giovedì 30 giugno 2011

Libri. Scerbanenco, un giallo di classe

Nessuno è colpevole
di Giorgio Scerbanenco


Fine anni '30, Stati Uniti. Boston, città della costa orientale, "bianca" e "nobile" per eccellenza, secondo i canoni americani. Immaginate il tipico film d'epoca in bianco e nero, dalla luce vivida e le strade perennemente bagnate. Gli uomini vestono completi grigi inappuntabili con i classici pantaloni larghi e corti alla caviglia che lasciano scoperto il calzino e portano il cappello di feltro. Le signore indossano civettuoli cappellini, spesso con la veletta, e quando parlano embra che cinguettino. E' l'America classica, quella che la mia generazione di cinquantenni ha imparato a conoscere fin da ragazzi attraverso i film polizieschi (ma non solo) americani. Wishy and cigarettes, per intenderci.
A dire il vero di liquori e sigarette in questo libro di Scerbanenco se ne vedono pochi, meno di quanto ci si potrebbe aspettare, visto il genere. Ma i canoni del poliziesco ci sono tutti. E sono canoni che privilegiano il ragionamento e la deduzione logica dell'investigatore piuttosto che l'azione o le sparatorie. Il poliziotto di turno è mister Jelling, funzionario mite e timido, ma dotato di grande acume e intelligenza investigativa. Il caso che gli si prospetta è già risolto dall'inizio, in quanto il colpevole si presenta spontaneamente ed è reo confesso. Tutto chiaro, tutto finito? Sentenza già scritta e cappio al collo assicurato? Niente affatto. Jelling non ci vede chiaro, c'è la questione di una ricca assicurazione sulla vita che cambia beneficiario poco prima della morte della vittima. Le indagini faranno luce sulla vicenda dipanando la matassa con taglio riflessivo e induttivo.
Il meccanismo poliziesco è quindi sconvolto o capovolto, non c'è un colpevole da scovare, ma le dinamiche di un omicidio da chiarire e dipanare. Un meccanismo alla rovescia, in virtù del quale il lettore assume un ruolo diverso e partecipato. Da sottolineare il linguaggio quasi ormai dimenticato (è stato scritto a metà del secolo scorso), elegante e mai pesante o volgare. Direi quasi affascinante come la linearità della narrazione che non salta da una situazione all'altra come d'uso nella letteratura dei nostri giorni.
Insomma, una lettura da consigliare e gustare.

domenica 26 giugno 2011

In moto. Lago di Barcis (Valcellina)

Il lago di Barcis in una immagine estiva
La meta di oggi è il lago di Barcis, appena oltre il confine tra Veneto e Friuli. Arrivati a Longarone provenendo dall'autostrada A27 per Belluno si prende a destra in direzione Diga del Vajont, quella della disastrosa inondazione degli anni '60 che fece strage nel paese sottostante. Un'occhiata al sito è d'obbligo, in considerazione di quanto successe quasi cinquant'anni fa. Proseguendo per la statale 251 sarà facile incrociare sciami di motociclisti, trattandosi di una bella e tortuosa strada che si snoda lungo il corso del torrente Cellina che da il nome alla valle. L'altitudine è modesta, si rimane al di sotto dei 5-600 metri, ma il panorama è molto bello a ridosso delle Dolomiti friulane (e dell'omonimo Parco), dopo aver lambito quelle bellunesi (proseguendo da Longarone sulla statale Alemagna si arriva in breve in Cadore e a Cortina d'Ampezzo).
La strada costeggia a pochi metri il torrente le cui acque sono di un color smeraldo incredibile, quasi lattiginoso a causa del ribollire dei flutti. Lungo il greto non è difficile vedere gente che prende il sole durante la bella stagione o pescatori a "caccia" di trote. Si arriva quindi al lago che si apre luminoso nella valle. La località è molto ben attrezzata a favore dei turisti della domenica con aree di sosta per picnic, con una piccola darsena e il lungolago. Mi pare di aver letto cartelli che annunciano manifestazioni di motoscafi di velocità, quindi è una località molto fervente di attività e interessi. C'è anche la possibilità di fermarsi a mangiare nelle varie trattorie e osterie del posto, che offrono tutte piatti tipici locali a costi contenuti. Ovunque si butti l'occhio ci sono moto e bikers. Sembra quasi di trovarsi ad un raduno organizzato, quando invece è "solo" la bellezza della località  e del percorso ad attirare gli amanti delle due ruote.
Per il ritorno si prosegue in pieno territorio friulano puntando verso Aviano attraverso una zona ricca di maneggi e campi da golf. Curioso e abbastanza insolita come concentrazione. Arrivati in pianura si può scegliere se mettere la prua verso la vicina Pordenone oppure preferire mete più interessanti come Vittorio Veneto e Conegliano. Da ricordare, per gli amanti dei vini, che sono eccellenti zone di coltivazione di uve pregiate da cui viene prodotto il famoso prosecco d.o.c. del trevigiano.

Percorso del tour Padova - Longarone - Lago di Barcis - Aviano - Conegliano - Padova: km 340 circa.

