beach rugby. Ma era luglio, altra atmosfera e altra situazione e soprattutto ben altre temperature. Naturalmente l'8 di gennaio questa località marina risulta quasi anestetizzata dalla assoluta quiete e dal silenzio sovrano, una specie di città fantasma. Al contrario, nelle stagioni estive è  brulicante di gente fracassona e festosa, mezza ignuda in costume da bagno, con la voglia di divertirsi e, possibilmente, trasgredire. Invece, case chiuse e finestre sbarrate dappertutto. Negozi in disarmo, strade vuote, silenzio impenetrabile ovunque. Un effetto stranissimo. Solo nelle immediate vicinanze del centro storico si vedeva un po' di gente intorno ai pochissimi bar aperti. La spiaggia di Lignano è sterminata. Si perde a vista d'occhio suddivisa nei tre tronconi Sabbiadoro, Riviera e Pineta. Chilometri e chilometri. La cosa bella è che è assolutamente accessibile per chiunque voglia farsi una passeggiata in riva al mare. Non è così dappertutto.
A Sottomarina di Chioggia, per esempio, la spiaggia è difficilmente accessibile. Solo qualche varco, per il resto è tutto sbarrato e sotto chiave. E' un'assurdità che per accedere in spiaggia demaniale e quindi pubblica si debba scarpinare a lungo prima di trovare un accesso. I lidi e i ristoranti sono contigui gli uni agli altri e tutti recintati e sbarrati. Con la conseguenza che in spiaggia non si arriva assolutamente se non cercando i varchi, che sono pochi e molto distanti tra loro. A Lignano no, la spiaggia è lì a disposizione di tutti e facilmente raggiungibile. Da tener presente per una passeggiata domenicale. Intanto mi sono goduto il bel sole che mi ha scaldato e rilassato. Termometro a 11-12 gradi, mica male!
Dopo un frugale pasto e un buon sigaro, nel primo pomeriggio si prende la strada di casa. Siamo in inverno, il sole tramonta presto e la temperatura scende rapidamente.
Alla prossima gita su due ruote...

venerdì 6 gennaio 2012

Film visti. J. Edgar Hoover, il potere sono io

J. Edgar
Regia: Clint Eastwood
Con: Leonardo Di Caprio, Naomi Watts, Armie Hammer, Judi Dench, Josh Hamilton, Geoff Pierson, Ken Howard, Dermot Mulroney

[Voto: 4 su 5]