Cliccare sulla cartina per ingrandirla


Vista aerea del lago di Barcis


venerdì 24 giugno 2011

Ultime parole famose...


 "Era un periodo fantastico e funzionava tutto. Mi ricordo quando ridendo gli chiedevo: Lele, e se un giorno diventiamo poveri? E lui: non succederà mai, amore mio"

(Fabrizio Corona racconta Lele Mora)



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II°

"Me lo immagino ora, Lele. Sempre gentile e disponibile, mentre parla con i suoi compagni di cella e gli dà i consigli giusti per riuscire nella vita"

(Fabrizio Corona)
 
 
 
 
 


Della serie: "E' finita, ma almeno lasciamoci da buoni amici...".
.

martedì 21 giugno 2011

Film visti. Stare alla larga....

6 giorni sulla terra
Regia: Varo Venturi con Massimo Poggio, Laura Glavan, Varo Venturi, Ludovico Fremont.
[voto: 0 su 5]

Viene pubblicizzato come il primo film italiano di fantascienza dai tempi di Totò sulla luna o giù di lì. Per intenderci: anni '50-60, Cinecittà e abbondante uso di cartapesta. Viene elogiato per il rapporto qualità/prezzo essendo costato una pipa di tabacco. Viene dipinto con un film d'autore che si avventura coraggiosamente in un filone finora seguito solo o quasi dagli americani strizzando eruditamente l'occhio alla psicanalisi.
Personalmente lo giudico un obbrobrio assoluto, senza capo nè coda. Un pastone dove dentro ci sta di tutto e di più, dagli alieni che rapiscono gli umani ai demoni, dai servizi deviati al gesuita esorcista, dal prof univesitario geniale e incompreso al dj frikkettone e strafatto di canne. Macchiette piuttosto che personaggi. C'è perfino Francesco Venditti con improbabile accento franco-romanesco nei panni di un agente dei servizi francesi. Per fortuna lo fanno fuori dopo due nanosecondi.

Una boiata pazzesca, per dirla alla Fantozzi. Una superciofeca senza eguali. Un presuntuoso tentativo, miseramente naufragato senza arte nè parte, di scimmiottare i maestri americani. Il budget ridotto non può giustificare tutto. C'è un limite di buon gusto e rispetto dovuto allo spettatore che ha diritto, per il soldi del biglietto che ha speso, a non essere preso in giro in questo modo. Il film merita uno zero e un calcio nel sedere -purtroppo virtuale- al regista.
Stare alla larga....!

Film visti. Il destino, questo sconosciuto (?)

I Guardiani del Destino

Regia di George Nolfi con Matt Damon - Emily Blunt

[Voto: 2 su 5]

Matt Damon è un signor attore. Emily Blunt è bravetta, simpatica, farà strada. Lo sceneggiatore è lo stesso della premiata ditta Bourne/Damon. George Nolfi è un regista più o meno esordiente, per quel che ne so. Il tema è appassionante e affascinante (tratto da un romanzo del prolifico e ampiamente saccheggiato Philip Dick, quello di Blade Runenr).
Cosa manca al film per meritarsi un voto più alto? Nonostante le premesse manca tutto o quasi. Manca la capacità di appassionare lo spettatore e inchiodarlo alla poltrona del cinema. La regia di Nolti non convince e non "acchiappa". O meglio ci riesce abbastanza bene per la prima oretta, poi invece si impantana scivolando su un piano romantico-sentimentale molto dozzinale e scontato.
Dicevo del tema del film, il Destino. Quello con la D maiuscola, quello che almeno una volta nella vita ci si chiede se sia proprio già tutto scritto o l'individuo abbia la possibilità di scriverlo e modificarlo in autonomia. Libero arbitrio, vero o presunto. Il film sguazza su questo nella fase di impostazione della vicenda ma poi, nel tentativo di dare delle spiegazioni a tutto, si perde in una specie di corsa ad ostacoli con porte che si aprono e si chiuduno su dimensioni anomale e inverosimili e cappelli-passepartout miracolosi. Ma l'inverosimile e il fantastico al cinema ci sta bene (è praticamente di casa...), al contrario i finali mielosi sono solo stucchevoli. Nonostante la bravura di Matt Damon.

venerdì 17 giugno 2011

Morire di sfratto

Sede vescovile - Grosseto
In un paese assurdo dove un Ministro della Repubblica ha la protervia di insultare dei lavoratori precari che osano porgli delle domande sul tema che per loro significa conservazione di un posto di lavoro ("Siete la parte peggiore dell'Italia!"), oggi leggiamo in cronaca una storia assurda e agghiacciante. Una donna incinta perde il bambino all'ottavo mese dopo che da quindici giorni viveva in macchina con suo marito a causa dello sfratto dalla loro precedente abitazione.
Articolo del Corriere della Sera: http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/cronaca/2011/17-giugno-2011/coppia-vive-auto-15-giorni-donna-incinta-perde-bambino-190887501120.shtml

Ma vogliamo provare a pensare un attimo a cosa significa trovarsi in una situazione del genere? Vogliamo provare a immedesimarci in una coppia di futuri genitori che passano da un'esperienza del genere? Con quali prospettive se non la disperazione più profonda?
Immagino già l'obiezione di qualche sedicente "moderato" che fa due pesi e due misure anche di fronte alla miseria nera e alla morte. "Ma sono una coppia di immigrati egiziani... mica italiani! Potevano starsene a casa loro". Ma questa è l'Italia, dove si può vivere e morire in un auto trasformata in abitazione per sfratto.

Ciliegina sulla torta: la precedente abitazione da cui la coppia ha ricevuto lo sfratto era di proprietà della Curia di Grosseto. Viene da chiedersi quale sia il concetto di Carità quando i due egiziani sono andati a bussare per trovare una sistemazione in attesa della busta paga del marito che aveva trovato lavoro in provincia. Niente da fare. Niente denaro, niente alloggio. E il Signore sia con voi.

mercoledì 15 giugno 2011

Libri. Montalbano in pillole

La paura di Montalbano
di Andrea Camilleri


Il libro è del 2003, quindi non recentissimo e fresco di stampa. Nel leggerlo e gustarlo bisogna fare qualche passo indietro rispetto al Montalbano attuale, con qualche anno di più sulle spalle e qualche irrequietezza dovuta al tempo che passa. Inoltre questo libro non è un romanzo unico, ma una raccolta di racconti brevi e brevissimi. Nel leggerlo mi ha dato l'impressione che potessero essere in origine bozze di preparazione per altri romanzi più strutturati e articolati. In effetti sembrano proprio delle idee appena accennate e buttate là per un miglior uso futuro. Che evidentemente non c'è stato. Tuttavia non bisogna pensare che tutto ciò sia riduttivo rispetto alla qualità abituale della produzione di Camilleri. I suoi standard narrativi sono sempre quelli che ben conosciamo e apprezziamo, noi fans "camilleriani".
Voglio citare  in particolare uno dei racconti del libro, quello di apertura, intitolato Giorno di febbre. A Vigata si verifica uno scippo per strada. Un testimone prende l'iniziativa di tirar fuori un revolver e sparare sui malviventi. Ma sbaglia la mira e colpisce una ragazzina che stramazza al suolo gravemente ferita ad una gamba. Montalbano si trova casualmente a passare da lì in tempo per soccorrere la ragazzina ferita, quando tra la folla si fa largo un barbone (nel senso di clochard, un vagabondo senza fissa dimora) che con pochi gesti semplici ma efficaci riesce a fermare l'emorragia e a salvare la vita alla giovane vittima della imprudente revolverata. Una gestualità da medico esperto, quella del barbone da strada, che non sfugge a Montalbano sia pure nella concitazione del momento. Qualche giorno dopo, mentre a Vigata si pensa di dare un riconoscimento ufficiale con tanto di cerimonia all'eroico clochard (Lampiuni il suo nomignolo), succede che Montalbano lo incrocia casualmente al porto, intento ad imbarcarsi su un traghetto che lo porterà lontano da lì per tornare nell'assoluto anonimato. Il barbone si rivolge supplicante a Montalbano pregandolo di ignorarlo e lasciarlo andare andare. Non vuole niente da nessuno, solo essere lasciato in pace. I quesiti a questo punto della storia sono tanti. Chi si celava sotto l'aspetto di un miserabile barbone da strada così abile ed esperto da arrestare una grave emorragia e salvare una vita umana? E perchè?
Beh, di spunti per lo sviluppo di una storia ben più articolata e complessa con diversi personaggi e situazioni interessanti ce ne sono parecchi. Invece il racconto finisce lì, con un disgraziato segnato dalla vita che evidentemente fugge da qualcosa o da qualcuno. Ma non sapremo mai da chi o da che cosa.