Premetto che l'esercizio di scrittura di questo post sarà quello di non indulgere nell'uso dei superlativi. Perchè con un film come J. Edgar, con un regista come Clint Eastwood e con un attore come Leo Di Caprio è veramente molto facile e naturale usare aggettivi sparati al massimo grado.
Un cenno sul personaggio principale del film, perchè sono sicuro che non sia una figura generalmente nota, almeno qui in Italia. 
J. Edgar Hoover è stato l'uomo più potente degli Stati Uniti d'America per quasi mezzo secolo. A capo dell' FBI per circa 48 anni fino alla data della sua morte nel 1972, non si è fermato davanti a nulla pur di proteggere il suo paese. Con lui e sotto la sua guida l'FBI è nata e si è sviluppata fino a diventare ciò che conosciamo noi, uno strumento investigativo al servizio del governo USA. Un mito per scrittori e sceneggiatori che, basandosi sulle indagini del Bureau, hanno costruito migliaia e migliaia di libri, film, telefilm, piéce teatrali. Un'istituzione che è diventata nell'immaginario collettivo degli americani e non solo degli americani, il simbolo per eccellenza di massima sofisticazione tecnologica investigativa. Le polizie di tutto il mondo si sono ispirate al modello FBI, pensate semplicemente ai nostrani ROS dei Carabinieri che quando devono essere presentati o catalogati sono sempre definiti "la versione italiana dell'FBI americana". Restando in carica durante i mandati di ben 8 Presidenti e tre guerre, Hoover ha dichiarato guerra a minacce sia vere che immaginarie, spesso infrangendo le regole per proteggere i cittadini americani. Il suo fantasma preferito da perseguire e combattere erano i comunisti. Un uomo, Hoover, che sarebbe piaciuto a Berlusconi sotto questo aspetto, con la differenza che egli aveva a che fare con i veri comunisti nel periodo della formazione dell'impero sovietico e della guerra fredda, mentre il nostrano Berlusca i comunisti li utilizza come espediente elettoral-propagandistico, quando ormai del comunismo in Italia e (quasi) nel mondo non vi è praticamente più traccia. I metodi di J. Edgar Hoover erano allo stesso tempo spietati ed eroici e la sua più grande ambizione era quella di essere ammirato a livello globale. Hoover è stato un uomo che dava grande valore ai segreti - soprattutto a quelli degli altri - e non ha mai avuto paura ad usare le informazioni in suo possesso per esercitare la sua autorità sui leader più importanti della nazione. Con intercettazioni di vario tipo (un dossier segreto non mancava per nessuno...) aveva praticamente in pugno chi deteneva il potere politico negli Usa, senza eccezioni di sorta, dai Kennedy a Martin Luther King, dai capi del Ku Klux Clan alle mogli con inclinazioni omosessuali dei politici di rilievo. Consapevole che la conoscenza è potere e che la paura crea le opportunità, ha usato entrambe per ottenere un’influenza senza precedenti e per costruirsi una reputazione che era formidabile e intoccabile.
Il film di Eastwood presenta il personaggio con assoluta credibilità e fedeltà, fino quasi ad essere spietato nel dipingerlo con tutti i suoi difetti. Edgar era un vanesio con manie di protagonismo. Succube della mamma con cui ha sempre convissuto fino  alla sua morte. Omosessuale tollerante con se stesso, ma intransigente e spietato con gli altri, che era pronto a ricattare in nome della ragion di stato e della sicurezza nazionale. Il film ce lo racconta su un doppio binario attraverso gli avvenimenti inseriti in un libro di memorie che Edgar detta ad un suo collaboratore e i flash back con una splendida fotografia quasi in bianco e nero che proietta lo spettatore dentro gli avvenimenti narrati. Questo continuo salto dal presente al passato vede Di Caprio impersonare il protagonista da quando era un giovane appena ventenne fino alla sua morte. Una magistrale prova d'attore che lascia incantati, con un contorno di altri interpreti di assoluto valore, a cominciare da Naomi Watts nel ruolo della fedele e devota segretaria personale, fino a Judy Dench nel ruolo della mamma dominatrice (..."preferisco un figlio morto che un figlio gay" dice rivolgendosi a Edgar).
Clint Eastwood ci restituisce un Edgar dominatore del suo tempo, despota spietato e incoerente, indulgente con se stesso, ma inflessibile e terrile nei confronti degli altri che giudica potenziali nemici del suo paese. Non si ferma di fronte a niente e a nessuno, cercando sempre e comunque di mettersi in mostra e di apparire come strenuo difensore della legalità. Esemplare e significativa la situazione immaginata da Clint in cui Edgar si affaccia al suo balcone per vedere il passaggio dei cortei presidenziali. Una specie di cerimoniale, una sorta di imprimatur, che si ripete varie volte con diversi presidenti. Un simbolo di come il vero potere molto spesso non sia quello dei politici, ma di chi sta alle loro spalle. I presidenti passano, J. Edgar Hoover resta...
Uno splendido film da vedere assolutamente.