sabato 11 giugno 2011

Trent'anni fa, Alfredino nel pozzo

Mercoledi, 10 giugno 1981. Sono passati trent'anni, ma i ricordi sono ancora fortissimi. La vicenda è quella di "Alfredino nel pozzo" o la tragedia di Vermicino. Alfredino Rampi era una bimbo di 6 anni che una sera tornando a casa per cena precipita in un pozzo artesiano in costruzione. Una zona di campagna, un budello di 80 metri che entra nelle viscere della terra in cerca d'acqua per l'irrigazione dei campi. Non c'era protezione, non una copertura sulla bocca del pozzo. Ci sarà cascato dentro per errore oppure forse si sarà sporto troppo, spinto dalla curiosità che può avere un bambino per una cosa misteriosa come un buco senza fondo che entra nella terra. A suo tempo mi sembra di ricordare che che qualcuno fece anche l'ipotesi che qualcuno ce lo avesse spinto dentro volontariamente. Si parlò di vendette nei confronti dei genitori, ma nei miei ricordi nessuno prese troppo sul serio questi ricami di fantasia. Invece tutti si appassionarono alla vicenda di Alfredino nel pozzo. Vermicino, la località del Lazio dove accadde la tragedia, diventò famosa all'improvviso. Era sulla bocca di tutti, tutti ne parlavano. Tutta l'Italia per la prima mvolta seguiva in diretta televisiva un evento tragico che si dipanava ed evolveva sotto gli occhi di tutti. Non era mai accaduto nulla del genere nella storia della televisione italiana. Se non ricordo male la diretta durò ininterrottamente per giorni e notti, con una semplice telecamera fissa, con un commentatore che riportava ciò che accadeva intorno a lui. Nulla più. Nulla a che vedere con lo spettacolo dei giorni nostri in cui i luoghi del dolore dove sono accaduti fatti criminali vengono setacciati palmo a palmo e ripresi in ogni anfratto e angolazione. Dove una miriade di persone che nulla o quasi c'entrano con le vicende vengono interpellate, intervistate e chiamate a dare giudizi e pareri spesso fasulli. E' la "gente" che viene chiamata in ballo, la "gente" che fa audience, che diventa in qualche modo protagonista perchè ci sono ore e ore di servizi televisivi da riempire e qualcosa bisogna pur trasmettere e mandare in onda. A Vermicino no. Una telecamera, un commentatore sgomento quanto tutti gli altri presenti, con il compito -quasi una missione- di rappresentare la propria impotenza a tutta l'Italia di fronte alla tragedia di un bimbo in fondo al pozzo, semi soffocato nel fango. E una voce riportata da un microfono calato nel budello che gridava "Mamma"! Agghiacciante.
Uno dei soccorritori che furono calati nel pozzo

Era un giugno parecchio caldo. Mi ricordo che buona parte della diretta tv la seguii da casa della mia morosa (che poi sarebbe diventata mia moglie), spesso insieme ai miei futuri suoceri. Incollati davanti allo schermo, incapaci di staccarcene se non per qualche minuto. Alfredino era lì a soffrire nel pozzo e nessuno se la sentiva di abbandonarlo spegnendo la tv. Sembrava a tutti che fosse un tradimento, pensare ad altro. Divenne una specie di psicosi di massa per gli italiani. Tutta la zona di Vermicino divenne meta di curiosi ma soprattutto di volenterosi cittadini che volevano dare una mano in tutti i modi possibili, anche a costo di scavare con le mani. Qualcuno -più di uno- di corporatura minuta si fecero avanti e si dissero pronti a farsi calare nel pozzo per tentare di acciuffare Alfredino e tirarlo su. Così fu fatto. Per due o tre volte (vado a memoria) questi eroi sconosciuti il cui unico talento era di avere un corpo minuto e magro tentarono l'impossibile e per due o tre volte qualcuno di essi riuscì effettivamente ad afferrare Alfredino. Se non ricordo male quello che maggiormente " rischiò" di riuscire a portarlo in salvo era uno speleologo dilettante, quindi avvezzo agli spazi ristretti e sotterranei. Ma inutilmente, perchè il fango faceva scivolar via la presa e Alfredino scendeva ogni volta sempre più giù nel pozzo. Nessuna sceneggiatura di un diabolico film horror avrebbe saputo architettare situazione peggiore di quella -tragicamente vera-  messa in scena dal destino.
Arrivò sul posto anche il Presidente Pertini, un uomo molto amato dagli italiani per la sua cristallina onestà morale e intellettuale e per il suo carattere schietto e diretto. Insieme a lui intorno a quel pozzo maledetto c'erano tutti gli italiani. Cerca di confortare il papà e la mamma, attraverso un microfono parla addirittura ad Alfredino. Era un grand'uomo Pertini.  Ma sul bordo del pozzo c'era instancabile anche la mamma di Alfredino che non lo lasciò mai solo un istante, e c'era anche Nando, un vigile del fuoco che tra i primi accorse sul luogo per i primi soccorsi. Tutti cercavano di rincuorare Alfredino che chiedeva da bere e da mangiare. Gli scappava anche la pipì e non sapeva come fare per trattenersi e non farsela addosso. Povero piccino. Ricordo un particolare a proposito della mamma di Alfredino. Qualche imbecille la accusò di insensibilità perchè non si disperava abbastanza. I soliti dementi che devono giudicare le reazioni emotive degli altri secondo clichè predeterminati. La stessa categoria di imbecilli probabilmente che hanno criticato ai giorni nostri i genitori della povera Yara Gambirasio per l'atteggiamento "troppo" dignitoso e riservato tenuto durante e dopo la scomparsa e la morte della loro figliola. Ma, si sa, la mamma degli imbecilli è sempre incinta.
Il Presidente Pertini a Vermicino
Intanto, verificato che i tentativi di raggiungere Alfredino calandosi direttamente con delle funi erano inutili, si scavava un pozzo parallelo per raggiungere la stessa profondità, scavare in orizzontale per arrivare all'altezza di dove si trovava il bambino. Ma ci sono difficoltà con le trivelle che incontravano strati di roccia difficili da penetrare. E' una corsa contro il tempo. Insomma il destino sembra accanirsi contro Alfredino, che continua inesorabilmente a scivolare più giù. In tanti tentano ancora di calarsi nel pozzo, ma il fango in cui è incastrato il piccolo impedisce qualunque movimento. Poco dopo l'alba del 13 giugno Alfredino muore. La sua agonia nel pozzo è finita, dopo due giorni e due notti tremende.

Sono passati trent'anni e forse i miei ricordi saranno confusi e, chissà, nella ricostruzione di quei momenti posso aver sovrapposto fatti e persone. Ma l'emozione e il senso di frustrazione di quei momenti sono  e saranno indelebili.
Povero Alfredino nel pozzo, che brutta fine.

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Per saperne (molto) di più, la precisa e puntuale ricostruzione fatta dal Corriere della sera:

giovedì 9 giugno 2011

Stampa cialtrona

Un esempio di come certa stampa locale riesca a essere grossolanamente cialtrona? Eccolo.
Vi invito a fare attenzione al titolo dell'articolo e poi al contenuto dello stesso. Le conclusioni a voi, amici lettori del blog. Personalmente credo che il livello di mediocrità di certa stampa cialtrona emerga più che evidente. Come altrettanto evidente sia la volontà di manipolare nel titolo la notizia che nella sua essenza risulta poi essere significativamente diversa.


Se non si leggesse bene il testo eccolo per esteso:

Poste: computer di nuovo in tilt, all’Arcella cacciate 40 persone

08 giugno 2011 — pagina 27 sezione: Cronaca
ARCELLA. Ieri alle 17 è scoppiata l’ennesima protesta contro le Poste. Nell’ufficio di via Tiziano Aspetti si è bloccato ancora una volta il nuovo sistema informatico centralizzato. In un secondo tutti gli sportelli si sono paralizzati. Ieri l’orario di apertura era fino alle 18.30 e alle 17 nell’ufficio che serve gran parte del quartiere Arcella c’erano una quarantina di persone. Inutili i tentativi dei dipendenti di far ripartire i terminali, il blocco era centralizzato e le quaranta persone con il numero di prenotazione in mano sono state gentilmente invitate a tornare questa mattina, fra il disappunto e le proteste dei presenti.
Raccomandate, vaglia postali, conti correnti e tutti gli altri servizi non hanno più ripreso a funzionare. Nel corso della giornata di ieri lo sportello di via Aspetti era riuscito a limitare i disagi di questi giorni utilizzando quando possibile il vecchio sistema che ha un server nella sede centrale di Padova, ma al momento di dover utilizzare la nuova piattaforma informatica sono cominciati i guai.

Ricerca dell'effettaccio a tutti i costi?
Ricerca ossessiva dello scoop?
Ma cosa resta nella memoria del lettore, il titolo cialtrone o la notizia vera?

mercoledì 8 giugno 2011

Le Poste e la dittatura dei computer

Viviamo in schiavitù delle macchine. Dei computer in particolare. Tutta la nostra vita è regolata, organizzata, gestita da macchine costruite dall'uomo. E l'uomo ha finito per esserne dipendente, se non succube. La prova l'abbiamo avuta in questi giorni con il blocco operativo degli uffici postali. Tutto si è fermato, dai bollettini di C/C alle raccomandate, dal pagamento pensioni ai bonifici. La causa di tutto è la dittatura informatica che ci governa. Si è bloccato un server a Roma a causa di un cambio di una piattaforma software che gestisce l'operatività degli sportelli dei 14.000 uffici postali italiani. Consideriamo che in ogni ufficio ce ne possono essere da due-tre a qualche decina e i conti -astronomici- sono presto fatti. SDP si chiama l'infernale e innovativo software che doveva soppiantare il precedente, obsoleto ma ancora funzionante. Qualcosa è andato storto e si è creato una specie di collo di bottiglia dove il flusso di dati si è bloccato. Tanti, troppi e tutti insieme. Il sistema è andato in crash. Eppure, dicono alle Poste, la fase preliminare dei test di fattibilità era durata un paio d'anni ed aveva avuto esiti positivi e rassicuranti, altrimenti non si sarebbero azzardati a passare alle fase operativa, gli uffici pilota che avevano provato e riprovato le varie fasi erano "sopravvissuti" indenni. E invece...


Le macchine, tiranne, hanno incrociato le braccia quasi si trattasse di uno sciopero. Con la differenza che con i lavoratori umani ci si può discutere, trattare e magari convincerli a riprendere a lavorare. Con le macchine no. E l'Italia si è bloccata.
In questi giorni di crisi nera è partita la caccia ai responsabili. Giornali, telegiornali e internet reclamavano a gran voce qualche testa che cadesse. Forse allora si sarebbero sentiti tutti soddisfatti, ma di sicuro la crisi non si sarebbe risolta. Ma, si sa, il popolo vuole sempre il capro espiatorio.

La versione di Poste Italiane è che le aziende fornitrici del nuovo software siano le vere responsabili del disservizio e che Poste stessa sia in realtà la prima vittima del danno informatico. Ha una certa logica. Chissà cosa ne pensano in IBM, perchè di loro si tratta, del colosso informatico americano, partner tecnico e tecnologico di Poste. Finirà a carte bollate e lunghissime cause di risarcimento danni. Ma chi ha vinto esibendo la propria forza è chiaro, anzi chiarissimo: i computer che gestiscono e governano la nostra civiltà informatizzata. E non sono neanche iscritti al sindacato...!

domenica 5 giugno 2011

Libri. Quelle mani da pianista...