martedì 3 gennaio 2012

Libri. Il silenzio dell'onda

Il silenzio dell'onda
di Gianrico Carofiglio

Sono un fan di Gianrico Carofiglio e questo forse mi porta ad amare aprioristicamente i suoi libri (tutti letti, tranne uno alquanto anomalo, La manomissione delle parole). Questo suo ultimo romanzo non appartiene al filone noir dell'avvocato Guerrieri (pubblicazione riservata a Sellerio) che rimane la punta di diamante della sua produzione letteraria. In un certo senso lo si può per questo considerare un romanzo minore? Un "di cui" che consente all'autore di uscire dal seminato costruito intorno al suo personaggio abituale? La critica ha accolto tiepidamente questo suo ultimo lavoro, forse un po' troppo duramente e severamente, a mio avviso. Perchè Il silenzio dell'onda è un bel romanzo che narra di un uomo che ha alle sue spalle una vita vissuta pericolosamente e che gli ha lasciato addosso dei segni devastanti per la sua psiche. Tant'è che arriva ad un passo dal suicidio e costretto a ricorrere al sostegno di uno psichiatra. La storia di Roberto (il nome del protagonista) si svela al lettore attraverso le sedute dallo psicoterapeuta, nel corso delle quali un po' alla volta riesce a tirar fuori quanto di brutto ha dovuto affrontare nella sua attività di carabiniere infiltrato nella malavita organizzata. Brutto mestiere, dove la menzogna e la finzione sono regole di vita fino al tradimento finale che porta tutti "i cattivi" in galera. Già, perchè le indagini sotto copertura sono vissute da Roberto come dei tradimenti nei confronti delle persone cui aveva carpito la fiducia, sia pure trattandosi di criminali della peggior specie. Ma il fatto di vivere con loro, di comportarsi come loro e di conquistarsi giorno dopo giorno la loro fiducia fino a d essere considerato da tutti un amico, fa sì che la conclusione delle indagini, invece di essere vissute come il coronamento del suo lavoro di intelligence assicurando alla giustizia i malviventi (e non si tratta di ladri di polli...), divengano dei veri e propri sconvolgimenti della sua vita, soprattutto interiore. L'assistenza dello psichiatra, forse una delle figure meno riuscite del libro, porta comunque a far esplodere il bubbone e Roberto si libera di ciò che si portava dentro e che gli rode l'anima. Manco a dirlo, la chiave di volta è una storia di innamoramento che finisce per inquinare il suo comportamento da sbirro. Unire il lavoro ai sentimenti diventa fatale per il suo equilibrio psichico.
Insomma, in buona sintesi, è la storia di una crisi interiore grave e da cui è difficile affrancarsi. Il lettore è portato a immedesimarsi in Roberto, perchè in fin dei conti ciascuno di noi nella propria esistenza ha attraversato momenti di crisi, forse anche forti e distruttivi. Per questo motivo il racconto di Roberto lo sbirro infiltrato finisce per essere introiettata, sia pure fatte le debite proporzioni.
Il silenzio dell'onda è un libro che parla del bene e del male, di amore e di dolore, di gioia e di colpa…La ricerca disperata di un perdono… è il cerchio della vita, di storie di padri e di figli che si cercano soprattutto quando non ci sono più e la cui assenza diventa insopportabile.
La vena noir di Carofiglio si rivela nella storia parallela di un bambino appena dodicenne che inizialmente non si capisce che ruolo abbia esattamente nell'economia del racconto. Fino a quando tutto appare chiaro e la vicenda vira rapidamente verso un epilogo molto meno psicologico e molto più d'azione. E' la catarsi di Roberto che, messo davanti alla concretezza di una situazione reale e drammatica, ritrova il suo spirito di sbirro che pure lo aveva affossato portandolo alla crisi in cui sguazzava da troppo tempo, ma che alla fine lo aiuta a venirne fuori.
Per Roberto, appassionato surfista negli anni della fanciullezza sulle orme del padre scomparso, l'onda del titolo diventa immagine simbolica. Perchè un conto è aspettare che la grande onda arrivi tentando di stare a galla e sopravvivere, altro conto è afferrare la tavola da surf, issarvisi sopra e cavalcarla. Per domarla, come i casi della vita.
Ho trovato la lettura del libro molto coinvolgente in un crescendo che mi ha portato a fare le tre di notte per finirlo. Non mi succede spesso. Per i miei parametri è un ottimo segnale.