Pianoforte vendesi
di Andrea Vitali


 
Personaggi e interpreti:
- Bellano, piccolo paese sulle rive del lago di Como;
- il Pianista, un poco di buono così soprannomionato per le sue doti di ladro svelto di mani;
- il pianoforte, frutto non apprezzato di un'eredità, posto in vendita al miglior offerente;
- la vecchina ultra ottantenne, zitella per scelta consacrata alla musica;
- il maresciallo dei Carabinieri della locale stazione e il suo brigadiere;
- il calzolaio che ogni anno, tutti gli anni, la notte della Befana si ubriaca;
- la trippa, nobile quanto popolare piatto povero della cucina tradizionale che riempie lo stomaco e ritempra lo spirito nelle fredde giornate invernali.
 
Ecco ci sono tutti. In una notte magica, quella dell'Epifania, in cui tutto il paese fa festa ed è percorso da brividi insoliti che evocano morti che si alzano dalle tombe per parlare con i vivi, Vitali inserisce la vicenda di un abile mariuolo che spera di fare bottino nella confusione della festa. Invece finisce con l'imbattersi con un insolito cartello che offre la vendita di un pianoforte. Da quel momento in poi nulla sarà più come sembra.
Grande Andrea Vitali. Un vero maestro nel raccontare storie di gente qualsiasi e quasi insignificanti, luoghi e ambientazioni marginali e banali trasformandole in storie di persone e di luoghi unici al mondo. Personaggi e luoghi vivificati dal racconto che assumono personalità e sembianze nuove e originali, ma mai banali anche nella loro normalità.
Pianoforte vendesi è un piccolo gioiello (nemmeno un centinaio di pagine) da leggersi tutto d'un fiato. Con passione.

P.S.: Certe volte non siamo noi a scegliere i libri da leggere, ma sono loro a scegliere noi. Ho acquistato questo libro di Vitali per caso ad una sagra di quartiere. Una di quelle feste di parrocchia dove si va per mangiare gnocchi e carne alla brace con gli amici o i vicini di casa. Non diverse dalle feste dell'Unità, sempre più rare al giorno d'oggi. C'è lo stand della pesca di beneficienza dove, se va bene, ci si riempie di cianfrusagli inutili, l'orchestrina di liscio e il dj discotecaro che a giorni alterni invitano alle danze i parrocchiani, anziani e giovani. Nella mia parrocchia oltre a offrire tradizionalmente ogni anno degli ottimi gnocchi che sembrano fatti in casa, c'è anche lo stand riservato agli "intellettuali" dove si vendoni libri usati. Sono centinaia e centinaia, tutti allineati su bancarelle traballanti e suddivisi tra narrativa italiana, straniera, saggistica, cucina, fiabe, turismo e viaggi. A dominare su tutto un incredibile tanfo di umido. Ma in quale cantina umida saranno mai conservati quei libri da un anno all'altro? A sovrintendere e gestire lo stand è stato chiamato uno dei parrocchiani di fiducia del Parroco. E' un ex vigile urbano in pensione che si dedica stoicamente alle necessità della parrocchia. Sono capitato nello stand del libro per caso, dopo il doveroso omaggio agli gnocchi, gironzolando per la sagra gustandomi il mio toscano del dopo cena. Un passaggio quasi dovuto sulle bancarelle, a curiosare tra le tremende zaffate di odor di muffa e di umido. Mi sarebbe piaciuto trovare una copia del Moby Dick di Melville; mi è venuta voglia di rileggerlo e vedere che sensazioni mi avrebbe suscitato adesso, a cinquant'anni suonati, la storia della balena bianca e del capitano Achab dopo aver letto il libro da ragazzo. Invece mi trovo davanti questo libricino smilzo di Andrea Vitali. Spiccava per l'aspetto, nuovo quasi intonso, a dispetto della vetustà dell'offerta che lo circondava. Tutti libri vecchi di anni o decenni. Che ci fa qui, mi sono chiesto. Possibile che nessuno prima di me lo abbia addocchiato? Lo prendo al volo, senza pensarci. Continuo il giro, trovo un Camilleri che non avevo letto e unn Erri De Luca che mi incuriosiva. Passo alla cassa, dal vigile in pensione. Scambio due parole di circostanza sulla festa parrocchiale e sul tempo capriccioso e alla fine mi fa il prezzo. Sì, mi fa il prezzo. Non fa la somma dei prezzi dei libri, chessò il 50% del costo di copertina. No, li guarda e li riguarda, li gira e li rigira, li soppesa e poi spara: "4 euro per tutti e tre". Non credo alle mie orecchie. Gli chiedo conferma: 4 euro per tutti e tre? Ho capito bene? Lui mi guarda interrogativo, mi sembra quasi di indovinare i suoi pensieri "sono troppi 4 euro"? Muffa e odore di chiuso compresi nel prezzo, naturalmente. Prendo il portafoglio e quasi sentendomi in colpa per il prezzaccio gli allungo un biglietto da 5 euro. Lui apre il cassettino della cassa improvvisata cercando il resto. Faccio il signore, con un cenno della mano rifiuto il resto. Tenga pure, per le necessità della parrocchia...

sabato 4 giugno 2011

In moto sul Delta del Po

   Questo lungo ponte del 2 giugno merita di essere sfruttato al massimo, con l'unico rammarico per il meteo incerto che annuncia pioggia rendendo rischioso progettare un giro in moto in montagna come faccio abitualmente. Dunque è il caso di cambiare meta e dirigersi in pianura al riparo, per quanto possibile, dal rischio di improvvisi quanto sicuri acquazzoni. Personalmente non sopporto la pioggia in moto, mi leva il gusto del viaggiare e piuttosto ne faccio a meno o cambio destinazione.

Dettagli e approfondimenti: http://www.visita-delta.it/itinerario_essenziale.htm

La meta del tour è dunque il Delta del Po a sud est di Padova, verso il mare, tra le province di Rovigo e Ferrara. Un ambiente affascinante e indimenticabile. Una volta che ci si è stati è pressocchè impossibile non tornarci. Quegli spazi aperti fino all'orizzonte, le distese di grano che ondeggia al sole mosso dal vento, la laguna, il mare, gli uccelli acquatici che ormai vediamo solo nei documentari televisivi sono spettacoli naturalistici imperdibili. A volte si organizzano viaggi lunghissimi ed esotici alla ricerca di angoli di natura più o meno incontaminata dimenticando che panorami simili li abbiamo anche a casa nostra, nella nostra bella Italia.

Partenza da Padova puntando verso Chioggia; da lì si prende la statale Romea verso sud in direzione Ravenna. Bisogna fare molta attenzione perchè la Romea è una strada molto trafficata e tristemente nota per l'alto livello di mortalità che la contraddistingue per i numerosi incidenti stradali che si verificano. Inoltre è disseminata di autovelox e pertanto se non si rispettano i limiti di velocità la multa è assicurata. Il percorso sulla Romea è però breve perchè superate le uscite per Rosolina, Taglio di Po e Porto Viro si abbandona la statale per entrare direttamente nel territorio del Delta in direzione Bosco della Mesola. Il traffico sparisce, i rumori cessano, la vista si allarga e riempie il cuore. Nel giro di pochi km avanzando nell'entroterra del Delta si viene catapultati in zone semideserte con rare case e piccolissime frazioni disseminate qua e là. E da qui in poi viene il bello. In moto viene voglia di levarsi il casco per prendere l'aria in faccia e assaporare al massimo il profumo di terra e di campi coltivati misto alla salsedine del mare. Più si va avanti e più diventa forte l'odore della laguna, inconfondibile. Si incominciano a vedere le eleganti silhouette degli aironi e di altre specie di uccelli, tanto che varrebbe la pena di andare in giro con una guida ornitologica per saperne di più e riconoscere i vari esemplari. Comunque per farsi un'idea di quali e quante specie siano presenti sul territorio del Delta si può consultare questo sito: http://www.parcodeltapo.it/er/natura/fauna/index.html, ma le librerie sono ben fornite di guide tematiche ad hoc.

Dal punto di vista motociclistico non è un tour che farà impazzire gli "smanettoni" delle due ruote perchè le strade del Delta invitano ad andare piano per gustare il paesaggio, la flora e la fauna, tutte cose che mal si coniugano con la velocità. Suggerisco invece di portarsi dietro la macchina fotografica con un buon teleobiettivo se si vuole cogliere qualche immagine in lontananza di uccelli che nidificano o che vanno in cerca di cibo. Per chi va in moto risulta molto comoda una borsa da serbatoio in cui mettere la fotocamera così da averla a disposizione al volo quando serve senza dover scendere dalla moto per aprire il bauletto posteriore. Anche perchè nel frattempo l'airone da fotografare non sta certo lì ad aspettare noi...
Per visitare il Delta si può tranquillamente andare a caso seguendo il proprio naso perchè è tutto bello e gratificante da vedere oppure seguire un percorso studiato appositamente che non tralasci nulla. In tal caso si può fare riferimento a questo sito: http://www.visita-delta.it/itinerario_essenziale.htm. C'è però una terza possibilità. Lasciare il mezzo di trasporto e imbarcarsi su una delle numerose motonavi che prongono il tour del Delta navigando i bracci del Po che si getta nel mare Adriatico di lì a pochi km. La navigazione è molto piacevole, rilassante e permette un angolo di visuale insolito e originale rispetto alla strada asfaltata, anche perchè non dovendo guidare ci si può concentrare al meglio sulla natura ciorcostante. Per gli amanti della buona cucina sulle motonavi viene servito anche un pranzo a base di pesce. Il tutto ha costi più che abbordabili, ma ne vale la pena.
Il tour completo del delta seguendo il percorso proposto nella cartina porta via tutta la giornata (al rientro a casa il contachilometri aveva largamente superato quota 300 km), al termine della quale risulterà un oltraggio ai cinque sensi il ritorno al traffico e al rumore della statale Romea per il rientro alla base. E' lo scotto che si paga passando uina giornata di full immersion nella natura. Ma ne vale assolutamente la pena. 

giovedì 2 giugno 2011

Il test della verginità della rivoluzione egiziana

Conosco poco o nulla della cultura araba. Quel poco che so è quello che traspare dalle cronache dei giornali o dalla televisione. Per me rimane un mondo di difficile comprensione, con la precisa sensazione che sia tuttora sprofondato in pieno medioevo dal punto di vista sociale e umano.
A confermare questa impressione arriva la notizia che rimbalza dall'Egitto post Mubarak. Come si sa, pochi mesi fa un vento di rivoluzione ha attraversato il nord Africa spazzando via i regimi dittariali di Marocco e Egitto, per poi passare alla Libia e coinvolgere anche la Siria. La situazione attuale è che nei primi due paesi i regimi sono stati rovesciati, mentre in Libia divampa la guerra e in Siria perdurano le proteste popolari e relativi bagni di sangue. La domanda che circolava fin dall'inizio è che tipo di stato sarebbe sorto dalle ceneri delle dittature. L'esempio dell'Iran è lì a inquietare il mondo intero con un regime di stampo religioso integralista ancora peggiore del precedente che ha portato l'Iran ad essere in cima alla lista degli stati-canaglia.

Dall'Egitto arriva in questi giorni una notizia inquietante che lascia immaginare che tipo di scenario si stia preparando in quel paese dell'Africa nord orientale. Alcune delle donne arrestate il 9 marzo a piazza Tahrir furono costrette a subire “test di verginità”. Lo ha detto alla Cnn, sotto condizione di anonimato, un generale delle forze armate egiziane. Dalle sue parole non traspare particolare pentimento: “Mica erano come sua figlia o mia figlia” – ha detto al giornalista. “Quelle ragazze stavano nelle tende insieme a dei manifestanti di sesso maschile”. Nella mentalità del generale egiziano, dunque, ciò le rende meritevoli di essere sottoposte a una forma di tortura qual è un “test di verginità” fatto sotto costrizione.
Amnesty International aveva denunciato che 17 donne avevano riferito di essere state picchiate, sottoposte a scariche elettriche, obbligate a denudarsi mentre i soldati le fotografavano e infine costrette a subire un “test di verginità”, sotto la minaccia di essere incriminate per prostituzione.

Ma tutto questo come si concilia con la ventata di rinnovamento della rivoluzione (o supposta tale)? Cade il dittatore Mubarak e il suo regime politico, ma la mentalità comune che vuole la sottomissione indiscussa delle donne resta intatta. Che tipo di nazione nascente da una rivoluzione ci si può aspettare con questi presupposti?

Per saperne di più:
http://lepersoneeladignita.corriere.it/2011/06/01/%e2%80%9ctest-di-verginita%e2%80%9d-nel-nuovo-egitto/

mercoledì 1 giugno 2011

Libri. Quella volta che il predicatore si prese troppo sul serio....

Il predicatore
di Camilla Läckberg


Che noia, che barba! Dopo aver letto ed apprezzato il precedente libro di esordio di Camilla Läckberg, La principessa di ghiaccio ,  la seconda prova come spesso accade non è all'altezza della prima. E' il caso de Il predicatore, noiosissimo romanzo in atmosfere thrillig che invece sfocia in una melassa incosistente. Ohibò, la suspence poliziesca del libro è inversamente proporzionale alla temperatura meteo della regione svedese dove è ambientato. Freddissimo? Nooo, caldissimo! I personaggi (perennemente sudati e accaldati, neanche fossimo all'equatore) sono quelli del primo libro, Patrick Hedstrom e la sua compagna Erika Falk, ora ritrovati sposati e in attesa di un bimbo. Lui continua a fare il poliziotto brillante e intelligente nella provincia sonnolenta svedese. Lei fa la futura mamma col pancione di nove mesi in attesa dell'erede. Intorno si dipana una storia piuttosto campata in aria che non riesce a decollare mai (con troppi personaggi che si accavallano l'uno sull'altro), neppure verso l'epilogo finale, trascinandosi stancamente in situazioni ripetitive e per nulla interessanti. Il libro mi da la netta sensazione di essere un riempitivo fatto per dovere contrattuale con la casa editrice. Ma nulla più. Ambienti e personaggi sono descritti in maniera superficiale e didascalica senza mai entrare davvero dentro le cose e le situazioni. L'intreccio del thriller è poi impalpabile, come già detto. E anche lentissimo nello sviluppo. Quasi cinquecento pagine, per oltre la metà superflue. Peccato perchè Camilla mi aveva dato una ben migliore impressione con La principessa di ghiaccio. Della trama non dirò nulla nemmeno per sommi capi, perchè leverei anche quel minimo di curiosità ai possibili lettori.
Cara Camilla, spero per lei che sia solo un passo falso e che possa recuperare la giusta vena già dal prossimo lavoro che, ne sono sicuro, arriverà in libreria quanto prima. Dice il saggio: il ferro va battuto finchè è caldo....
Adieu!